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  Noi credenti siamo i cittadini

Data di pubblicazione: Giovedì, 10 Dicembre 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.75 Dicembre 2015 :: Noi credenti siamo i cittadini

A Firenze il Convegno Ecclesiale nazionale: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”

“I credenti sono cittadini”. Un’affermazione semplice eppure dirompente, quella di Papa Francesco. “La Chiesa sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti sono cittadini”. Si tratta di togliere ogni dubbio a chi ritiene che si possa vivere una sorta di doppia vita – da una parte essere credenti e dall’altra essere cittadini –, a chi crede che la fede sia qualcosa da relegare nell’ambito del proprio privato e che non debba avere nessuna rilevanza pubblica. Non è un caso che il Santo Padre risponda a questa schizofrenia dell’uomo moderno proprio dal Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, dedicato al tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, poiché tutto si gioca non su di una teoria teologica o filosofica e neppure su di una pratica politica o sociale, ma sull’uomo, o meglio su un essere umano autenticamente umano: “possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti autentici del volto dell’uomo”.
è stato un discorso di ampio respiro, fresco, pieno di forza e di speranza quello di Papa Francesco, un progetto da cui emerge non un progetto sull’uomo o sulla Chiesa, ma in cui viene messa in evidenza la vera vocazione dell’uomo e della Chiesa.
I tratti del volto dell’uomo che il Santo Padre vuole mostrarci sono quelli dell’umiltà, della disponibilità e della beatitudine. L’umiltà è il sentimento di chi non cerca la propria gloria, il proprio potere, ma di chi riconosce che tutto gli è stato donato.
Allo stesso modo la disponibilità ci aiuta a non essere chiusi in noi stessi, a non essere autoreferenziali né narcisisti, a non rinchiuderci nelle nostre strutture nelle quali viviamo in un’effimera sicurezza. Così accade che la beatitudine è la “consolazione” dell’amicizia con Gesù, che si vive nella solidarietà e nel lavoro quotidiano. L’invito che il Santo Padre ci rivolge è quello di non avere paura ad “uscire”, di essere degli uomini e una Chiesa in “uscita”, di incontrare gli altri. è facile sentire riecheggiare in queste parole il grande grido di Papa San Giovanni Paolo II, quel “non abbiate paura” che non solo ha ridato slancio alla Chiesa, ma che è stata la prima picconata al Muro di Berlino.
In questo cammino, ci ha avvisati Papa Francesco, andiamo incontro a due pericoli. Il primo è quello del pelagianesimo, ossia ridurre il cristianesimo ad un’organizzazione e ad una dottrina e di riporre la nostra speranza in dei principi o in delle strutture. L’altro pericolo è quello dello gnosticismo, in cui il ragionamento e la logica escludono la “tenerezza della carne”, poiché lo gnosticismo fa fuori il mistero dell’incarnazione. Anche qui potremmo cadere nel rischio di credere di essere di fronte a dei richiami astratti e di pensare anche noi quello che il Papa ha detto e fatto a Firenze come a qualcosa che in fondo in fondo non abbia a che fare con la vita vera, con i problemi che quotidianamente dobbiamo affrontare. Ma non è così, perché il Papa invita tutti noi ad un maggior impegno, a impegnarci per i più deboli, a prendere posizioni chiare nel dibattito pubblico senza però temere il confronto, a ricercare insieme agli altri il “bene comune”. Lo stesso Cardinal Bagnasco ha chiesto alla Chiesa Italiana di essere “sempre più missionaria” e ai fedeli e alle organizzazioni cattoliche di essere capaci di un “impegno concreto” di cittadinanza.
è con questo spirito che il Movimento Cristiano avoratori si appresta a vivere la prossima udienza speciale con il Santo Padre il 16 gennaio, affinché sia un momento all’interno di nuovo slancio nella vita della comunità. A Firenze il Papa ha voluto mettere in evidenza come il “genio del cristianesimo” sia radicato nelle fondamenta del nostro Paese – una cosa che nel capoluogo toscano è possibile vedere e toccare – fino al punto da aver fatto coincidere il bello, il buono, il vero, in tutte le opere, molte delle quali di carattere “sociale”, dando vita a quel bel Paese che, nonostante tutti gli sforzi fatti, rimane tale. è proprio a questa bellezza che il Papa ci chiede di guardare per poter ripartire pieni di speranza.

Giovanni Gut
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