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  Dobbiamo costruire il ‘nuovo centro’ italiano

Data di pubblicazione: Domenica, 17 Giugno 2007

TRAGUARDI SOCIALI / n.26 Maggio / Giugno 2007 :: Dobbiamo costruire il ‘nuovo centro’ italiano

Intervista a Gerardo Bianco
di Ettore Colombo


       Intervistare Gerardo Bianco, storico esponente della sinistra (che una volta si chiamava “di Base”) democristiana e uno degli ultimi segretari del Ppi, prima che questi desse vita, nel 2001, alla Margherita, non è stata impresa facile, per Traguardi Sociali. E non certo perché l’onorevole Bianco, persona paziente e squisita, non fosse disponibile, ma perché gli impegni di una campagna elettorale e politica, quella per le elezioni amministrative dello scorso 27 e 28 maggio (scriviamo nel momento in cui lo spoglio elettorale è appena cominciato e dunque non potremo darvene conto, ndr.), lo hanno tenuto lontano da Roma e impegnato fino all’ultimo giorno tra incontri e comizi. Segno, quest’ultimo, peraltro del fatto che nonostante l’onorevole Bianco si schermisca, con l’interlocutore, ritagliandosi il modesto ruolo di “consigliere” per il centro politico che nascerà nei prossimi mesi o, forse, anni, la sua funzione è molto più importante e centrale di quanto lui stesso non voglia dire, ma come si capisce chiaramente da quest’intervista. Dove, per bravura sua più che del suo intervistatore, le “notizie” non mancano affatto. Anzi, abbondano.


DOBBIAMO COSTRUIRE IL ‘NUOVO CENTRO’ ITALIANO


Onorevole Bianco, ancor prima che si tenesse l’ultimo congresso della Margherita, quello che ha deciso lo scioglimento di un partito nato solo nel 2001 per dare vita, assieme ai Ds, al Partito democratico, lei ha annunciato, più o meno apertamente, che non entrerà a far parte di questa nuova formazione politica. Ce ne spiega le ragioni?

       Vorrei cominciare con una considerazione di ordine generale. La crisi della politica di cui tanto si parla in questi giorni (a partire dall’intervista di Massimo D’Alema al Corriere della Sera, ndr.) è profonda ma la discussione si è concentrata su aspetti secondari, a mio parere. Si guarda in modo moralistico ad aspetti come la questione degli “sprechi” e dei “costi” della politica ma il problema è un altro: scomparse le ideologie si è passati a una fase in cui la politica è stata dichiarata morta o è stata ridotta a un fatto puramente tecnico, pragmatico. La politica invece è un’idealità ed è l’idealità che muove l’azione. Spegnere e cancellare definitivamente una tradizione come quella del popolarismo è un errore gravissimo, in questo contesto. Dl e Ds hanno deciso, invece, di cancellare questa tradizione e di annullarla in formule vuote, generiche, figlie di una visione effimera della politica. Il popolarismo, invece, e cioè lo straordinario filone politico e culturale che ha rappresentato al meglio le istanze della presenza organizzata dei cattolici in politica, non può essere chiuso sull’altare di un pensiero unico, quello dominante, quello della concezione individualistica e radicale della persona e della politica che si va radicando e che ha vinto, soprattutto dentro la sinistra. Solo il popolarismo, invece, può difendere il valore della comunità e della persona di fronte a una concezione individualistica ed egoistica della vita umana. Un impoverimento inaccettabile, quello che Ds e Margherita stanno compiendo ai danni del popolarismo, in nome di una cultura laicista, non certo laicamente intesa.

E i cattolici, che pure si organizzano, e pesano, nella Margherita oggi e nel Pd domani, onorevole, dagli ex-Popolari, in cui lei ha militato fino a ieri, ai cosiddetti “teo-dem”?

       Li vedo incerti, dispersi e molto dubbiosi. Alcuni rischiano di diventare sostenitori di valori “solo” cattolici, privandosi di una visione generale dello Stato e della società, come i “teo-dem”. Di fare, insomma, una specie di “sindacato”, interno al Pd, che rappresenta solo i temi eticamente sensibili, mentre invece il popolarismo che ci hanno insegnato Sturzo e De Gasperi aveva tutt’altra visione, stile e prassi politica, senza dire dei mezzi a disposizione. Nel Pd manca la funzione vitale del centro che quel movimento e quella storia hanno rappresentato. Insomma, il Pd – per dirla brutalmente – nasce senza essere né carne né pesce, come una pura combinazione di oligarchie e senza una dottrina che ne ispiri l’azione e con l’idea che “le procedure” (dalle primarie ai gazebo, dal ruolo della premiership a quella del candidato premier) contano più dei valori. Inoltre, il Pd radicalizza in senso negativo la politica italiana.

A proposito di procedure, cosa pensa del dibattito in corso sulle modifiche alla legge elettorale e sul referendum che incombe?

       La smania di risolvere la crisi della politica con il ricorso a forme surrettizie o aperte di presidenzialismo è sempre maggiore, anche nel centrosinistra. Il popolarismo e la tradizione del cattolicesimo sociale è invece sempre e non a caso stata orientata al modello proporzionale, che garantisce e risolve insieme il problema della rappresentanza e quello della governabilità. Il modello elettorale migliore, quello da prendere a modello, è senza dubbio il modello tedesco, che grazie alla funzione di garanzia della soglia di sbarramento al 5% e il meccanismo della sfiducia costruttiva, li risolve entrambi. A quello deve puntare ogni formazione politica di centro che creda nel valore e nella funzione ancora attuale della lezione del popolarismo.

Quale futuro vede, politicamente ed elettoralmente parlando, per una formazione neocentrista?

       La capacità di ridefinire una posizione di equilibrio e moderazione senza farsi prigioniero degli ideologismi, a partire da quello dell’economicismo. In questo senso le proposte che avanza l’economista Mario Monti mi convincono perché puntano a una società più equa e più giusta, senza assolutizzazioni del mercato e rispettando le regole del gioco democratico. In Italia esiste una vasta area di gruppi sociali, politici, di mondi dell’associazionismo e del volontariato che possono agevolmente ritrovarsi in queste idee e allearsi con il popolo delle partite Iva e dell’imprenditoria media e piccola, non certo alla grande industria e alle nuove grandi concentrazioni bancarie, che in Italia come negli Stati Uniti scelgono sempre, invece, di stare dalla parte della sinistra liberale e laicista. Una nuova forza di centro deve inoltre dare impulso a una forte legislazione sociale a difesa della famiglia, dei suoi principi e valori, oggi sempre più minacciati. Ecco perché penso che il Family day ha solo voluto difendere una concezione laica della società ma incorporando i valori fondanti della religione. Quel popolo è “naturalmente” di centro e collocabile al centro, dal punto di vista politico, perché questo chiede: equilibrio, prudenza, rispetto dei valori fondanti e politiche attive per la famiglia. Un buon rappresentante di questa esigenza di centro può essere, a mio parere, il portavoce del Family Day Savino Pezzotta. In lui spero, dopo aver creduto che quel ruolo poteva essere ricoperto da Marco Follini, che invece ha voluto scegliere il Pd. E anche in una possibile alleanza con il mondo dell’impresa, a partire dallo stesso Montezemolo, il cui recente discorso a Confindustria è stato troppo strumentalizzato. Altri partiti e altre forze, ne sono sicuro, arriveranno. A partire dall’Udc di Casini passando per l’Udeur di Mastella. Con loro, in vista delle europee del 2009, dobbiamo costruire il nuovo centro italiano.


Ettore Colombo

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