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  La gratuità della misericordia

Data di pubblicazione: Giovedì, 17 Dicembre 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.75 Dicembre 2015 :: La gratuità della misericordia

Intervista a Mons. Fabiano Longoni, Direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i Problemi sociali e il lavoro

è un momento importante per la Chiesa italiana, un momento di trasformazione e di crescita, sulle orme degli insegnamenti di Papa Francesco. Un passaggio sottolineato anche dall’apertura dell’Anno giubilare straordinario della misericordia.
Ed è un momento importante anche per il MCL, che si appresta a vivere il 16 gennaio l’incontro con Papa Francesco, che ci riceverà in udienza speciale.
Di questo e altro abbiamo parlato con Mons. Fabiano Longoni, Direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i Problemi sociali e il lavoro, ma anche attento conoscitore del nostro Movimento.


Il recente Sinodo ha messo in luce la grande attenzione della Chiesa italiana alla famiglia, dimostrata dal fatto stesso che proprio il Sinodo ha indicato a tutti i cattolici, ma anche agli uomini di buona volontà, la riscoperta di questa insostituibile realtà di libertà e di resistenza umana all’omologazione individualista e relativista.
Qual è la sua valutazione in proposito?

Innanzi tutto ritengo fondamentale porre al centro della riflessione quelle parti del Sinodo rimaste finora più in ombra, in quanto meno ampiamente diffuse dai mezzi di informazione: ciò mi sembra ancor più essenziale soprattutto dal nostro punto di vista, per non ridurre tutto il dibattito solo a una questione riguardante quelle coppie con problematiche inerenti alla riammissione o meno ai sacramenti.
Mi sembra invece importante sottolineare che i testi emersi dal Sinodo mettono in luce soprattutto l’importanza della famiglia nel contesto socio economico...

…e quindi anche la necessità di adeguate politiche di sostegno alla famiglia, a cominciare da quelle fiscali…
Infatti è esattamente questo che vorrei mettere in luce: è essenziale sottolineare, in particolar modo, quanto emerge al numero 12 del capitolo II del documento finale approvato dal Sinodo, intitolato appunto “Politiche in favore della famiglia”, dove sono rappresentate tematiche sulle quali da tanto tempo non vediamo l’Italia intervenire con politiche adeguate. E’ evidente, invece, che bisogna agire, e anche prontamente, per promuovere politiche a sostegno delle famiglie, specie le più disagiate.

…famiglie che sono il vero ammortizzatore sociale…
Sì certamente: mi riferisco infatti alle famiglie più disagiate. Qui si innesca anche il grande tema del cosiddetto reddito di inclusione sociale, il Reis: una misura rivolta a tutte le famiglie che vivono la povertà assoluta in Italia, e che la Caritas e altre associazioni stanno portando avanti.
In realtà quel che dobbiamo mettere in luce è l’azione compensativa della famiglia nel complesso del modello di sistema del welfare. L’Italia finora è riuscita a supplire a tante situazioni drammatiche proprio grazie alla famiglia che si pone quale realtà compensativa: la famiglia che distribuisce risorse, che svolge compiti indispensabili rispetto al bene comune…
Ecco, sui grandi temi che il Sinodo ha messo in luce, specie nei capitoli iniziali della relazione finale, a mio avviso si ritrovano indicazioni essenziali, finora rimaste un po’ in ombra. E questa ritengo sia una delle novità da mettere in risalto.
Di certo il Papa ha voluto sottolineare come all’interno della Chiesa queste situazioni debbano essere vissute in un’ottica di misericordia, dove la misericordia, in questo caso, è l’attenzione particolare rivolta non al giudizio ma all’accompagnamento verso soluzioni che possano essere di reale aiuto all’affermazione della verità e alla vita.
Vi sono, poi, altri temi essenziali come l’avvenire dei giovani, i giovani e il lavoro, la crisi demografica, l’attuale sistema economico che produce esclusione sociale, la scarsità delle offerte di lavoro, spesso selettive e precarie, la necessità di una maggiore distribuzione delle risorse: tutte problematiche che attengono in qualche modo alla vita delle famiglie e che il Sinodo ha voluto prendere in considerazione, soprattutto nel capitolo II della Relazione finale, al numero 12 (“Politiche in favore della famiglia”), al 13 (“Solitudine e precarietà”), al 14 (“Economia ed equità”).

Al convegno ecclesiale di Firenze il Santo Padre ha pronunciato parole molto ‘forti’, che investono da vicino tutti i cattolici. Come assomigliare sempre più alla Chiesa che Papa Francesco vorrebbe?
Credo sia molto importante sottolineare come la visione che il Papa ha della Chiesa sia emersa chiaramente nel suo discorso ai delegati convenuti nel Duomo di Firenze, dove è interessante sottolineare la centralità che egli dà a una Chiesa che non cerca il potere, a una Chiesa capace di vivere quei tre tratti fondamentali – umiltà, disinteresse e beatitudine, indicati nel Discorso e in linea con quanto affermato nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium , che il Papa ci invita a studiare seriamente –. E poi, ancora, laddove afferma che gli piace “una chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti”, una Chiesa col volto di una mamma che “comprende, accompagna, accarezza”, ma anche una Chiesa che “deve innovarsi con vitalità”. In questo senso, dice Papa Francesco, “i credenti sono cittadini” i quali, stando dentro la realtà sociale, hanno il compito di innovare la Chiesa e la società: questo è un punto importantissimo.
Il Papa dice ancora che, come Chiesa, dobbiamo “dare risposte concrete alle minacce che emergono dal dibattito pubblico: e questa è una forma evidente del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune”.
E’ un’affermazione molto importante, in quanto sostiene chiaramente che tali minacce consistono in un ‘silenziatore’ messo in qualche modo ai credenti rispetto alla loro cittadinanza, ma questa cittadinanza va vissuta componendo denuncia e proposta. Ma a questa cittadinanza in favore di cosa dovremmo rinunciarvi?
In favore di posizioni di rendita acquisite?
Ecco, questa è la domanda essenziale… rinunceremo al nostro essere cittadini, per qualche privilegio, anche legittimamente conseguito. O ci impegneremo per una rinnovata “opera collettiva” in favore del bene comune della nazione? Bene, credo che questa sia davvero una parte centrale del suo discorso. Più ci penso e più mi tornano alla mente le parole della Gaudium et spes di cui celebriamo, in questi giorni, il 50° anniversario. Lì dove al paragrafo 76 si dice: “La Chiesa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni.
Ma sempre e dovunque, e con vera libertà, è suo diritto predicare la fede e insegnare la propria dottrina sociale, esercitare senza ostacoli la propria missione tra gli uomini e dare il proprio giudizio morale, anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime”.
Il Papa ci costringe a rimeditare questo paragrafo conciliare e in qualche modo ci sta spingendo ad “uscire” secondo una logica “dell’abitare”, rifiutando cioè le logiche del potere costituito, e reagendo a una certa visione elitaria di una Chiesa chiusa in se stessa e autoreferenziale. Questo è un passaggio centrale che segna un cambiamento epocale rispetto alla modalità con cui fin qui si è guardato al rapporto della Chiesa con la realtà della società civile, e anche con lo Stato: sì, la direi veramente centralissima, questa parte…

Si apre fra pochissimi giorni l’anno giubilare straordinario della Misericordia, indetto da Papa Francesco. Cosa significa oggi, per i cattolici, “varcare la porta della misericordia”?
E quale significato riveste per chi appartiene a confessioni diverse?

Leggerei la ‘misericordia’, qui, proprio nell’ottica di quello che è il significato di questa parola. La misericordia non è l’amore, perché l’amore richiede, per così dire, una reciprocità; la misericordia invece è la dinamica nella quale io mi sporgo verso l’altro, ma non necessariamente aspetto che l’altro riconosca questo sporgermi, questo andargli incontro.
La misericordia significa, in poche parole, che mi metto totalmente a disposizione, senza ricercare uno scambio: indica, in definitiva, il superamento della dinamica del do ut des.
Quindi attraversare quella porta significa ricevere la misericordia di Dio che si sporge verso di me e colma il mio vuoto, sebbene io non sappia corrispondere a Lui con tutto me stesso, come dovrei.
Questa è esattamente la dimensione del perdono gratuito di Dio: una moltiplicazione del dono all’infinito.
Quindi la Chiesa, nel momento in cui si impegna ad attraversare la Porta Santa, e così ogni singolo peccatore che compie questo gesto, dice: da questo momento, in cui ho ricevuto misericordia, devo dare misericordia. Gratuitamente ho ricevuto, gratuitamente, senza aspettarmi nulla in cambio, dono. Ossia devo dare qualcosa che, in definitiva, non mi porta a uno scambio con l’altro, ma mi porta ad “uscire”, a un’apertura totale verso l’altro, verso il prossimo. Questa è un po’ la differenza tra amore e misericordia: l’amore è un fattore insito nell’essere umano il quale dà amore per ricevere amore, la misericordia invece è un amore che non richiede un corrispettivo, dunque non conosce egoismo. E’ una qualità superlativa che ci ricorda l’amore materno, l’avere viscere di misericordia per il proprio figlio, anche se lui non ti corrisponde, così agisce Dio e noi dobbiamo imparare a ri-conoscere questo Dio, a conoscerlo di nuovo con parametri non di scambio.
Ecco quindi che l’impegno che avete assunto sulle vostre spalle, come Movimento, per cercare di costruire opere di bene all’estero, soprattutto in terre “difficili”, come a Sarajevo, Gerusalemme, ecc., significa proprio questo: non andiamo lì per riceverne un corrispettivo ma per testimoniare l’amore gratuito di Dio.
Questi sono solo gesti, naturalmente, ma se tutto ciò lo riportassimo anche nelle nostre realtà, diventerebbe un impegno ancora più bello.
Viviamo in una società dello scambio, questo è un dato di fatto. E ciò è evidente anche quando, per esempio, facciamo gesti di carità che partono in genere dal presupposto “io chiedo che tu mi dia”, e che “tu mi riconosca quel che ti ho dato…”. La misericordia, invece, suscita uno stato di liberazione totale.
Dobbiamo essere liberi, liberi dentro. Dal momento che l’abbiamo ricevuta, la misericordia, non possiamo far altro che darla a nostra volta, senza aspettare che ci venga ridata.
Penso, per esempio, al viaggio del Papa in Africa: dal nostro punto di vista potrebbe esserci sembrato un viaggio inutile, soprattutto in questo momento storico, ma lui ha deciso di andarvi comunque in quanto ha nel cuore le persone, che non possono restituire. Francesco non sceglie di visitare luoghi gratificanti, come potrebbe essere la sua terra di origine, ma va in posti dove sa che quello che conta è mostrare il volto misericordioso e gratuito del Padre, invitando tutti a fare lo stesso anche verso i nemici. Puro annuncio di misericordia senza limiti.

…un scelta coerente anche con il messaggio delle porte aperte nelle Chiese…
Sì, ed è un messaggio grandissimo per l’inizio dell’Anno Santo, che il Papa abbia aperto la prima porta in Africa come a dire: qui dove io non conto nulla secondo l’ottica del mondo, e potrei essere ucciso dalla violenza, non solo delle zanzare…. in realtà sto dimostrando che coloro che non contano nulla agli occhi del mondo, in realtà contano agli occhi di Dio.

Il prossimo 16 gennaio il MCL, come lei sa, sarà ricevuto in Udienza speciale dal Santo Padre. Lei ha avuto un prezioso ruolo nell’accompagnare il nostro cammino fin qui, e sarà al nostro fianco anche in questo attesissimo appuntamento. Come Movimento ci stiamo preparando da tempo attraverso la preghiera ma anche con tante azioni di solidarietà, anche in campo internazionale, da Sarajevo a Gerusalemme… Quali suggerimenti si sente di darci per vivere al meglio questa esperienza e far sì che il 16 gennaio non sia solo una data sul calendario da ricordare, ma sia l’inizio di qualcosa in più?
Io credo che quando si incontra questo Papa, ci si lasci veramente ispirare da questo volto di innovazione, dalla capacità di una Chiesa che sa riformarsi continuamente nonostante i suoi errori, i suoi dubbi e i suoi peccati. Mi pare di dover dire che un’Associazione che lo incontra debba sentire, da una parte, di dover verificare la sua capacità di essere dentro la storia con amore, disponibilità, impegno e perseveranza, rispetto alla missione che ci si è dati. Dall’altra parte è indispensabile chiedersi: che cosa mi sta dicendo quest’uomo in questo momento? Che cosa devo cambiare? Cioè, la conversione che ispira quest’uomo va molto al di là della gioia dell’incontrarlo, perché sai che hai di fronte un testimone, una persona che vive quello che predica. Il mio desiderio è che tutti noi, quando saremo lì il 16 gennaio, ci lasciassimo entusiasmare non solo dall’incontro fisico con il Papa, non tanto dall’incontro tattile con lui, ma vorrei che fosse chiaro a ciascuno il richiamo al senso di responsabilità, l’occasione di conversione e di crescita.
Insomma, se c’è qualcosa che può propagarsi, se c’è un virus dal quale dovremmo essere contagiati, è quello dell’essere coerenti con ciò che pensiamo.
Questa è la vera innovazione.
Ogni volta che incontri lui in qualche modo incontri Gesù, nel senso che sai di incontrare una persona che effettivamente ispira un cambiamento, prima di tutto in noi stessi. Quindi vorrei che ognuno di noi sentisse che non sta lì solo per applaudire, ma per rilanciare il suo impegno.
Il Papa secondo me insegna questo: che la vita a volte può anche essere claudicante dal punto di vista della fede, della coerenza evangelica, molte volte cadiamo, facciamo fatica, non ci rialziamo… La conversione è lasciarsi prendere per mano da Dio: il Papa ci ispira dicendo che è possibile rinnovarci, è possibile avere fiducia che lo Spirito cambi il nostro modo di concepire il mondo.
Se il MCL saprà, rispetto alla missione che si è dato – quella di essere testimoni del mondo del lavoro o perlomeno di una certa modalità di lavorare – fare un passo avanti verso una ricchezza che viene messa a disposizione di tantissime persone, allora davvero credo che questo incontro lascerà in noi una traccia profonda di trasformazione.
E questo sarà l’impegno che tutti noi andremo a prendere: il saper cogliere questa occasione è frutto di una decisione individuale. E’ un po’ un andare contro la teoria del selfie: sono qui non per mostrare che ci sono, ma per lasciar trasformare la vita mia e quella degli altri.
Ecco, il mio augurio per questo incontro, che cade a ridosso del Natale, è che sia non solo un’occasione di festa ma sia un momento per incarnare il cambiamento, il rinnovamento, per lasciar entrare in noi la conversione.

Fiammetta Sagliocca
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