NOME UTENTE        PASSWORD  

Hai dimenticato la tua password?

Nell'ultimo numero di Traguardi Sociali:
Traguardi Sociali

Stai sfogliando il n.66 Maggio / Giugno 2014

Leggi la rivista in formato pdf Cerca numeri arretrati in archivio
.PDF Numero 66 (1978 KB) Sfoglia l'archivio di Traguardi Sociali Sfoglia l'archivio di Traguardi Sociali

  Europee: nel delirio anti-Ue l’Italia si scopre il partner più affidabile dei 28

Data di pubblicazione: Domenica, 3 Agosto 2014

TRAGUARDI SOCIALI / n.66 Maggio / Giugno 2014 :: Europee: nel delirio anti-Ue l’Italia si scopre il partner più affidabile dei 28

Prosegue anche in questo numero la corrispondenza da Bruxelles, curata dal giornalista Pierpaolo Arzilla.

‘Una finestra sull’Europa’, questa volta si occupa ancora delle recenti elezioni europee.

Due o tre cose che abbiamo imparato dalle ultime Europee. Strano, ma vero: nel delirio anti-Ue, l’Italia degli scandali, della corruzione, del super debito, dell’inefficienza e dell’ingovernabilità si scopre improvvisamente il partner più affidabile dei 28 (almeno sul piano elettorale). Mentre Francia, Regno Unito, Spagna, Grecia, Ungheria, Danimarca e Austria fanno i conti con l’ascesa dell’opzione eurofobica, che in alcuni casi - come in Francia e Gran Bretagna - si è rivelato un autentico psicodramma politico per i partiti di governo, il voto di casa nostra ci dice che gli italiani, nonostante tutto, anzi nonostante tanto, non si sono lasciati incantare dalle sirene vetero-ultrapopuliste e hanno deciso di dare fiducia al partito di governo e a un premier cooptato.
A Bruxelles hanno preso nota di questo e di molto altro, al netto delle perplessità sulle misure anti deficit. Sembra, dunque, finito il tempo dei sorrisini ironici sul Bel Paese, mentre non sembra finire mai quello degli intrallazzi intergovernativi, a vedere quanto sta (pur legittimamente) accadendo nella partita per la designazione del nuovo presidente della Commissione europea.
L’Ue, dunque, si aggrappa disperatamente all’anomalia italiana, per una volta un’anomalia di cui tenere conto in positivo. Ora che dell’asse Germania-Francia restano solo macerie, ora che l’inconcludente Cameron dovrà fare i conti con qualche problemino interno; ora che in Spagna e Grecia i moderati al governo si sentono un po’ più soli, ora che in Danimarca e Ungheria il populismo si affaccia o si conferma pesantemente sul proscenio politico Ue; e soprattutto ora che la Cancelliera vince solo a casa sua.
Mentre gli altri sbracano, dunque, l’Italia, negligente, parolaia e inaffidabile, invece tiene. E lo fa anche, perché no, sull’affluenza, a guardare il 36% di votanti nel Regno Unito, il 43,5 in Francia, il 44,7 in Spagna, il 34,5 in Portogallo, per non parlare del disastro nell’Europa dell’Est (solo il 13% in Slovacchia, 22,7 in Polonia, 34,7 in Romania, la media del 34,5 nelle Repubbliche Baltiche, 21 in Slovenia, 24 in Croazia, 40 in Bulgaria). Ed è un dato importante quello sull’affluenza, se si considera che già nella giornata di venerdì 23 maggio, si conoscevano gli esiti degli exit poll sul voto britannico che davano in testa il partito anti Ue di Farrage (l’Ukip). Le notizie che filtravano da Londra, se hanno convinto gli elettori greci, francesi a imitare i loro omologhi britannici, punendo i cartelli di governo, in Italia hanno avuto invece l’effetto contrario. Anche per questo, nei corridoi della Commissione filtra stupore, sorpresa ma anche soddisfazione per il voto “maturo” degli italiani, che hanno detto no ai deliri di Grillo e soci. Gli italiani, spiegano fonti comunitarie, hanno rifiutato l’avventurismo dei partiti euro fobici e hanno così “consegnato” la protesta al Pd: arrabbiati, sì, in crisi, senza soldi e con un futuro incertissimo, ma senza tuttavia cedere alla tentazione del “tanto peggio tanto meglio”, dimostrando dunque di avere ancora una coscienza “davvero europea”. E’ possibile che si siano pure turati un po’ il naso, ma hanno votato per un progetto, un progettino magari.
Sempre meglio del caos. Un colpaccio vero, dunque, nella depressione generale, per il Paese (reale) che, per dirla con l’economista francese Jean Paul Fitoussi, “ha vinto due volte: su se stesso e in Europa”.
E questa Europa intanto comincia il giro di telefonate per presentarsi all’appuntamento di metà luglio, davanti alla seconda riunione plenaria del nuovo Europarlamento, con la coscienza a posto e soprattutto un nome, un profilo, una storia che dovrà mettere quantomeno d’accordo Popolari, socialisti e liberali.
Come previsto, si fa in salita, almeno mentre scriviamo, il cammino di Jean Claude Juncker alla presidenza della Commissione, comunque legittimato a provarci in quanto candidato ufficiale del partito che ha vinto le Europee. La Germania resta ondivaga, almeno secondo non poche indiscrezioni, sul sostegno all’ex premier lussemburghese.
I “sospetti” riguardanti l’outsider si fanno sempre più concreti, se è vero che si fanno insistenti le pressioni di Angela Merkel per una presidenza al femminile. Ma chi ha detto che Christine Lagarde, attuale numero uno del Fondo monetario internazionale, può davvero fare lo sgambetto ai candidati ufficiali? La Cancelliera, si dice, per ora ha congelato Juncker per lanciare l’ex ministro economico di Sarkozy, ma avrebbe incontrato l’opposizione dell’attuale presidente francese. Il non di Hollande incarterebbe di parecchio i giochi, perché fa il paio con il super veto di David Cameron, che potrebbe ricevere sostegno dal premier olandese Rutte e dal primo ministro svedese Reinfeldt, a Juncker. Ma a Downing Street potrebbero anche dire sì all’ex presidente dell’Eurogruppo se la Gran Bretagna dovesse ottenere la poltrona di commissario al Mercato interno, a sentire il parlamentare laburista Richard Corbett. In Germania sono sempre più convinti che Juncker sia la scelta sbagliata. Un po’ perché la stessa Merkel, che pare sia stata molto riluttante sin dall’inizio, sembra rimandare al mittente la logica dello Spitzenkandidaten, cioè del candidato scelto da ciascun gruppo europarlamentare, non fosse altro perché si rende conto che su quei nomi non ci sarà accordo in Consiglio, un po’ perché anche le pressioni della stampa contano. Lo stesso Juncker, infatti, non è considerato da un giornale come lo Spiegel come un amico della Germania, perché “è una di quelle persone che sogna di fare dell’unione monetaria un’unione del debito”.
E allora che si fa? In Francia le Monde rilancia addirittura il nome di Michel Barnier, il candidato Ppe uscito sconfitto nel duello con Juncker al Congresso di Dublino. Secondo il quotidiano vicino ai socialisti, Barnier (Ump) sarebbe il “candidato di compromesso” ideale per due motivi: avrebbe l’appoggio di Hollande e il sostegno di Londra, perché l’attuale commissario europeo al Mercato interno “è riuscito a far passare le direttive Ue che regolano i mercati finanziari in piena collaborazione con la City”.

Pierpaolo Arzilla.
 Torna ad inizio pagina 
Edizioni Traguardi Sociali | Trattamento dati personali