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  Un impegno nuovo e diverso dei cattolici

Data di pubblicazione: Giovedì, 3 Ottobre 2019

TRAGUARDI SOCIALI / n.95 Settembre / Ottobre 2019 :: Un impegno nuovo e diverso dei cattolici

Editoriale

Il percorso di disintermediazione mirato ad annientare i meccanismi di rappresentanza sociale e politica è iniziato da tempo e credo che ormai sia giunto al capolinea. E’ un processo sociale e culturale molto pericoloso. Il punto di partenza è il rifiuto del dialogo, dell'interlocuzione vera, dell'ascolto delle organizzazioni sociali e dei corpi intermedi.
Da Tremonti, all’epoca dei tagli lineari, a Matteo Renzi - che nel 2014 invocò la disintermediazione preferendo il rapporto diretto con il “popolo” senza alcun riconoscimento della funzione di rappresentanza degli interessi generali, sociali, di categoria delle organizzazioni - è più che evidente che i corpi intermedi sono stati sottoposti ad un duro declassamento del loro ruolo e, a volte, perfino ad arroganti demonizzazioni.
Il passato governo gialloverde ha trascinato alle estreme conseguenze questa posizione - tipica di tutte le formazioni e coalizioni populiste - mescolando l'autoritarismo della Lega e la disintermediazione dei 5 Stelle a base di like e piattaforme digitali. Salvini e Di Maio si sono rivelati gli ottimi eredi di Renzi e della voglia di azzerare qualunque organismo sociale che si collochi tra lo Stato e il popolo. Basti anche pensare ai provvedimenti mirati a ridurre risorse e strumenti per un welfare universalistico e solidale; allo sventato colpo sull’Ires; alla norma “spazza-corrotti”; al ventilato ritorno del tetto alle contribuzioni del cinque per mille; alla mancata emanazione dei decreti sulla legge delega del Terzo settore e sulla finanza etica, ma anche alla riduzione dei fondi alla cooperazione allo sviluppo, (ai CAF). Tutto questo non ha fatto che aumentare la sgradevole sensazione che il governo abbia cercato di screditare il Terzo Settore, facendo passare per “furbetti” quelli che da anni, e in silenzio, lavorano per tenere in piedi il Paese colmando gli enormi vuoti lasciati dalle istituzioni. Ma anche l’altrettanto sgradevole sensazione che si voglia costringere il Terzo settore e la società civile al guinzaglio. Mentre la “politica vera” langue e i partiti sono allo sbando.
La difficile situazione economica in cui versa l’Italia deriva non solo dalla crisi, dalle mutazioni tecnologiche e dall’accentrarsi del potere economico, ma anche dai ritardi e dalle inadempienze delle classi dirigenti e dei governi che si sono succeduti. La politica, quando non è in propaganda elettorale, soffre di un grave deficit di progettualità.
E proprio in questa situazione difficile del Paese la funzione dei corpi intermedi torna ad emergere e perfino il nuovo Governo giallorosso dovrà accorgersene. Perché i corpi intermedi ci sono e vogliono tornare ad essere protagonisti per riportare l'interesse generale e il bene comune al centro di una democrazia partecipata e cambiare le sorti in cui versa il Paese.
Il loro potenziale può essere davvero fondamentale per impedire il protrarsi della stagnazione economica, ma anche le fughe in avanti di proteste che a lungo andare non potranno far altro che esplodere. Ma per fare questo devono riformarsi, approfondire il valore della democrazia e della partecipazione, diventare una forza sociale talmente forte da non poter essere più elusa, in modo da orientare il corso della politica economica verso obiettivi di tenuta sociale e di crescita realmente incisivi. Se i corpi intermedi riusciranno a procedere in questo percorso, e non in ordine sparso, potranno anche rianimare il confronto politico e ristabilire una dialettica seria fra maggioranza e opposizione, restituire al Paese il desiderio di partecipare alla vita politica, recuperare il ruolo della rappresentanza politica e la passione verso gli ideali, ed impedire la decadenza delle classi dirigenti.   
Si dovrebbe tornare ad avere una visione, dal basso e dalle pratiche, di un impegno che non può non essere anche politico, fatto sì anche di convegni e manifestazioni, ma non solo, perseguendo obiettivi comuni, concentrando la nostra azione su una strategia riformatrice che oggi il Paese non ha, puntando alla creazione di un nuovo modello di democrazia sociale.
Le ultime tornate elettorali hanno evidenziato che nel nostro Paese stiamo lasciando un blocco sociale senza un’adeguata rappresentanza politica, in balia dei populismi e dei sovranismi, e ormai incline all’astensionismo. L’Italia merita di più, molto di più, di un derby fra laicisti e sovranisti!
L’Italia ha bisogno di una forza liberale, moderata, riformista, popolare che anteponga le necessità e gli interessi della società a quelli dello Stato, che valorizzi i corpi intermedi a partire dal più importante che è la famiglia, che promuova uno sviluppo coerente col rispetto del creato, che non subisca i dettami di una cultura che ci vuole tutti uguali, neutri, inoffensivi. Il panorama che ci circonda è sotto gli occhi di tutti: un Paese con il grande debito pubblico che frena ogni tentativo di riforma, ed una crescente aria generale di sfiducia e di rancore. Ma per poter costruire un nuovo “centro moderato” servono valori forti che tengano insieme vita, famiglia, solidarietà e giustizia sociale.
Viviamo un momento di grande confusione e, proprio per questo, ritengo essenziale che il mondo cattolico riscopra la necessità di una presenza pubblica nell’esperienza di fede. Essere “Chiesa in uscita” significa anche assumersi la responsabilità di portare nelle istituzioni quei valori fondamentali della vita, della famiglia, del lavoro, della solidarietà, e di lavorare sul territorio per dare voce alle istanze che vengono dal basso.
Ma intanto è assolutamente necessario sgombrare il cosiddetto “campo moderato” dalle macerie degli ultimi anni, compresi i leaders senza carisma, senza visione, senza alcun seguito e, spesso, come ho detto altre volte, anche imbarazzanti. Non abbiamo bisogno di partitini da “prefisso telefonico”! Per questo ci vuole soprattutto un impegno nuovo e diverso dei cattolici anche con proposte forti: la moderazione è uno stile non la rinuncia a proposte forti.
Adesso abbiamo un nuovo Governo, lo giudicherò, come sempre, sui fatti, ma alcune cose voglio dirle perché in tempi di “trasformismo” - “trasformismo acrobatico” lo ha chiamato De Bortoli - mi sembra che si sia superato il limite: e questo accresce ancora di più sfiducia e disaffezione nei confronti della politica. Sono molto preoccupato perché su: “lavoro, educazione, famiglia, scuola” sembra prendere il sopravvento una cultura elitaria, radicale, laicista presente (più o meno) nelle forze che sostengono il Governo ed estranea ai fermenti popolari presenti nel Paese e che noi cerchiamo di rappresentare, di difendere.
L’impegno dei cattolici in politica, quelli “liberi, forti, autonomi” - non quelli già prostrati al nuovo Governo - e disponibili a rischiare una presenza costruttiva, uscendo dal torpore, dalla paura, dalla sfiducia, può fornire un apporto strategico come avvenuto già in tanti altri momenti del passato. Non possiamo esimerci dal fare proposte e dal farci carico delle nostre responsabilità, indicando un percorso dal quale ripartire. Dobbiamo esprimere una proposta politicamente rilevante, forte, capace di tornare a connettere interessi e valori e di riportare una parola di verità.
Consapevoli delle tante difficoltà che attraversa il mondo cattolico, ma anche consapevoli, anzi certi, che in questo percorso non saremo da soli.

Carlo Costalli
Presidente Movimento Cristiano Lavoratori
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