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  Una visione popolare per l’Europa

Data di pubblicazione: Venerdì, 18 Aprile 2014

TRAGUARDI SOCIALI / n.64-65 Marzo / Aprile 2014 :: Una visione popolare per l’Europa

Speciale Elezioni Europee

Siamo ormai alla vigilia delle prossime elezioni del Parlamento Europeo che si terranno, in tutta l’Unione, il prossimo 25 maggio. Sono passati solo cinque anni dalle precedenti elezioni eppure, in questi cinque anni, l’intero mondo è cambiato e, soprattutto, è cambiata la percezione che dell’Europa hanno i cittadini europei.
Lo spartiacque storico che marca la differenza tra queste elezioni europee e tutte le precedenti si trova nella crisi finanziaria del 2008 che segna, drammaticamente, la fine dell’illusione di una globalizzazione “necessariamente buona” e portatrice di progresso; di un’economia, seppure, sempre più finanziaria e anche sempre più aperta e capace di rendere la vita migliore per tutti: almeno nell’emisfero occidentale.
Quando si votò nel 2009 il morso della crisi era già stato forte e doloroso, ma la consapevolezza della sua profondità, della sua durata, del suo impatto distruttivo sulle economie europee, soprattutto quelle meno forti, doveva ancora maturare.
Quasi nessuno immaginava che quella “crisi finanziaria” si sarebbe trasformata in una lunga recessione devastante per l’economia reale di molti Paesi e per i loro livelli di occupazione. C’era insomma la speranza di uscirne fuori presto, senza troppi contraccolpi. Invece il conto è stato salatissimo e non abbiamo ancora finito di pagarlo.
In questo senso le elezioni europee del 2009 si possono considerare le ultime della serie iniziata nel 1979: le elezioni, cioè, di un’assemblea parlamentare prestigiosa ma, tutto sommato, politicamente, di scarso rilievo, in un’Unione Europea percepita come lontana dalle asprezze del duro scontro politico ancora, saldamente, ancorato alle problematiche interne dei singoli Stati.
Il vento antieuropeo ed euroscettico che, in questi ultimi anni, si è sollevato, potente e violento, non aveva ancora iniziato a soffiare. Nel 2009 l’Euro era già, da alcuni anni, moneta unica dell’UE ma ancora non si era capito a fondo l’enorme mutamento che il suo avvento in Europa aveva già determinato.
Gli anni della crisi hanno sconvolto e colpito, in modo particolarmente forte, l’Unione Europea proprio per la visione fortemente “economicistica” che negli ultimi decenni aveva caratterizzato la sua costruzione.
Nel corso del tempo la visione alta dell’Europa, la visione di De Gasperi, Schumann e Adenauer, una visione di pace, ma non “irenistica”, politica prima che economica, aveva, sempre più, ceduto spazio ad una concezione dell’Europa prevalentemente incentrata su una sorta di “tecnocrazia bonaria” che, tuttavia, al momento della verità, non ha potuto non mostrare il suo volto “arcigno”: come è accaduto, finora, soprattutto, in Grecia.
E’ del tutto evidente che la posta politica in gioco in queste elezioni europee è altissima. Il vento della contestazione contro l’Unione, e contro l’Euro, visto come simbolo di questa “Unione economica”, è fortissimo.
E’ fortissimo perché nasce da motivazioni, scompensi e ingiustizie che non possono essere liquidati, semplicemente, come infondati, ma che vengono strumentalizzati da una critica vetero-nazionalista e/o vetero-marxista, che non porta da nessuna parte e rischia, invece, di distruggere ogni prospettiva di unione per i popoli europei. Privandoli, così, del loro futuro e condannandoli alla marginalità e al declino.
Ci troviamo, insomma, in una situazione politicamente davvero complessa. Sia in riferimento specifico alle prossime “europee” di maggio, sia in riferimento alla composizione del Parlamento europeo che queste elezioni determineranno.
Un’assemblea che, ci piaccia o meno, vedrà una presenza euroscettica, per non dire antieuropea, particolarmente forte ed aggressiva. Capace di portare nel cuore dell’Unione la più violenta polemica antiunitaria. Un attacco all’Europa che non saranno certo le impostazioni burocratiche, tecnocratiche ed economicistiche che caratterizzano Bruxelles, da molti anni a questa parte, a poter fronteggiare adeguatamente.
Di fronte ad una simile emergenza bisogna avere il coraggio di dire la verità: e la verità è che l’Europa nasce popolare. Che una visione strategica, di largo respiro dell’Europa, l’hanno avuta soltanto i suoi padri fondatori tutti “popolari”: De Gasperi, Adenauer e Schumann. La sinistra italiana, tedesca, europea nel suo complesso non ha mai avuto questa capacità di visione: con buona pace di Spinelli e del Premier Renzi che quando parla d’Europa sa citare solo lui ed il “suo manifesto di Ventotene”.
La sinistra si è solo aggregata al carro dell’Europa, che aveva dapprima fortemente osteggiato, soprattutto in Italia con il Pci, perché di fronte al successo del progetto politico “popolare” non poteva fare null’altro.
Se le cose stanno così è, allora, evidente che non ci potrà essere crescita e futuro per l’Unione senza una visione forte dell’Europa. Una visione che solo i popolari europei possono esser capaci di esprimere, nella misura in cui riescano a liberarsi dalle superfetazioni tecnocratiche, economicistiche e burocratiche che hanno appannato il loro disegno originario.
Non sono certo gli euroscettici, né la sinistra europea di Schultz che potranno rilanciare il disegno di un’Europa politica, democratica, solidale e popolare. Questo possono farlo solo i popolari europei nei termini in cui saranno capaci di attingere alla parte migliore della propria tradizione e della propria cultura riformista per restituire all’Unione Europea una visione e agli europei il senso dell’appartenenza ad una storia e a un destino comune.
Questa è la vera partita che si gioca in queste elezioni.

Pier Paolo Saleri
Vicepresidente Fondazione Italiana Europa Popolare
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