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  La mia storia: Fatima Zahra El Mourtadi

Data di pubblicazione: Domenica, 3 Maggio 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.71 Aprile / Maggio 2015 :: La mia storia: Fatima Zahra El Mourtadi

Qui ho trovato il mio posto nel mondo

Riportiamo integralmente l’intervista a Fatima Zahra El Mourtadi, componente dell’Esecutivo Nazionale dei Giovani MCL, pubblicata su Migrador Museum.it – Storie di immigrati d’Italia

Sono giunta in Italia nel 1991, 24 anni or sono, avevo solo cinque anni ma lo ricordo bene. Vi sono arrivata insieme a mia madre, per ricongiungermi con mio padre, arrivato a San Giorgio Ionico, nel tarantino, due anni prima per lavoro. Sebbene fossi ancora piccolina, ricordo molto bene il giorno della nostra partenza dal Marocco e dell’arrivo in Italia poiché, nonostante non fosse il mio primo viaggio, porto ancora dentro quel volo, quell’aereo.
Un’esperienza felice, quasi come se dentro di me avessi avuto una sensazione, una percezione, che mi spingeva a credere che quello che stavo compiendo sarebbe stato il mio primo passo per trovare il mio posto nel mondo.
Ho vissuto pienamente e gioiosamente la mia infanzia in Italia, continuando però, a mantenere vivo in me il ricordo del Marocco e continuando a coltivare i rapporti affettivi che lì avevo lasciato. Di quando giunsi in Italia, ormai ventiquattro anni fa, ricordo bene anche un’altra cosa: all’epoca io, mia madre e mio padre, eravamo una delle poche famiglie straniere nella provincia di Taranto. Allora non c’era molta sensibilità per il tema dell’integrazione, non se ne parlava, né tantomeno discuteva quanto se ne discute oggi. Nonostante ciò, posso dire di aver vissuto comunque un’infanzia tranquilla, fatta di scuola, amici e sport… un susseguirsi di giornate serene e gioiose, senza particolari problemi.
Quando sono arrivata in Italia era dicembre, così mi trovai subito immersa in un festoso clima natalizio. Conoscevo già abbastanza bene il Natale, perché avendo frequentato una scuola francese in Marocco avevo avuto modo di “apprenderne” il significato e le relative usanze.
Viverlo però, essere stata parte integrante di quel clima di festa, è stato molto diverso, più emozionante, magico. So che può sembrar strano che una ragazza araba, marocchina e musulmana parli così, ma vi assicuro che per me di strano non c’è assolutamente nulla: infatti trascorsi i miei primi cinque anni di vita in Marocco, a Casablanca per essere precisi, la mia casa si trovava vicino ad una chiesa, a pochi isolati dalla quale si trovava anche una sinagoga. Si può facilmente capire quindi come io sia cresciuta abituata a non vivere in un contesto monolitico e escludente.
Nonostante non avessi mai potuto immaginare di utilizzare le mie origini per lavorare, ho poi avuto la fortuna di poterlo fare e in modo, per me, altamente qualificante… con estrema naturalezza e con profondo piacere. Infatti, dopo aver finito il liceo psicopedagogico, decisi di iscrivermi alla facoltà di giurisprudenza e, mentre frequentavo il primo anno di facoltà, un giorno ho poi ricevuto una telefonata dalla procura, la quale cercava un interprete di arabo ed aveva pensato proprio di trovarlo in me.
Credo che l’origine di quella telefonata sia stata dovuta alla crescente attenzione delle autorità locali rispetto alla popolazione migrante ben inserita e integrata nel contesto ospitante: evidentemente avevano scorto la mia famiglia e così sono arrivati a me. Inizialmente ricordo di aver pensato che questa occupazione potesse essere per me solo un’attività sporadica e nulla di più, ma da quella telefonata ad oggi sono passati invece dieci anni, dieci anni in cui io continuo a fare questo lavoro: il perito interprete.
è stato proprio attraverso questo lavoro, che il destino mi ha portato a conoscere una sigla, il MCL, che racchiude un mondo di valori, persone, azioni: il Movimento Cristiano Lavoratori. Un’araba, marocchina e musulmana in un’organizzazione ecclesiale cristiana… perché no? Se si condividono gli stessi obiettivi, le stesse responsabilità con l’intento di lavorare per il bene comune!
è stato infatti, dopo essere venuta a conoscenza dell’esistenza di un movimento come il MCL che mi sono interessata sempre più alle attività che esso svolge, aprendo così, davanti a me, un mondo del tutto nuovo ed inaspettato.
Avendo già lavorato come volontaria alla Caritas fin da quando ero più ragazzina, ho riconosciuto, dal primo momento, il carattere sociale e di volontariato che contraddistingue il MCL che, inoltre, con grande attenzione, si rivolge ai migranti.
Date le mie origini ed i miei trascorsi, non poteva essere che il dialogo interreligioso e i diversi progetti di cooperazione con comunità locali di vari paesi del mondo, dove maggiore è l’incidenza di povertà, bisogno, disagio sociale che il MCL promuove con forza, il tema ad avermi più affascinata. Conoscere più da vicino il Movimento, lavorare con e per l’Associazione Lavoratori Stranieri MCL, mi da la consapevolezza di esserne in totale sintonia.
Una tra le attività più importanti svolte nel MCL è sicuramente la promozione della cittadinanza attiva dello straniero, principio su cui sto lavorando, crescendo e maturando tantissimo, sia a livello professionale che, soprattutto, a livello umano.
Già, perché anche se sembra paradossale, grazie a questa esperienza, non solo ho avuto modo di conoscere a fondo altre realtà ma, al tempo stesso, mi è stata data l’occasione di conoscere meglio la mia stessa terra d’origine. Riconosco di essermi “italianizzata” molto crescendo e vivendo qui… italianizzata nel senso che ad oggi, quando torno in Marocco per riabbracciare i miei affetti, già dopo un paio di settimane, comincio a sentire la mancanza di casa… dell’Italia. La stessa cosa mi accade anche per il Marocco: ci sono sempre periodi in cui ho anche il forte bisogno di tornare lì, per rigenerarmi.
Inoltre la fortuna ha voluto che nel migrare, io mi sia ritrovata nel Sud, accolta con la tradizionale ospitalità pugliese. Forse è proprio per questo motivo che, quando mi si chiede se riscontro delle differenze tra italiani e marocchini, io non ne ritrovo poi così tante... Forse, però, l’unica sostanziale differenza sta nel fatto che mentre i maghrebini tendono più a voler partire (per necessità, per studio), gli italiani, molto radicati alle loro origini, tendono invece a voler restare a “casa”. Tra queste due tendenze, io sto nel mezzo: qui sto bene, amo l’Italia, sebbene per me sia vitale fare esperienze altrove, grata, per ogni nuova occasione e per ogni nuova persona incontrata e conosciuta.
Non credo sia dovuta al caso la prima parola imparata in italiano, poco dopo essere giunta in Italia: “GRAZIE”. Sono stati i miei genitori a volere fortemente che la imparassi e le circostanze sono state alquanto particolari. Essendo infatti arrivata da poco in Italia, erano molte le persone che, già conoscendo mio padre, venivano a casa per conoscermi e non mi avrebbero capita se le avessi ringraziate con un “merci” o “shukran”… quindi imparai subito la parolina magica: “GRAZIE”.
Grazie è in effetti quello che mi trovo comunque a dire a me stessa e ai miei genitori oggi, per ciò che vivo e che ho vissuto.
Grazie al Marocco, perché vorrò sempre tornare lì per le persone e gli affetti, tanto formativi per il mio carattere.
Grazie all’Italia, per le enormi opportunità ricevute, gli incontri fortunati, per le amicizie e per le occasioni professionali: qui vorrò tornare sempre, qui, dove ho vissuto e vivo la mia vita.
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