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  Partecipazione, Rappresentatività, Governabilità: riflessioni sulla riforma elettorale

Data di pubblicazione: Martedì, 5 Luglio 2011

TRAGUARDI SOCIALI / n.48 Luglio / Agosto 2011 :: Partecipazione, Rappresentatività, Governabilità: riflessioni sulla riforma elettorale

A Roma un Forum sulla riforma elettorale organizzato da Traguardi Sociali.

Tornare a ragionare sui contenuti, orientare le scelte sui valori, mettere in primo piano l’interesse generale, porre nuovamente il “Bene Comune” al centro della riflessione è il messaggio che emerge dall’ampio dibattito ospitato nei mesi scorsi sul sito della Fondazione Europa Popolare sul tema della riforma elettorale in Italia. Un dibattito poi pubblicato in volume da Edizioni Traguardi Sociali e, infine, analizzato e approfondito in un Forum, moderato dal coordinatore del Comitato scientifico della Fondazione Italiana Europa Popolare, Pier Paolo Saleri, cui hanno preso parte: Antonio Di Matteo vice Presidente nazionale MCL, Pietro Giubilo già Sindaco di Roma, Stefano Costalli docente presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Luca Marcolivio direttore responsabile de “L’Ottimista”.
La riflessione del Forum dello scorso 24 maggio conferma, sostanzialmente, la medesima linea della analisi scaturita dal dibattito che la Fondazione ha promosso nei mesi scorsi sul proprio website: incentrare l’attenzione sui valori e sui contenuti, in poche parole sul “Bene Comune”; invertire la tendenza rispetto ad un dibattito sulla riforma elettorale che è stato, fino ad oggi, pesantemente caratterizzato e condizionato da impostazioni e valutazioni strumentali agli interessi delle forze politiche ed al mantenimento o all’ampliamento dei loro spazi di potere e di manovra. Un dibattito finalizzato dunque, soprattutto, al consolidamento o al sovvertimento degli equilibri di potere all’interno di istituzioni rappresentative dalle quali gli italiani si sentono, purtroppo, sempre meno rappresentati.
Il primo punto di vista comune che emerge dal dibattito del Forum è, senza dubbio, quello di una forte criticità nei confronti dei sistemi elettorali e dei meccanismi di governo che hanno prevalso in Italia negli ultimi vent’anni.
“Se devo esprimere un giudizio su quanto si è verificato negli ultimi 20 anni nello scenario italiano io do un giudizio negativo” – afferma Di Matteo – “non per privilegiare una realtà precedente, bisogna infatti calare ogni stagione nel suo particolare contesto, ma perché si riscontrano evidenti criticità”. Su questo punto rincarano la dose sia Stefano Costalli che Luca Marcolivio: “ricordo la tesi di laurea di un mio amico della fine degli anni ‘90 dove, analizzando i vari tentativi di bicamerale e le varie riforme realizzate fino a quel momento, emergeva chiaramente come a muovere gli attori del panorama politico italiano fossero gli interessi dei partiti politici e non la partecipazione o la governabilità” sostiene Stefano Costalli; sottolinea poi Marcolivio: “sia il ‘mattarellum’ che il ‘porcellum’ hanno schiacciato le identità politiche e determinato la spaccatura dell’opinione pubblica oltre a un venir meno della progettualità. Tutta la politica si concentra nella campagna elettorale sempre molto accesa e seguita da politiche amministrative evanescenti”. Sostanzialmente sulla stessa linea anche Pietro Giubilo: “Considero del tutto simile il ‘mattarellum’ ed il ‘porcellum’ perché in entrambi la scelta dei collegi è fatta solo in base a quale collegio sia vincente o meno”.
Un altro punto di vista condiviso da tutti gli intervenuti è di evitare ragionamenti sulla riforma elettorale che si astraggano dall’effettivo contesto storico, politico ed istituzionale, quasi il meccanismo elettorale fosse in grado di trovare in se stesso il proprio centro di equilibrio stabilizzando automaticamente, anche, la situazione politica complessiva.
Cosa che, invece, non è. Il sistema elettorale è, infatti, strettamente legato e funzionale ad uno specifico assetto sociale, ad uno specifico progetto di società, ad un preciso equilibrio di forze e di interessi in campo, ed alla specifica logica culturale e storica di una nazione. In questo contesto assume particolare ed assoluta rilevanza, nell’ambito del ragionamento sulla riforma elettorale, la necessità di valutare il suo concreto impatto con il sistema reale dei partiti. Su questo concetto dà il là Stefano Costalli che lo sottolinea con forza citando un famoso volume di Sartori più volte pubblicato: “Ingegneria Costituzionale Comparata”.
In quel volume, infatti, ricorda Costalli “Sartori spiega che il sistema elettorale è in diretto dialogo con il sistema partitico ma va anche in parallelo con esso, quindi è sbagliato ed ingiusto parlare del sistema elettorale senza prendere in considerazione non solo il sistema politico che si vorrebbe ma anche quello esistente”. Su questa valutazione concorda pienamente Pietro Giubilo che ribadisce: “sono in accordo con la connessione tra legge elettorale e sistema partitico, anzi di più: una influenza l’altra”.
Questa interconnessione, anzi potremmo dire questo reciproco condizionamento che coinvolge il sistema elettorale con il sistema dei partiti reale, concreto e predominante in uno specifico momento storico, spinge ovviamente a valutare con maggiore attenzione e prudenza le possibilità effettive di un pieno ritorno al proporzionale nella situazione italiana di oggi. Ciò anche se, in quanto cattolici, in forza della nostra tradizione sociale e della nostra cultura solidaristica, guardiamo con maggior attenzione e simpatia al sistema elettorale proporzionale piuttosto che ad altri. Bisogna, infatti, valutarne l’impatto in una situazione nella quale il sistema dei partiti è assolutamente debole ed egemonizzato da pulsioni personalistiche in tutto l’arco dello schieramento politico.
Una prudenza che si riflette necessariamente anche sulla valutazione del sistema elettorale tedesco, seppur osservato con simpatia da tutti gli intervenuti.
A tale cautela induce, soprattutto, l’intervento, nel nostro dibattito sul web, di Patricia Liberatore della Fondazione Konrad Adenauer, che smitizza il sistema elettorale tedesco, come ricorda Saleri nella sua introduzione, dicendo: “attenti perché da noi stanno nascendo problemi nuovi, il sistema ha funzionato per un lungo periodo ma ora che da tre siamo passati a cinque partiti, ed in più anche le condizioni politiche generali sono cambiate, il nostro sistema sta mostrando i propri limiti e stiamo pensando a come riformarlo… quindi non è proprio il caso di idealizzarlo”.
Su questa specifica preoccupazione si innesta, soprattutto, l’intervento di Pietro Giubilo che rimarca come, purtroppo, a suo avviso il tempo per razionalizzare il sistema politico italiano con una riforma elettorale alla tedesca sia ormai scaduto: “Il ritornare alla logica della scelta della rappresentanza indipendentemente da chi governa appartiene ad una fase della politica italiana nella quale i partiti erano forti, contavano, avevano dei leader veri. C’erano partiti importanti con leader importanti (sì, c’erano correnti, ma erano anche forma di partecipazione all’interno dei partiti). Oggi i partiti sono talmente deboli che nelle competizioni locali sono costretti a trovare rappresentanti esterni (ad esempio la Regione Lazio con le candidature Polverini e Bonino nel 2010), questo perché i partiti sono eccessivamente leggeri, quasi comitati elettorali e, forse, addirittura troppo leggeri anche come comitati elettorali. La mia riflessione è, allora, questa: sì il sistema tedesco presenta aspetti interessanti però lo si doveva attuare negli anni ‘80, ma allora non ci fu il coraggio di fare la grande riforma: peccato perché avrebbe razionalizzato quel sistema di partiti”.
La preoccupazione di valutare, attentamente, l’impatto di una eventuale riforma in senso proporzionale con un sistema dei partiti tanto debole da risultare pressoché evanescente, non può, tuttavia, appannare la consapevolezza che, seppure non esistano soluzioni prefabbricate, bisogna trovare il modo per coniugare assieme partecipazione, rappresentatività e governabilità. Lo dice con molta chiarezza Di Matteo: “Noi abbiamo una concezione dei partiti che è quella della tradizione popolare, quella della comunità che si ritrova attorno al campanile, che ha uno stesso sentire, che si fa carico dei problemi della società e che costruisce dal basso una classe dirigente portatrice di valori, d’istanze e di regole che si vuole attuare nella società. Per noi nello scenario c’è la partecipazione rispetto ai partiti e rispetto ad un meccanismo elettorale che di questo risente”. Sulla centralità della partecipazione in un sistema democratico convengono, con convinzione, tutti gli intervenuti, ragionando per mettere a fuoco le motivazioni che hanno determinato, appunto, la crisi della partecipazione stessa. Marcolivio si domanda: “Come recuperare la partecipazione?”; Stefano Costalli sottolinea: “la partecipazione non c’è non solo perché la legge elettorale viene vista come mancante di dialogo con la società, ma anche perché non c’è partecipazione all’interno dei partiti. Cito un esempio per tutti: nessuno fa più congressi”.
Giubilo, infine, ricorda come l’introduzione del maggioritario in Italia sia stata in realtà guidata “da un’idea di omologazione delle forze politiche supportata da una cultura politica e da una cultura industriale che sostenevano la necessità di sradicare i partiti dal territorio perché generavano clientelismo: ma in tal modo fu liquidata anche l’idea della partecipazione”.
Va, infine, assolutamente ricordato, tra le tante interessanti suggestioni emerse, un ulteriore punto di convergenza manifestatosi nel dibattito. Il nesso, forte ed ineliminabile, esistente tra la riforma elettorale e la questione istituzionale. E’ ben chiaro, infatti, che in una problematica di questo tipo i confini sono assai labili ed è pressoché impossibile separare l’una dall’altra. E’ un punto che mette chiaramente a fuoco Stefano Costalli: “Io credo che per un discorso serio sulla riforma elettorale sia necessario prendere in considerazione tre punti: la legge elettorale, la cultura politica sottostante del Paese e il sistema istituzionale, ecco perché quando si fa riferimento al sistema elettorale tedesco e lo si lega alla fiducia costruttiva bisogna rendersi conto che il discorso si sposta dalla legge elettorale vera e propria al suo raccordo con il sistema istituzionale”.
Questo tema ne introduce un altro, ancora più centrale e delicato di quello della riforma elettorale: quello delle riforme istituzionali e delle modifiche da apportare alla Costituzione. Anche in questo caso emerge piena sintonia. Di Matteo sottolinea il fatto che “oggi abbiamo una condizione e una struttura parlamentare così come era stata pensata dai padri costituenti, ma una situazione profondamente cambiata: nelle regole che sono nella nostra Carta fondamentale si risente del clima dell’immediato dopoguerra” e Giubilo ribadisce “la riforma elettorale va fatta assolutamente in un contesto costituzionale, sono in accordo assoluto con quello che ha detto a proposito Costalli”. Tutti si ritrovano pienamente d’accordo sul fatto che episodici interventi sulla Carta costituzionale rischiano, molto spesso, di risultare più dannosi che utili. Di Matteo esprime per tutti, con molta incisività, questa convinzione: “Una critica che io mi sento di fare rispetto ad una stagione che stiamo vivendo è quella che riguarda le piccole modifiche che si fanno anche alla Costituzione, che minano l’equilibrio che la Carta fondamentale ha, e che negli ultimi tempi hanno comportato anche qualche danno economico.
Se c’è bisogno di una rivisitazione della Carta costituzionale sarebbe opportuno che ci fosse un’assemblea ad hoc, dopo anche i fallimenti della bicamerale. Bisogna dare un contributo verso un meccanismo di partecipazione volto a ridefinire le regole condivise”.
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