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  Le riforme costituzionali a giudizio dei cittadini

Data di pubblicazione: Martedì, 19 Aprile 2016

TRAGUARDI SOCIALI / n.77 Marzo/ Aprile 2016 :: Le riforme costituzionali a giudizio dei cittadini

Vita politica

Il segno più evidente della deviazione impressa da Renzi al percorso delle riforme costituzionali, giunte alla definitiva approvazione parlamentare, è rappresentato dal significato che il referendum confermativo, previsto – se non ci saranno forzature – per ottobre, andrà assumendo quale scontro su governo, per la sua conferma o per la sua crisi. Nell’ottica del premier un suo risultato positivo ridurrebbe l’impatto negativo di un eventuale insuccesso alle amministrative di giugno e costituirebbe il maggior viatico per una sua conferma alle “politiche”.
La natura propria di queste riforme avrebbe richiesto di essere il frutto di un confronto aperto di carattere parlamentare o di un’Assemblea Costituente;
il fatto che esse si siano caricate del senso politico di tenuta della maggioranza governativa – fino ad arrivare al voto di fiducia e al supporto di un fiancheggiamento trasformista – ha mostrato la grave perdita di una corretta sensibilità istituzionale e lo svuotamento del ruolo sostanziale dell’attuale modello costituzionale parlamentare, determinati da tale scelta.
Questa “deviazione” ha proceduto parallelamente all’assunzione di un carattere verticistico delle nuove norme che, in combinazione con la legge elettorale, contraddicono il tradizionale pluralismo, peculiare caratteristica del nostro modello istituzionale. Il nuovo modello è, infatti, costruito intorno al Presidente del Consiglio che verrebbe a rispondere solo al partito che lo esprime e che, pur ottenendo una ampia maggioranza alla Camera dei Deputati, non può nascondere la realtà: esso resterebbe espressione di una parte minoritaria dell’elettorato. L’incerta modifica del bicameralismo e la permanenza di un Senato eletto con il deprecabile e sempre più diffuso meccanismo di elezioni di secondo grado, in rappresentanza di Regioni e Comuni, è destinato a creare un dualismo nello Stato, aprendo un’alterità che impedirà il necessario raccordo e inserimento previsti dalla Costituzione nei suoi principi fondativi.
Si è trattato, come ha giustamente rilevato Galli della Loggia, di “riforme costituzionali improvvisate” e “nuove leggi elettorali ad hoc”. Il rischio che si è assunto il premier Renzi è quello di avere emarginato nella Carta quel “pluralismo giuridico” di cui ha scritto Paolo Grossi, attuale Presidente della Consulta, come fondamento della nostra democrazia.
E’ mancato, poi, ogni sforzo – presente invece nel dibattito alla Costituente del 1947 – per adeguare la rappresentanza degli interessi diffusi e che, per l’opposizione drastica delle sinistre ad una seconda Camera che li rappresentasse, finirono per essere ancorati ad un CNEL osteggiato anche in sede di definizione legislativa, fino a svuotarlo di contenuti, ed oggi cancellato dalla Carta senza un adeguato dibattito. Anche tutto ciò ha dimostrato l’avanzata del processo di disintermediazione, ormai galoppante, mentre le sollecitazioni dell’economia globalizzata e la perdita di ruolo delle rappresentanze si accompagnano ad una crisi che porta verso un “darwinismo sociale” che implica “fratture sociali”, diseguaglianza e impoverimento delle classi medio basse.
A questo proposito vanno nel senso giusto le recenti valutazioni di Giuseppe De Rita (“I rischi del decisionismo senza corpi intermedi”, Corriere della Sera, 22 marzo) che colgono il corto circuito del nuovo modello istituzionale che si vuole imporre al Paese. “Il decisionismo politico – ha rilevato – porta certamente al primato del comando; ma questo rimane nullo senza una catena di comando che trasmetta alle strutture amministrative e alle periferie del sistema le opzioni di vertice”.
Aggiungendo riguardo al “pericolo” che insidia “il potere politico e lo Stato italiano”: “ad un progressivo accentramento delle funzioni di governo in alcune sedi di vertice (forse in una sola) si accompagna infatti una altrettanto progressiva povertà dei meccanismi attuativi in cui incanalare la politica”. Da ciò, molto acutamente, De Rita fa derivare anche un “vuoto di potere e di controllo” e di “deresponsabilizzazione”, di “consunzione dei quadri medio alti”, mentre la stessa “mancanza di legalità negli apparati pubblici” deriva da una “crisi” che si fonda sul “fatto che quegli apparati non funzionano, quasi non esistono più”.
Volendo offrire un giudizio di sintesi sulle riforme che verranno valutate dai cittadini è evidente che, in caso di esito positivo, non si avrà né una Repubblica parlamentare, né una Repubblica presidenziale, ma un ibrido, cioè “una costruzione intorno al premier”, senza quelle regole e quei contrappesi che nei due modelli consentono armonia e funzionalità.
Lo sforzo principale, in questi mesi, deve essere finalizzato a restituire al dibattito intorno alle riforme istituzionali quella libertà di interpretazione e di giudizio che superi gli sbarramenti e le forzature delle ragioni partitiche o di schieramento; che recuperi lo spessore di un confronto di idee che tragga linfa da una cultura costituzionale che in Italia ha avuto grandi protagonisti (tra tutti Giuseppe Capograssi e Costantino Mortati); che, infine, ricostruisca un approccio organico all’insieme delle istituzioni, in un quadro che ricomponga funzioni e rappresentanza.
A questo proposito il MCL sta facendo la sua parte, come ha dimostrato con l’Assemblea degli enti locali dell’11 e 12 marzo dedicata alla “ricostruzione della rappresentanza” ed alla quale hanno preso parte più di duecento amministratori locali. Anche per riaffermare quella che monsignor Fabio Longoni, nella sua relazione, ha indicato come la “riabilitazione della politica” e la sua “ricomposizione”.

Pietro Giubilo
Vice Presidente Fondazione Italiana Europa Popolare
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