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  L’Ue e gli immigrati: prove tecniche di valori comuni

Data di pubblicazione: Martedì, 5 Maggio 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.71 Aprile / Maggio 2015 :: L’Ue e gli immigrati: prove tecniche di valori comuni

L’emergenza immigrazione al summit europeo straordinario dei capi di Stato e di Governo

Prosegue anche in questo numero la corrispondenza da Bruxelles, curata dal giornalista Pierpaolo Arzilla. ‘Una finestra sull’Europa’ questa volta si occupa della necessità di disegnare una politica d’asilo comune che coinvolga tutti gli Stati membri per fronteggiare l’emergenza migratoria

L’Italia cerca il riscatto, dopo l’umiliazione ricevuta dalla Gran Bretagna - l’ennesima - nel summit europeo straordinario dei capi di Stato e di Governo sulle politiche migratorie. Il no arrogante di Cameron (“da noi nessun asilo, lasceremo i migranti in Italia”), ha deluso anche lo stesso Juncker, che sull’accoglienza e il reinserimento dei rifugiati aveva chiesto (senza ottenerlo) un atteggiamento più ambizioso. Il riscatto allora, come si accennava, può arrivare dalle nuove linee guida della Commissione europea, che si basano su due pilastri fondamentali: un sistema comune di asilo e una nuova politica europea sulla migrazione legale.
Come spesso accade nel risiko Ue, cambiare significa applicare, cioè fare in modo che quanto (di buono) stabilito sulla carta venga semplicemente messo in atto. Juncker chiede ai 28 di applicare integralmente il programma comune d’asilo, che evidentemente è stato sistematicamente ignorato dalla maggioranza degli Stati membri (a proposito di cattiva coscienza e solidarietà senza gesti politicamente e socialmente concreti), ed eliminare le divergenze nell’attuazione a livello nazionale. La Commissione vaglierà la possibilità di utilizzare l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, per aiutare le autorità dei Paesi terzi e degli Stati membri a gestire il flusso dei profughi e le richieste d’asilo nelle questioni di emergenza.
Il sistema comune di asilo riflette sostanzialmente la proposta del Partito popolare europeo di un meccanismo di solidarietà vincolante per chi richiede asilo in Europa: un vero e proprio sistema di quote obbligatorie per ciascuno Stato, in base alla sua situazione demografica ed economica interna e al numero di profughi già accolti. La premessa fondamentale, osserva il Ppe, è che l’accoglienza dei rifugiati non può essere affidata alla responsabilità di pochi Stati membri: se di problema o opportunità si tratta, deve esserlo per l’intera Unione europea.
Dunque, il peso del reinserimento, deve essere condiviso da tutti, come spiegato da alcuni dirigenti Popolari in una riunione di pochi giorni fa a Milano, che di fatto ha dato inizio a una campagna di pressione politica su Bruxelles, con il gruppo parlamentare, e nelle capitali europee con i partiti nazionali di riferimento.
La sintesi la fa ancora una volta Manfred Weber, capogruppo Popolare a Strasburgo. “I summit europei non possono iniziare e finire con una foto di gruppo, le priorità devono essere almeno tre: intensificare le operazioni di soccorso, più soldi per Frontex e una missione Ue di controllo delle frontiere, per avviare una cooperazione più forte con i Paesi di origine”. E soprattutto, rincara il Ppe parlando a quegli Stati membri che in questi anni hanno fatto di tutto per non prendersi le loro responsabilità sull’accoglienza e l’inserimento, non è più possibile rinviare all’infinito l’applicazione delle regole comuni d’asilo. “La nostra proposta sul sistema di quote – dice ancora Weber – è un segnale chiaro che vogliamo mandare all’Ue, perché l’immigrazione non è solo un problema italiano, ma di un’Europa che deve agire nel suo insieme”. Perché occorre sempre distinguere, rilevano i Popolari Ue, chi parte per cercare una vita migliore da chi scappa da guerre civili: “i primi bisogna rimandarli a casa, i secondi bisogna accoglierli”.
Si guarda insomma alla Commissione come elemento equilibratore dell’incapacità degli Stati di fare sintesi politica di un dossier sensibile, il più sensibile, come la politica migratoria, dopo il sostanziale fallimento del vertice del 23 aprile, nonostante gli entusiasmi di Renzi e di gran parte della stampa italiana che ha parlato di “successo” del premier.
La reazione dell’Europa di fronte alle tragedie nel Mediterraneo che rischia davvero, come aveva ammonito il Papa nel suo intervento a Strasburgo, di diventare “un grande cimitero”, sarà il test fondamentale per capire la reale portata dei valori che si vogliono europei, afferma il Comece. Se l’Unione europea vuole davvero rendere onore ai suoi capisaldi, spiegano i vescovi Ue, allora l’unica risposta forte è il ripristino di Mare Nostrum e l’ampliamento della missione Triton per la protezione delle frontiere esterne, perché il “salvataggio delle vite umane non può limitarsi una questione politica: si tratta di un dovere umano e morale dell’Europa stessa”. La soluzione, secondo le conferenze episcopali europee, sta in una politica d’asilo comune che sia applicata correttamente e unanimemente da tutti gli Stati membri: non è più possibile consentire alla maggioranza dei 28 di chiudere gli occhi su tragedie che non riguardano solo pochi Paesi, ma l’intera comunità europea.
L’Europa sociale, dunque, resta inquieta, nonostante le decisioni del summit Ue dello scorso aprile, a dimostrazione che sui capitoli più importanti, il calcolo politico, che per alcuni è o è stato meramente elettoralistico (come la Gran Bretagna di Cameron), ha prevalso sull’interesse generale.
La Confederazione europea dei sindacati fa notare, per esempio, che il vertice di Bruxelles ha ignorato il problema più importante, e cioè le operazioni di ricerca e salvataggio, senza le quali “l’Ue continuerà a lasciare i disperati affogare”. Il mandato di Frontex e la portata di Triton non sono cambiati, fa notare il sindacato europeo, questo significa, che l’Ue continuerà a concentrarsi esclusivamente sulla protezione dei suoi confini, quando invece servirebbe un impegno comune europeo sul soccorso, il salvataggio, l’accoglienza, l’asilo e l’integrazione.

Pierpaolo Arzilla
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