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  L’Europa di Juncker punta alla “Tripla A sociale”

Data di pubblicazione: Giovedì, 1 Gennaio 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.68 Ottobre / Novembre 2015 :: L’Europa di Juncker punta alla “Tripla A sociale”

Ue, l’ora degli investimenti per la crescita e dell’Europa sociale

Prosegue anche in questo numero la corrispondenza da Bruxelles, curata dal giornalista Pierpaolo Arzilla. ‘Una finestra sull’Europa’ questa volta si occupa del nuovo corso europeo sotto la guida di Juncker

Archiviata la drammatica stagione di Josè Manuel Barroso alla Commissione europea, si guarda con attenzione al mandato di Jean Claude Juncker, e ai primi 100 giorni del nuovo governo Ue. L’Europa punta alla “Tripla A sociale”, perché “non è meno importante di quella economica”.
E allora sotto con gli investimenti, dice il nuovo inquilino di Palazzo Berlaymont, a proposito della sua squadra e di un’Europa alla disperata ricerca di credibilità politica e sociale. Il nuovo presidente della Commissione vuole bruciare le tappe e dare subito la sensazione che il vento è cambiato, in coerenza con il motto scelto dallo stesso Europarlamento per la campagna elettorale del voto dello scorso 25 maggio (“Questa volta è diverso”), ma anche con quanto affermato da lui stesso nelle scorse settimane (“per l’Europa è l’ultima occasione”).
Juncker accelera sulle riforme, e soprattutto sulle risorse da destinare alla crescita. “Nel mio intervento del 15 luglio avevo detto che avrei presentato a febbraio il programma di investimento di 300 miliardi di euro per i prossimi 3 anni: ebbene, dobbiamo agire il prima possibile, perché abbiamo fretta, quindi lo presenteremo prima di Natale”.
E non sarà, assicura il lussemburghese, “un programma congiunturale come si facevano negli anni ’70, che non sono altro che un fuoco di paglia in cui si distribuiscono soldi per dare l’impressione di fare qualcosa”. L’Europa “ha bisogno di investimenti calibrati che ridiano forza alla sua economia nel medio termine, per rafforzare il motore della crescita con il settore privato”. Una crescita che vede nella lotta alla disoccupazione, specialmente quella giovanile, “la priorità del nuovo esecutivo Ue”.
Rispetto al 2007, e cioè dall’inizio della crisi del debito, l’Europa ha ridotto i suoi investimenti del 20%, rileva Juncker, che in un recente intervento a Strasburgo ha riaffermato il mantra del suo orientamento strategico principale: “Senza investimenti non si cresce, e senza crescita non si crea occupazione”. Il pacchetto da 300 miliardi, tuttavia, aggiunge l’ex presidente dell’eurogruppo, “non può essere finanziato con il debito”, ma solo da “un apporto intelligente di fondi pubblici che possano promuovere e incoraggiare gli investimenti privati nell’economia reale”. Juncker invoca “interventi più mirati, minore regolamentazione e una maggiore flessibilità nell’uso dei fondi pubblici”. La stessa flessibilità, osserva, che occorre nella gestione del Patto di stabilità. “Ci atteniamo a quanto stabilito dal Consiglio Ue lo scorso 27 giugno: le regole non si modificano, ma saranno interpretate con quel margine di flessibilità consentito dai testi giuridici”. Niente “svolte drastiche”, ma la consapevolezza che solo mettendo assieme “flessibilità, disciplina di bilancio, riforme strutturali e investimenti, l’Ue potrà fare davvero passi avanti, perché il consolidamento di budget senza flessibilità e crescita non porta sviluppo”.
E sul TTIP (l’accordo Ue-Usa di libero scambio), Juncker si dice “indisponibile” a “immolare sull’altare del libero scambio le norme europee in materia di sicurezza, salute, protezione sociale dei dati o la nostra diversità culturale”. La protezione dei dati personali degli europei e la sicurezza degli alimenti “saranno non negoziabili”.
Per l’Europa, dunque, è davvero l’ultima occasione: “O facciamo dell’Ue un insieme politico o riusciamo con governi, parlamenti e parti sociali a ridurre la disoccupazione e a dare una prospettiva ai giovani o sarà un fiasco totale”.
La Commissione Juncker nasce con il sostegno decisivo di socialisti e liberali. Due i punti fondamentali sui quali la squadra del lussemburghese si gioca tutto, secondo il capogruppo S&D all’Europarlamento, Gianni Pittella: investimenti per la crescita e l’Europa sociale. “Non accetteremo operazioni di cosmetica”, dice, invitando la Commissione a “non emarginare il Parlamento” nella definizione del pacchetto da 300 miliardi. Gli eurosocialisti propongono di dirottare una parte del fondo salva Stati nella Banca europea per gli investimenti, spuntare gli investimenti per la crescita dal deficit e quintuplicare le risorse per i programmi culturali per creare posti di lavoro. “L’Europa sociale non è un feticcio”, osserva Pittella, “per questo occorre opporsi a una guerra al ribasso tra i lavoratori, rivedere la direttiva sui lavoratori distaccati e approvare la direttiva sul congedo di maternità che è stata interrata dal Consiglio europeo”.
Proclami a parte, l’impressione è che l’Europa di Juncker navigherà a vista e non si discosterà più di tanto dai 10 anni dell’era Barroso. Nel suo ultimo intervento davanti a un Parlamento europeo semideserto, l’ex presidente della Commissione ha difeso come non mai i suoi due mandati alla guida dell’esecutivo Ue, 10 anni di emergenza sistemica, prima a causa dei “No” di Francia e Olanda alla Costituzione europea, e poi per la crisi finanziaria, passando per le tensioni con Russia e Medio Oriente.
Barroso si è detto “fiero” di aver salvato l’euro e aver “creato da zero un nuovo sistema di governance”.
Nel 2011, ha ricordato, “l’Europa rischiava la disintegrazione, l’Italia era sull’orlo dell’abisso e alcuni Paesi erano prossimi alla bancarotta, ma non per colpa dell’Unione europea”. Non è l’Europa, è la sostanza del ragionamento del portoghese, che ha creato il debito, ma “l’Europa è stata ed è la risposta, grazie a un sistema di supervisione che è il più ambizioso al mondo”. Barroso si è mostrato indifferente a chi, come il gruppo eurosocialista, ha definito “disastrosa” la sua presidenza: “Dire che l’Europa è peggiorata per colpa dell’Ue è una menzogna, una mancanza di rispetto e di rigore intellettuale.
La crisi non è nata in Europa ma negli Stati Uniti e questa è una verità che chiunque condivida l’ideale europeo, da destra, dal centro o da sinistra, dovrebbe avere il coraggio di ammettere. Altrimenti, non faremo altro che rafforzare i populismi di estrema destra e di estrema sinistra”.

Pierpaolo Arzilla
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