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  L’inerzia del Governo davanti al Sud che arretra

Data di pubblicazione: Sabato, 17 Ottobre 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.73 Agosto / Settembre 2015 :: L’inerzia del Governo davanti al Sud che arretra

Il grido d’allarme: la questione meridionale è più viva che mai

DA GIOLITTI AD OGGI: UNA QUESTIONE… MERIDIONALE

Sud per lo più, nell’immaginario collettivo, è sinonimo di arretratezza industriale, disoccupazione giovanile, corruzione politica, disavanzo sociale, ignoranza, malavita, arrampicatori sociali e ignoranza dilagante. Una situazione che definire incancrenita è dir poco. Una fotografia davvero sconcertante che ridisegna confini e geografie, fomentando un’antipatia che scavalca i confini non solo nazionali. Più e più volte la “questione meridionale” è approdata sul tavolo del Parlamento Europeo che ha legiferato, sanzionato e punito l’arretratezza del Sud della penisola. Il dibattito sugli squilibri tra Nord e Sud del Paese si è tristemente ridotto, pertanto, alla riproposizione di un “teorema meridionale” in base al quale lo stanziamento di risorse per il Mezzogiorno sarebbe inutile, visto che in passato esse non si sono rivelate efficaci a causa degli sprechi e della struttura clientelare della società meridionale. L’unica via percorribile per rilanciare l’economia non solo del Sud, ma di tutto il Paese, è invece quella di rendere prioritarie nell’agenda politica italiana l’elaborazione e l’attuazione di politiche di sviluppo che puntino anche alla crescita delle imprese e dell’occupazione nel Sud Italia. La situazione è talmente vicina alla catastrofe e ad un punto di non ritorno che vi è da subito la necessità di ripensare, rielaborare, riarticolare quella che Antonio Gramsci, con felice intuizione, aveva definito “la questione meridionale”, come grande questione nazionale ed europea. D’ora in avanti, la sfida di ogni governo del Paese non può che partire dalle condizioni drammatiche del Mezzogiorno, e produrre ipotesi di sviluppo mettendo in campo tutte le risorse pubbliche disponibili per progetti che abbiano un valore strategico e un futuro.

I TRE DATI DA CUI OCCORRE PARTIRE PER RIFLETTERE

Il dato è relativo al 2014: la crescita dei posti di lavoro ha interessato solamente il Centro-nord, con 133mila unità in più, mentre il Sud risulta ancora una volta penalizzato con una perdita di 45mila unità. Quando il governo si vanta dei numeri relativi alla crescita degli occupati, forse dovrebbe anche segnalare questa verità sui cosiddetti saldi occupazionali. Non basta insomma dire che si cresce di 88mila unità, se poi la verità è che un intero sistema produttivo si sta spostando da Sud a Nord, lasciando a Sud migliaia di famiglie in condizioni di marginalità sociale. E non basta neppure esaltarsi per i dati dei primi due trimestri del 2015, come fanno alcune agenzie governative, con 47mila apparenti nuovi assunti, solo perché al Sud ci si muove attraverso il Jobs Act, che concede alle imprese una significativa decontribuzione, un grosso risparmio. Non è altro che emersione di lavoro nero. Non è il segnale di una ripresa produttiva. Il secondo dato è altrettanto drammatico e fa riferimento alla tendenza progressiva tra il 2008 e il 2014 dei licenziamenti: su 811 mila unità, 576 mila risiedono al Sud. La sproporzione è del tutto evidente. Infine, i dati relativi al genere e alle generazioni. E qui siamo davvero alla tragedia: solo una donna tra i 15 e i 34 anni su cinque risulta occupata al Sud, mentre complessivamente il tasso di disoccupazione giovanile supera abbondantemente, ormai, il 50%. Il Sud è sostanzialmente ritornato alle prassi occupazionali di un secolo di fa: nelle campagne abbondano i caporali e le chiamate alla giornata, ovviamente con paga a nero, che sono le forme del nuovo schiavismo; è tornata la migrazione necessitata, obbligata, di decine di migliaia di giovani meridionali verso il Nord e verso l’Europa; si è allargata all’inverosimile la frattura tra poveri e ricchi, con questi ultimi che diventano sempre più ricchi e potenti.
Davanti a questa situazione, che molti definiscono di “malati immaginari”, ci saremmo attesi reazioni decise, determinate, da parte del governo: le abbiamo cercate ma non le abbiamo trovate. Forse ci sono sfuggite. Eppure, i dati sono peggiori di una scossa elettrica da migliaia di volts. Insomma, non pare proprio che il meridionalismo sia una cifra impegnativa per il governo Renzi.
Abbiamo invece rilevato importanti dichiarazioni da parte di personalità del mondo politico e sindacale, esterni all’area di governo. Il segretario della Uil, Carmelo Barbagallo, ha voluto fare una battuta che, nella sua semplicità, esprime tuttavia l’angoscia del popolo meridionale: “il Sud era la Magna Grecia, ora è tristemente metà della Grecia”. Il senso è chiaro. Da parte sua, la Cgil, con Gianna Fracassi della segreteria nazionale, rileva la drammaticità della questione meridionale e rilancia “a settembre una vertenza nazionale”. E denuncia l’inerzia del governo Renzi. Ma sono tutte le strutture territoriali a far sentire forte la propria voce, dalla Campania alla Sicilia alla Puglia, alla Calabria, non solo smascherando l’assenza di politiche attive per il Mezzogiorno da parte del governo Renzi, ma anche denunciando le condizioni di lavoro vicine al moderno schiavismo che lo smantellamento delle attività produttive ha lasciato in eredità.
Si fanno sentire anche due leader della minoranza interna del Pd, Gianni Cuperlo e Roberto Speranza, i quali rivolgono tre domande a Renzi, Padoan e Delrio, sull’assenza, nei fatti, di politiche per il Mezzogiorno: una lacuna che contrasta con gli indirizzi programmatici. Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha detto con estrema chiarezza, presentando le variazioni al bilancio della città, che da parte del governo “c’è irresponsabilità politica, verso Napoli, verso il Sud, e verso l’Italia”.

Michele Cutolo
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