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  Il popolarismo di De Gasperi

Data di pubblicazione: Giovedì, 2 Ottobre 2014

TRAGUARDI SOCIALI / n.67 Luglio / Settembre 2014 :: Il popolarismo di De Gasperi

Lo sguardo lungimirante dello statista è attuale ancor oggi, a 60 anni dalla sua scomparsa.





Il popolarismo di De Gasperi affonda le sue radici nella Dottrina sociale della Chiesa e nella sua storia politica che nasce in una marca di frontiera come il Trentino, allora parte integrante dell’Impero Asburgico, difendendo - senza estremismi rivoluzionari o velleità nazionaliste ma, sempre, con grande fermezza e coraggio - le tradizioni, i diritti e le peculiarità del suo popolo e del suo territorio: innanzitutto, la sua “italianità”.
Una linea rossa che attraversa tutta l’esperienza politica e umana di Alcide De Gasperi il quale, anche nel suo ultimo discorso, quello del Congresso della Dc a Napoli nel giugno del 1954, non manca di riaffermare, ancora una volta, il “primato democratico” che nasce dalla cultura politica del popolarismo.
Nella concreta azione politica e di governo, il popolarismo di De Gasperi si orienta su tre fondamentali ‘stelle fisse’: la libertà, la giustizia sociale e l’Europa.
La libertà di cui parla De Gasperi è qualcosa di molto diverso dal concetto di ‘libertà’, come esplosione individualistica tesa al soddisfacimento integrale di tutti i desideri, per l’occasione rinominati ‘diritti’, che il main stream del ‘pensiero unico dominante’ ci propone oggigiorno, quotidianamente.
E’ un concetto di libertà alto e fiero, radicato nell’etica e nel senso religioso della vita: “Non si può salvare la libertà dell’uomo, dell’associazione e dei cittadini, senza ordine e senza disciplina, se non c’è di fatto e non c’è nel costume e nello spirito di coloro che partecipano alla vita pubblica, la libertà va perduta”.
E’ proprio in forza di questo spirito che si rese possibile il miracolo della ricostruzione dell’Italia dalle macerie del secondo dopoguerra, proprio quando la questione della libertà, con il calare della ‘cortina di ferro’, diventava, ancora una volta, sempre più urgente e incombente.
“L’opposizione al totalitarismo - come nota acutamente Gianni Baget Bozzo – rimane la costante di De Gasperi quando egli diviene leader della Dc nel Comitato di Liberazione Nazionale. Ottiene gradualmente che la Chiesa sostenga l’unità dei cattolici intorno alla Dc, non tanto per l’interesse di partito, quanto per garantire l’aggancio della Chiesa alla causa della libertà. (…) Si tratta di una linea spirituale e culturale fondamentale: quella di associare il cattolicesimo al liberalismo sul principio che la questione determinante in politica è quella della libertà”.
La centralità assoluta del concetto di libertà, nel pensiero e nell’azione di Alcide De Gasperi, non fa, però, di lui un cattolico-liberale. De Gasperi era e resta un cattolico popolare. Questo non solo per la sua specifica visione della libertà ma, soprattutto, per la sua forte e primaria attenzione verso la questione sociale. Una posizione riformista assolutamente aliena da ogni conservatorismo economico.
La giustizia sociale è la seconda ‘stella fissa’ del popolarismo degasperiano.
Per De Gasperi la giustizia sociale non è una questione di etichette. E’ questione di contenuti e di scelte coerentemente riformatrici: “Non domandate se è meglio andare a sinistra o a destra. Queste sono espressioni a cui ricorriamo perché abbiamo bisogno di questa topografia per intenderci. Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti e andare avanti vuol dire che bisogna andare verso la giustizia sociale. Vuol dire che bisogna muovere lo Stato a servire di più il Popolo e le classi popolari”.
L’ansia di giustizia sociale che anima l’azione di De Gasperi si radica fortemente nella Dottrina sociale della Chiesa e questo lo rende immune dalle suggestioni ideologiche emanate dal marxismo al tempo sempre più considerato, sulla scia di Maritain, “eresia cristiana”. La sua visione si ispira sempre al realismo cristiano.
L’Europa è, infine, la sua terza ‘stella fissa. Si tratta di un’Europa che ha una sua precisa connotazione: è un’Europa politica. Su questo punto la posizione di De Gasperi è nettissima e, alla luce di quanto è avvenuto, e sta avvenendo, per molti versi profetica.
L’ultima grande battaglia europeista di De Gasperi, quella per il trattato di difesa comune europea, è una battaglia squisitamente politica. Nella Ced De Gasperi vedeva il volano per mettere, irreversibilmente, in moto il processo di unificazione politica dell’Europa; ed egli condusse questa battaglia sostanzialmente ‘in solitaria’.
Scrive al riguardo Craveri nella sua bella biografia: “Impose allora ai suoi colleghi europei il suo punto di vista relativo alla priorità dell’unità politica”. In questo impegno incontrò non lievi resistenze da parte di chi, dell’unificazione europea, aveva un’immagine essenzialmente economico-funzionale.
Quando si era, ormai, ad un passo dalla meta, alla vigilia del varo della Ced, queste riserve, in sinergia col mai sopito nazionalismo francese, prevalsero: il parlamento francese il 30 agosto 1954, pochi giorni dopo la morte di De Gasperi, bocciava il trattato istitutivo affossando definitivamente la Ced.
De Gasperi che, pur nella solitudine e nella malattia, aveva avvertito che la partita stava per essere perduta il 14 agosto, pochi giorni prima di morire, aveva lucidamente scritto a Fanfani da Sella di Valsugana: “Se le notizie che giungono oggi dalla Francia sono vere, anche solo per metà, ritengo che la causa della Ced sia perduta e ritardato di qualche lustro ogni avviamento dell’Unione Europea”. Come è, infatti, immancabilmente, avvenuto.

Pier Paolo Saleri
Vicepresidente Fondazione Italiana Europa Popolare
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