NOME UTENTE        PASSWORD  

Hai dimenticato la tua password?

Nell'ultimo numero di Traguardi Sociali:

Edizioni Traguardi Sociali

Via L.Luzzatti, 13/a 00185 ROMA
Tel: +39 06 700 5110
FAX: +39 06 700 5153
E-Mail: info@edizionitraguardisociali.it
PI: 07083501002
Traguardi Sociali

Stai sfogliando il n.19 Gennaio / Febbraio 2006

Leggi la rivista in formato pdf Cerca numeri arretrati in archivio
.PDF Numero 19 (1205 KB) Sfoglia l'archivio di Traguardi Sociali Sfoglia l'archivio di Traguardi Sociali

  Toqueville: la ragione della libertà

Data di pubblicazione: Giovedì, 2 Marzo 2006

Martino

Martino

TRAGUARDI SOCIALI / n.19 Gennaio / Febbraio 2006 :: Toqueville: la ragione della libertà

Toqueville: la ragione della libertà

TOCQUEVILLE: LA RAGIONE DELLA LIBERTA’

Giuseppe Martino


    Le conclusioni del X congresso Nazionale del nostro Movimento ci stimolano a continuare la nostra riflessione su una identità sempre più caratterizzata da marcati segni distintivi, rispetto a una omologazione di massa a livello individuale ed associativo.

    Le ragioni della fede ci suggeriscono di andare oltre l’apparente dicotomia tra fede e ragione, se vogliamo proporre un sistema di valori cristianamente ispirati in una società ontologicamente laica. Ciò è un processo culturale lento, che deve (a nostro avviso) inserirsi nelle dinamiche storiche della società per orientarle verso la piena affermazione dei diritti dell’umanità.

    Ma è necessario essere animati da un vero spirito di servizio, allontanando qualsiasi tentazione fondamentalista ed integralista, così come qualsiasi rigurgito laicista, retaggio di quel liberalismo classico, che riconosceva nella politica una autonoma moralità pubblica e relegava nella sfera del privato quelle verità morali fondate sulla Religione.
   
    Questo dualismo culturale è stato la causa e l’effetto di tutti quei conflitti storici che hanno segnato l’umanità nel corso dei secoli, generando poteri oppressivi, di singoli o di gruppi, uguali e contrari, compresi i recenti statalismi e/o le dittature delle cosiddette maggioranze.

    E’, questa, una riflessione stimolata da un grande pensatore, nato due secoli fa (1805), da noi scoperto in tempi non recenti: Alexis de Tocqueville. Scriveva Tocqueville in una lettera del 24 luglio 1836: “ciò che mi ha sempre colpito, soprattutto negli ultimi tempi, è vedere come nel mio paese da una parte si schierino gli uomini che apprezzano la moralità, la religione, e l’ordine, e dall’altra quelli che amano la libertà e l’eguaglianza di tutti davanti alla legge. Questo spettacolo mi ha colpito come il più straordinario ed il più deplorevole che sia mai potuto offrire allo sguardo umano, poiché sono convinto che tutte le cose che in tal modo noi separiamo sono indissolubilmente unite agli occhi di Dio”. Esse - continua Tocqueville – “non sono affatto incompatibili; anzi sono tenute insieme da un legame necessario, in guisa che ciascuna di esse perde vigore se si separa dalle altre…”.

    La lezione di questo aristocratico della restaurazione è di estrema attualità ed il suo liberalismo rivoluzionario, già due secoli or sono, rappresentava un originale strumento per superare le contrapposizioni ideologiche che andavano caratterizzandosi sempre di più ed in modo conflittuale, fino ad assumere una contrapposizione manichea tra destra e sinistra.

    Egli sognava un vero e moderno partito conservatore, fortemente caratterizzato da ferme convinzioni liberali, da contrapporre dialetticamente a un partito democratico repubblicano, nella prospettiva di un sistema fondato sull’alternanza delle formazioni politiche.

    Ma non bisogna dimenticare che Tocqueville è l’autore della “democrazia in America”: un testo unico, anche se è stato pubblicato in due parti (la prima con metodo descrittivo e la seconda con metodo sociologico) di estrema importanza, che racchiude il pensiero politico che egli ha maturato durante l’inchiesta sul sistema carcerario americano, condotta assieme al suo amico Beaumont, per conto del governo francese .

    Durante l’esperienza americana il giovane Alexis, matura la convinzione che lo stato sociale democratico, caratterizzato dalla uguaglianza delle condizioni, influenza non solo le istituzioni della società politica, ma anche le idee, i sentimenti, i costumi, insomma la società civile. Ed è proprio in questo comune sentire che Tocqueville individua, attraverso una complessa analisi sociologica un nuovo homo democraticus, tendenzialmente portato a tramutare la sua naturale tendenza alla libertà nel suo contrario, attraverso un conformismo di massa, che favorisce il sorgere di un governo dispotico e lo svuotamento del concetto di libertà politica.

    Per questo, era necessario ostacolare attraverso un nuova “azione politica” la crescita istintiva della democrazia, restituendo agli individui il gusto della partecipazione attiva per il perseguimento del bene comune, facendo leva sullo spirito associativo e sulle passioni civili dei migliori.

    Forte dell’esperienza americana, dove l’ordine politico e sociale coincidevano; consapevole della realtà storica del vecchio continente, dove vigeva una naturale separatezza tra sistema politico e sociale; Tocqueville individua la necessità di introdurre artificialmente uno “stato politico” che avvicini gli uomini, dando loro “grandi idee e grandi passioni” senza che esso si appiattisca sullo “stato sociale”.

    Ma l’azione politica, o meglio, l’ “arte di governo” (come egli la definisce) è solo uno strumento da utilizzare strategicamente in una determinata realtà storica, per affermare appieno due valori per lui (e per noi) inscindibili: la democrazia e la libertà. Rafforzare le libere associazioni per ostacolare la tentazione del potere statuale di trasformarsi in statalista, significa semplicemente (per ripeterci) rafforzare la democrazia, impedendo derive plebiscitarie e populiste; credere laicamente nei grandi valori dell’umanità, in primis nella libertà e nell’uguaglianza politica, significa riconoscere il fine morale della “rivoluzione cristiana”.

    Tocqueville in una lettera del 2 ottobre 1843 scriveva al suo amico Arthur de Gobineau: “io non sono credente (e non lo dico certo per vantarmi), ma per quanto non credente, non ho mai potuto impedirmi una emozione profonda alla lettura del Vangelo. Numerose tra le dottrine che vi sono contenute m’hanno sempre colpito come assolutamente nuove, e soprattutto l’insieme forma qualcosa di interamente diverso dal corpo di idee filosofiche e di leggi morali che prima aveva retto le società umane. Non concepisco come leggendo questo libro ammirabile, la vostra anima non abbia provato come la mia quella sorta di aspirazione alla libertà “.

    D’altro lato, non mancò mai di criticare aspramente l’ingerenza del clero nella vita politica, considerandola deleteria per la formazione di una coscienza laica improntata ai valori universali scoperti dal cristianesimo.

    Considerare oggi Tocqueville un teocon o un neocon significa comprimerlo tra de Maistre e Voltaire, ambedue, detestati per opposte ragioni.
 Torna ad inizio pagina 
Edizioni Traguardi Sociali | Trattamento dati personali