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  Le ragioni antropologiche della crisi

Data di pubblicazione: Martedì, 29 Aprile 2014

TRAGUARDI SOCIALI / n.64-65 Marzo / Aprile 2014 :: Le ragioni antropologiche della crisi

“Si esce dalla crisi con più Europa”

Il XII Congresso Nazionale del MCL si è svolto in uno scenario sociale, politico ed economico in continuo cambiamento, con una crisi, al sesto anno, trasformatasi in pesante recessione.
E’ necessario, allora, fermarsi ad analizzare la dimensione strutturale di questa crisi e le sue ragioni profonde. Dobbiamo farlo richiamandoci ai punti fermi della nostra identità di Movimento per mettere a fuoco la situazione attuale, comprenderne le peculiarità e poter dare il nostro contributo per affrontarla e superarla. Questi punti fermi sono la natura ecclesiale del Movimento, il nostro essere Movimento di lavoratori, la fedeltà alla democrazia.
Di fronte ad una crisi di cui la stessa durata e profondità attestano il carattere strutturale, la Dottrina sociale della Chiesa manifesta tutta la propria attualità ed incisività.
Come ben specifica Papa Francesco “la crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alle sue origini vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano”. (Evangelii Gaudium n. 55).
Questa illuminante diagnosi di Papa Francesco ci fornisce lo strumento culturale indispensabile per riallacciare tutti i nodi della crisi odierna nei suoi diversi aspetti.
Aspetti di cui altrimenti ci sfuggirebbe l’intrinseca unitarietà fondata su una visione antropologica che “nega il primato dell’essere umano”.
Partendo da questo presupposto diventa ben chiaro come i molteplici aspetti della crisi che stiamo vivendo siano tutti strettamente interconnessi e nascano dalla comune radice di questa negazione o anche, se vogliamo dirlo con altre parole, dalla negazione della centralità della persona. Diventa ben chiaro come sia non solo logico, ma inevitabile, che la finanziarizzazione dell’economia determini un progressivo impoverimento di massa, la distruzione dei ceti medi, l’accumularsi della maggior parte delle ricchezze mondiali in un numero sempre più ristretto di mani ed il progressivo smantellamento di molte delle garanzie sociali conquistate nel corso del Novecento. Diventa inoltre evidente perché la globalizzazione finanziaria sia accompagnata, nei Paesi occidentali, da un progressivo smantellamento dell’economia reale e da una crescente disoccupazione che, a sua volta, genera ulteriore impoverimento. Ciò avviene perché la visione culturale neoliberista nega in radice l’assioma della Dottrina sociale della Chiesa ed in particolare della Laborem Excersens, che il “lavoro è per I’uomo”, rispondendo solo ai parametri del profitto, dell’autonomia assoluta del mercato e della speculazione finanziaria.
Diventa, infine, chiaro perché in tutto l’Occidente i meccanismi della democrazia risultino progressivamente svuotati e la sovranità popolare sempre più vanificata. Mettendo così in crisi tutti quei meccanismi di rappresentanza diffusa, non solo politica ma anche sociale, che sono il presupposto e il sale della democrazia, intesa non solo come fatto elettorale ma anche come partecipazione e promozione della persona. Con l’ideologia neoliberista, che difende l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria, “si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone in modo unilaterale ed implacabile, le sue leggi e le sue regole” (Evangelii Gaudium n. 56). In questo quadro la politica, percepita dall’opinione pubblica come sempre più inutile, perde colpi e credibilità ogni giorno di più.
La scelta, quindi, di incentrare il nostro Congresso sul tema “Il lavoro primo fattore di ripresa” nasce dalla amara constatazione che tale asserzione, che pur è stata al cuore della grande crescita economica e sociale del XX secolo, oggi non è più affatto scontata: il lavoro, oggi, non è più al centro delle politiche economiche. Assistiamo da tempo al presentarsi di teorizzazioni e scelte che hanno relegato in secondo piano il problema dell’occupazione.
La realtà della condizione economica e occupazionale lo dimostra.
Al Congresso abbiamo fatto analisi, verificato statistiche, approfondito il contributo della Dottrina sociale della Chiesa, posto l’attenzione su diversi problemi, fatto proposto serie, concrete, articolate: su queste proposte torneremo, con forza.
E’ un momento particolarmente difficile, ma nel corso della storia l’Italia ha dimostrato più volte di riuscire a dare il meglio di sé proprio di fronte alle sfide più difficili: in questo momento quella del lavoro è la sfida più difficile. Dobbiamo impegnarci tutti per dimostrare che una nuova cultura del lavoro è possibile: una cultura del lavoro che generi una economia al servizio dell’uomo.
La questione del lavoro, e della sua giusta collocazione nel sistema economico e produttivo, dipende da una nuova capacità e forza delle istituzioni di avviare una fase realmente nuova con l’obiettivo di attuare riforme (da noi richieste con forza da tempo) in grado di riaffermare una più solida e stabile democrazia.
E’ il momento di scelte coraggiose: è iniziato, fra alti e bassi, un nuovo percorso, lo seguiremo con grande attenzione. Un percorso che ci ha visto protagonisti negli ultimi anni: da questo percorso possono arrivare finalmente alcune riforme indispensabili al Paese ed anche una riorganizzazione partitica, con la positiva conseguenza della ricostruzione dei canali di formazione di una nuova classe dirigente. Un percorso che, pur nel rispetto delle autonomie, non può vederci insensibili.
Dall’indirizzo che prenderemo in quest’ora, con le riforme, dipenderà il futuro del nostro Paese.
E’ proprio nel momento più buio della crisi della politica e della credibilità delle istituzioni che i cattolici devono ritrovare la dimensione sociale e comunitaria della loro fede e della loro tradizione per metterla al servizio del rinnovamento della Nazione per costruire una presenza, la più unitaria possibile, dei cattolici in politica. Su questa linea ci muoveremo nelle prossime settimane, con iniziative concrete: nello “spirito di Camaldoli”.
Ci avviciniamo intanto alle elezioni europee e non possiamo non far sentire la nostra voce. Si esce dalla crisi con più Europa, con un’Europa davvero unita, con una sola voce che punti ad un’economia al servizio dell’uomo e non a tecnicismi che strangolano crescita e sviluppo.
Questa nostra consapevolezza nasce da una cultura popolare forte, che ha ben presente l’irreversibilità e la centralità del processo di unificazione europea e la necessità di puntare alla nascita di un’Europa politica.
E’ una posizione radicalmente antitetica al populismo distruttivo che rigetta la stessa prospettiva europea.

Carlo Costalli
Presidente Nazionale MCL
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