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  Carlo Costalli alla 48a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani

Data di pubblicazione: Giovedì, 9 Novembre 2017

TRAGUARDI SOCIALI / n.86 Novembre / Dicembre :: Carlo Costalli alla 48a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani

48° Settimana Sociale

Pubblichiamo di seguito una sintesi dell’intervento del Presidente MCL, Carlo Costalli, alla 48° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, nell’ambito della tavola rotonda su “Il senso del lavoro umano e le sfide dell’innovazione”, moderata da Franco Miano, membro del Comitato, cui hanno partecipato: Paolo Benanti, docente dell’Università Gregoriana, Annamaria Furlan, Segretario Generale della CISL, Stefano Micelli, docente dell’Università di Venezia, Tiziano Treu, Presidente del CNEL.

La stretta connessione tra persona e lavoro ha in sé un esplicito richiamo storico alle radici cristiane della nostra società e ci attribuisce una responsabilità specifica nel sistema delle relazioni economiche e politiche, dalle quali dipende il nostro futuro. In Italia e in Europa le donne e gli uomini esprimono attraverso il lavoro le loro attitudini, i loro talenti, le loro vocazioni, contribuendo a realizzare le loro aspettative. Il frutto del lavoro, il suo godimento, la sua ricchezza e il valore che ne scaturisce rappresentano la condizione e il fondamento della dignità e della libertà di tutti.
Beni, questi, talmente preziosi da valere ben più del superfluo che ci viene propinato da un modello di sviluppo superato per noi e, ancor di più, per le giovani generazioni. Il lavoro è parte decisiva della vita delle donne e degli uomini, in grado di far emergere virtù quali dedizione, creatività, cooperazione, onestà, rettitudine, lealtà, appartenenza comunitaria: in poche parole “senso e significato di una vita pienamente umana”.
Dobbiamo mantenere una visione alta del lavoro umano promuovendo i diritti fondamentali dei lavoratori, pur nella necessità di adattarne le forme giuridiche; coltivando la dimensione comunitaria e solidale del lavoro e della stessa impresa, argine all’individualismo e alla frammentazione; avendo costantemente la consapevolezza che il lavoro ha il primato sul capitale e che l’uomo ha il primato sul lavoro; confermando la convinzione che il lavoro deve servire anche al mantenimento della famiglia; armonizzando il lavoro e la vita complessiva della persona che lavora, rispettando il riposo e il tempo della festa; facendo procedere di pari passo e in connessione le politiche del lavoro e quelle della famiglia; garantendo la possibilità reale e concreta di strumenti di previdenza sociale; incrementando la capacità di fare impresa; valorizzando l’economia civile e solidale e l’apprezzamento per quelle imprese che non hanno come unico obiettivo la massimizzazione del profitto.
L’era dell’innovazione sta portando con sé cambiamenti ben più importanti rispetto alle precedenti rivoluzioni tecnologiche ed è necessario comprendere le sfide che offre - che non debbono trovarci impreparati - e prevedere delle strategie e dei piani a lungo termine. In questo nuovo contesto c’è chi “vede nero” per il lavoro umano nel prossimo futuro, riproponendo il timore che emerge puntuale in ogni fase di cambiamento. Fin dalla rivoluzione industriale la tecnologia ha innovato il lavoro rendendolo più produttivo, meno pericoloso, meno faticoso, e il tasso di occupazione è aumentato al di là delle previsioni disastrose. Certo, la sostituzione dei lavori “vecchi” con quelli “nuovi” non sarà immediata ed è quindi lecito aspettarsi un aumento della disoccupazione, almeno nel breve periodo.
Il lavoro sta cambiando a grande velocità ma non possiamo lasciarci andare a catastrofismi, piuttosto dobbiamo trovare risposta a una domanda fondamentale in questa fase: in quale modo sarà possibile creare e difendere il lavoro di “buona qualità”? Credo sia giunto il tempo di puntare non più solo su un sistema di tutele per difendere il posto di lavoro: è tempo di costruire un sistema di tutele per “la persona nel lavoro”.
Tutti insieme dobbiamo continuare a lavorare per il sistema Paese: non potremo fermarci fino a quando l’economia non sarà tornata in piena salute, con una netta riduzione della disoccupazione e della povertà, e i lavoratori non abbiano un lavoro dignitoso.
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