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  DEMOCRAZIA ECONOMICA E FEDERALISMO

Data di pubblicazione: Venerdì, 9 Ottobre 2009

TRAGUARDI SOCIALI / n.37 Settembre / Ottobre 2009 :: DEMOCRAZIA ECONOMICA E FEDERALISMO

L’attualità del pensiero di don Sturzo

èveramente singolare che due grandi sacerdoti e uomini d’azione come don Luigi Sturzo e padre Agostino Gemelli - dei quali quest’anno ricorre il cinquantenario della morte - siano scomparsi assieme, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro: padre Gemelli il 15 luglio, don Luigi Sturzo l’8 agosto del 1959. Un filo invisibile sembra legare le loro due vite pur in una dialettica di costante contrapposizione.
Sia Sturzo che Gemelli hanno, infatti, contribuito in modo determinante a disegnare la fisionomia dell’impegno politico e culturale del movimento cattolico nell’Italia del XX secolo. Due linee molto diverse, per non dire antitetiche fin dalla fondazione stessa del Ppi, che poi confluiscono, e si confrontano, anche duramente, nella Democrazia cristiana.
Scrive Maria Bocci, principale biografa di padre Gemelli: “Il dossettismo è in gran parte figlio di Gemelli: ci sono assonanze impressionanti. Lui nel 1919 criticò il Ppi di Luigi Sturzo perché troppo conciliante verso lo Stato liberale e sordo all’esigenza di trasformarlo da cima a fondo. E allo stesso modo Giuseppe Dossetti e i suoi seguaci nella Dc, avrebbero deplorato la mancanza di un’anima autenticamente cristiana nella politica di Alcide De Gasperi”.
Come è noto la lotta di potere interna alla Democrazia cristiana degli anni ’50 vide il prevalere della linea di matrice dossettiana con l’elezione di Amintore Fanfani al congresso di Napoli del 1954.
Così, buona parte della cultura originale del popolarismo italiano e della sua linea, legata a don Sturzo e a De Gasperi, passò in secondo piano, o meglio, venne relegata in un angolo della soffitta tra gli attrezzi ormai inservibili. Sorte analoga, toccò, peraltro, anche alla dottrina sociale della Chiesa, dalla quale discendeva l’impostazione del popolarismo sturziano.
Non vi è dunque da meravigliarsi se nel 1954 don Sturzo scrisse: “Certi cattolici dovrebbero finirla con il vagheggiare una specie di marxismo spurio, buttando via come ciarpame l’insegnamento cattolico-sociale della coesistenza e cooperazione fra le classi e invocando un socialismo nel quale i cattolici perderebbero la loro personalità e la loro efficienza”.
Nasce così - dai suoi articoli sul Giornale d’Italia degli anni ‘50 quando, isolato dal suo stesso partito, metteva in guardia dall’affermarsi di una mentalità sempre più statalista anche tra i cattolici - la leggenda di uno Sturzo “liberista”, ostile alle nazionalizzazioni in quanto ispirato ai principi classici del liberismo economico e della “mano invisibile del mercato”. Le cose, in effetti, non stavano affatto così; stavano, anzi, esattamente al contrario.
I due principi cardine sui quali si informava il pensiero e l’impostazione politica di Sturzo sono sempre rimasti la democrazia economica ed il federalismo.
Ambedue principi liberalpopolari, non certo liberisti, che hanno il loro punto di riferimento non nell’individuo e nella massa, come avviene sia nel liberismo che nel marxismo, ma nella persona e nel popolo, come insegna la dottrina sociale della Chiesa.
L’impostazione di Sturzo può piuttosto essere ricondotta ed integrata in quel vasto fenomeno culturale europeo che è la linea dell’economia sociale di mercato. Anche il suo antistatalismo non è ideologico né assoluto. Nel 1951 Sturzo scriveva: “prima e dopo il fascismo, in Italia e all’estero, ho sempre ammesso un equilibrato intervento statale a fini politici e sociali ben chiari e determinati. Non c’è dubbio che l’azione statale, anche se limitata al solo regime fiscale, interferisce nel ritmo dell’economia privata. Sta al governo e agli organi dello Stato temperare, regolare e correggere il corso degli affari”.
In linea con le posizioni di Leone XIII (tutti proprietari, non tutti proletari!), Sturzo era convinto che bisognava adoperarsi affinché alla democrazia politica si accompagnasse la democrazia economica, cioè un capitalismo partecipativo e popolare: già nel 1920 egli ispirò il primo disegno di legge di azionariato operaio al mondo.
Una battaglia per la democrazia economica che lo vide unito al grande economista liberale Luigi Einaudi grande fautore, nella stessa logica, della non tassazione del risparmio. Einaudi, il Presidente della Repubblica che, su sua diretta proposta, il 17 dicembre 1952 volle la nomina di Sturzo a senatore a vita, si colloca anche lui pienamente nella linea dell’economia sociale di mercato.
Wilhelm Ropke, il principale ispiratore della realizzazione dei principi dell’economia sociale di mercato nell’esperienza tedesca del secondo dopoguerra, così scrisse, con ammirazione, a proposito di Luigi Einaudi: “Già un anno prima che Ludwig Erhardt avesse liberato la Germania dalla paralisi dell’inflazione repressa, Einaudi aveva aperto la porta dell’ordine e di un nuovo benessere sociale nella libertà e nella giustizia”.
Sturzo e De Gasperi si ritrovano sulla linea dell’economia sociale di mercato assieme ad Einaudi: cattolici popolari e liberali assieme ad un liberale laico e non laicista. Fede e ragione in armoniosa collaborazione, al servizio della “civitas humana”.
Non si può comunque concludere un ricordo di don Luigi Sturzo, e dell’attualità del suo pensiero, senza richiamare la sua convinta scelta federalista che anticipava di gran lunga, problemi concreti di organizzazione dello Stato con i quali, dopo il crollo di tutte le ideologie del diciannovesimo e ventesimo secolo, si trova a misurarsi l’Italia di oggi.
Un’impostazione che risulta perfettamente coerente con la sua ispirazione alla dottrina sociale della Chiesa e con la logica dell’economia sociale di mercato. Ha scritto ancora Ropke: “ Il principio di decentramento politico è un principio universale e potrebbe definirsi nel miglior modo con un’espressione tolta alla dottrina sociale cattolica, come principio di sussidiarietà”. Proprio su queste tematiche don Sturzo scriveva già nel 1901 su “La croce di Costantino”: “Lasciate che noi del meridione possiamo amministrarci da noi, da noi designare il nostro indirizzo finanziario, distribuire i nostri tributi, assumere le responsabilità delle nostre opere, trovare l'iniziativa dei rimedi ai nostri mali”.
Con queste sue parole, don Sturzo faceva, ovviamente, riferimento ad una scelta di federalismo responsabile, solidale e sociale con un forte richiamo all’identità popolare e cristiana ed ai suoi valori; capace di garantire una crescita economica e sociale, non assistenzialistica sia del meridione d’Italia - così pesantemente penalizzato dal processo di unificazione - che dell’intera nazione italiana. Una crescita fondata sulla centralità dell’autonomia delle comunità locali, emancipata da ogni statalismo e centralismo illuministico, capace, finalmente, di costruire in Italia quell’unità di popolo che il Risorgimento non aveva saputo, né voluto garantire e che, ad oggi, in quasi 150 anni di Stato unitario, non è stata, ancora, compiutamente realizzata.


Pier Paolo Saleri
Coordinatore Comitato Scientifico
Fondazione Italiana Europa Popolare
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