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  Giornata del Ringraziamento

Data di pubblicazione: Lunedì, 12 Gennaio 2009

TRAGUARDI SOCIALI / n.33 Novembre / Dicembre 2008 :: Giornata del Ringraziamento

Fame e spreco,
paradosso del nostro tempo

Giornata del Ringraziamento
Fame e spreco,
paradosso del nostro tempo


Alfonso Luzzi


Si è tenuta a Roma nei giorni 8 e 9 novembre la Giornata nazionale del Ringraziamento promossa dall’Ufficio nazionale della CEI per i problemi
del lavoro e organizzata dalle principali organizzazioni italiane di lavoratori agricoli di ispirazione cattolica: Federagri-MCL, Coldiretti, FAI- CISL, UGC-CISL e ACLITerra. Vi hanno partecipato più di trecento dirigenti provenienti da tutta Italia. La Federagri è stata presente con una folta delegazione di quasi cento persone venute da Puglia, Lazio, Toscana, Abruzzo, Campania, Calabria, Basilicata e Sicilia, oltreché con i dirigenti nazionali. Ha partecipato
inoltre Carlo Costalli insieme a una rappresentanza della Presidenza nazionale del MCL.
La manifestazione, improntata sul tema “Avevo fame e mi avete dato da mangiare”, si è svolta in tre fasi. La mattina di sabato si è tenuto un seminario nella suggestiva aula magna della Pontificia Università Lateranense, coordinato da Mons. Angelo Casile, neo direttore dell’ufficio CEI, che dal 1° ottobre scorso ha preso il posto di Mons. Paolo Tarchi.
Si sono poi susseguiti gli interventi di Mons. Renato Violante, osservatore permanente della Santa Sede presso la FAO e l’ONU, che ha relazionato su diritto al cibo e dottrina sociale della Chiesa, del prof. Vincenzo Buonomo, ordinario di diritto internazionale alla P.U.L., e di Camillo Baccarini Bonelli, responsabile della rete nazionale rurale promossa dal Ministero delle politiche agricole.
Hanno inoltre presentato le loro proposte sul tema Massimo Gargano, presidente vicario Coldiretti, Michele Zannini, presidente AcliTerra, Augusto
Cianfoni, segretario generale FAI-CISL, Francesco Verrascina, presidente UGC-CISL, e Alfonso Luzzi, segretario generale Federagri-MCL.
Il pomeriggio dello stesso giorno si è tenuto un incontro di preghiera nella splendida cornice dell’Abbazia delle Tre Fontane, edificata nel luogo in
cui San Paolo subì il suo martirio.
La manifestazione si è conclusa la domenica con la celebrazione eucaristica officiata presso la Basilica di San Giovanni in Laterano dal card.
Agostino Vallini, Vicario Generale per la Diocesi di Roma, e trasmessa in diretta da Rai Uno.
Sua Eminenza l’Arcivescovo Angelo Comastri, in una meditazione pronunciata nell’aprile del 2006 in occasione della prima Via Crucis di Benedetto XVI, disse “Viviamo in due stanze: in una si spreca, nell’altra si crepa; in una si vive nell’abbondanza, nell’altra si muore nell’indigenza”.
L’esempio è perfettamente calzante a ciò che succede ogni giorno.
In Italia lo spreco annuo di prodotti alimentari ancora perfettamente consumabili ammonta a 15 milioni di tonnellate (alcune fonti parlano addirittura di 25 milioni di tonnellate di cibo), pari al 15% degli acquisti di pane e pasta ed al 18% della carne, per un valore di mercato di 4 miliardi di euro. Visto da un altro angolo visuale, ogni anno ogni famiglia italiana butta nel cassonetto una cifra pari a 561 euro (Fonte Adoc) e allo stesso tempo 7 milioni di cittadini italiani non possono permettersi una dieta equilibrata rispetto ai loro basici fabbisogni nutritivi. Dati che assumono, per noi, un aspetto ancora più negativo in quanto è dimostrato che l’aumento degli sprechi alimentari cresce in occasione dei grandi appuntamenti e delle
grandi festività religiose (Natale, Pasqua, Capodanno, etc).
In Gran Bretagna, nei mesi scorsi è stato pubblicato il Rapporto The food we wast (Il cibo che sprechiamo), che è stato ripreso dai principali giornali nel mondo (quest’estate il Corriere della Sera vi ha dedicato ampio spazio), a seguito del quale si è scoperto che oltre 1/3 della spesa degli inglesi, comprese 5 milioni di mele e 700.000 tavolette di cioccolata, finisce nel cassonetto.
Più esattamente 1/3 della spesa significa 20 milioni di tonnellate, cifra corrispondente alla metà delle importazioni alimentari dell’intero continente africano. Cifra che corrisponde a cinque volte quanto lo stesso Paese destina agli aiuti internazionali e che potrebbe combattere la fame di 150
milioni di africani.
Purtroppo siamo in buona compagnia, infatti le cifre sono simili a quelle di tutti gli altri Paesi occidentali ritenuti maggiormente sviluppati e gli sprechi sono la conseguenza naturale degli eccessivi consumi. Ma viviamo in una società consumistica, nella quale, come dice un noto pensatore moderno vale il motto: “Ciò che conta è la velocità, non la durata”. La sfrenata corsa al consumo è proporzionale all’incremento del peso dei rifiuti e va a scapito dei
Paesi più popolosi o più poveri che pagano un’ iniqua distribuzione delle ricchezze della Terra. Ci troviamo sicuramente schiacciati in una dicotomica contrapposizione tra gli eccessivi consumi e sprechi da un lato e l’indigenza assoluta dall’altro.
Infatti è in aumento il numero degli affamati nel mondo, malgrado il piano strategico della FAO, e malgrado la FAO stessa stimi che la produzione
agricola mondiale potrebbe nutrire sufficientemente 12 miliardi di esseri umani, quindi il doppio dell’attuale popolazione mondiale.
Ovviamente le politiche commerciali moderne puntano sempre più sulle tecniche pubblicitarie per far acquistare un prodotto anche alimentare per la sua immagine o confezione, invece che per il suo reale valore o consumo; inoltre la sempre maggiore diminuzione dei piccoli negozi al dettaglio a vantaggio delle grandi catene di distribuzione, comporta la
scomparsa della vendita di prodotti alimentari al dettaglio non confezionati, costringendo a dover acquistare quantità di derrate diverse da quelle necessarie. Gli stessi fenomeni sociali modificativi della tradizionale strutturazione della famiglia tendono ad accentuare gli sprechi alimentari: ad esempio l’aumento dei singles nelle società dei Paesi più sviluppati porta a dover spendere e sprecare di più rispetto alla classica famiglia di quattro persone, in quanto la scarsa diffusione, per motivi economici, delle confezioni di prodotti alimentari monodose determina lo spreco della parte non consumata.
Ma all’interno di questa forbice rappresentata dagli sprechi eccessivi da un lato e dall’indigenza assoluta o latente dall’altra si è portati a pensare che, come per altre grandi problematiche mondiali o globali, le soluzioni debbano passare solo attraverso le scelte dei massimi sistemi decisionali, non più neanche nazionali, bensì solamente internazionali e sovranazionali. Come Federagri-MCL pensiamo, invece, che un ruolo fondamentale hanno e devono continuare ad avere i singoli individui, siano essi consumatori o piccoli produttori, e i corpi intermedi attraverso i quali essi possono portare le loro istanze. Singoli e stake holders i quali hanno una responsabilità etica nei confronti della specie umana meno fortunata e che devono muoversi
nei confronti degli apparati e al loro interno per spingerli verso l’adozione di politiche etiche. Riteniamo che debba essere nostro dovere, quale associazione agricola di ispirazione cristiana, pubblicizzare e favorire l’applicazione della Legge 155/2003, che prevede la possibilità di distribuire
ai poveri le grandi quantità di cibo inutilizzato negli ipermercati per i prodotti non più commercializzabili, nelle catene di ristorazione per i pasti non somministrati e ancora commestibili, nelle attività commerciali al dettaglio per i freschi non venduti a fine giornata, svolgendo un’azione di sensibilizzazione verso le Regioni ed i Comuni che ancora non hanno adottato politiche di intervento contro la povertà, attraverso la promozione dell’attività di recupero e distribuzione dei prodotti alimentari ai fini di solidarietà sociale oppure spingendo affinché rimuovano le infinite pastoie burocratiche rappresentate dalla molteplicità di certificazioni, autorizzazioni, controlli ed esami che ne impediscono la piena, migliore e più diffusa applicazione.
Riteniamo altrettanto che sia fondamentale adottare politiche che favoriscano gli investimenti in agricoltura, come dice anche la FAO, per raggiungere la sicurezza alimentare, sia se la intendiamo dal punto di vista quantitativo, che è il problema dei popoli affamati, sia se la intendiamo sotto il profilo qualitativo, che è il tema sentito soprattutto nei Paesi sazi.
Ma siamo anche convinti che, per l’acquisizione di coscienza alimentare, etica e consapevole, per un’educazione al risparmio e ad evitare gli sprechi alimentari sia fondamentale il ruolo che ricoprono i grandi formatori: la scuola e la famiglia. Bisogna ripartire dalla base di un’organizzazione sociale.
Siamo diventati tutti spreconi. Terribilmente spreconi. E lo siamo divenuti per i motivi più svariati: alcuni sono quelli che ho anzidetto, altri sono le abitudini, l’indifferenza, la distrazione. O anche la miopia e l’ignoranza. Abbiamo cancellato dal nostro vocabolario, in generale, e dalla nostra tavola, nello specifico, la parola sobrietà. Di fronte allo spreco alziamo le mani. Ci arrendiamo. Un tempo c’era il rito del pranzo della domenica e le nostre mamme ci tormentavano con la solita cantilena “Mangia tutto, non lasciare avanzi nel piatto, pensa ai bambini dell’Africa che muoiono di fame”.
Oggi nessuno educa più alla moderazione, alla sobrietà, alla conquista delle cose e non al loro possesso scontato, a non confondere il desiderio con il capriccio, a qualche buona regola di comportamento quotidiano che poi, con l’esercizio e l’abitudine, potrebbe radicarsi nel ragazzo di oggi e nell’uomo di domani.
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