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  I cattolici possono dare anima alla vita pubblica

Data di pubblicazione: Martedì, 14 Novembre 2017

TRAGUARDI SOCIALI / n.86 Novembre / Dicembre :: I cattolici possono dare anima alla vita pubblica

Intervista a Giancarlo Cesana

E' sempre un motivo di stimolo e di riflessione attingere alle grandi esperienze di coloro che hanno segnato la vita del cattolicesimo italiano negli ultimi decenni: Giancarlo Cesana, che è stato uno storico leader laico di Comunione e Liberazione, è fra questi. Con lui abbiamo fatto il punto su molti argomenti che toccano dal vivo la presenza e l’impegno dei cattolici nel sociale, nella politica, nel lavoro.

Si è svolta recentemente a Cagliari la Settimana sociale dei cattolici italiani, avente come tema il lavoro. Dal suo punto di osservazione come vede la situazione del lavoro (in specie dei giovani) e come operare per ritrovarne il senso profondo?
Le notizie sul lavoro sono sempre allarmanti, soprattutto per quel che riguarda la disoccupazione giovanile, che tra i 15 e i 24 anni raggiungerebbe nel nostro Paese oltre il 40%, superato solo da Spagna e Grecia. Un articolo de Il Foglio del 7 ottobre scorso (“L’inganno statistico della disoccupazione giovanile”, che riporta un estratto del libro di A. Del Boca e A. Mondo, “L’inganno generazionale. Il falso mito del conflitto per il lavoro”, edito dall’Università Bocconi) ridimensiona la percentuale al 10,1%, poco sopra la media europea del 9,7%. Afferma invece che il problema maggiore riguarda la fascia tra i 24 e i 34 anni dove la disoccupazione sarebbe del 17,7% contro l’11,7% della popolazione generale.
C’è poi la questione seria dei Neet – Not in education employment or trainining – che nel nostro Paese, tra i 15 e i 29 anni, raggiungerebbe il 35%, al penultimo posto della graduatoria sopra la Turchia. L’articolo è molto ben documentato e, a mio avviso, richiama a una revisione critica delle cifre e quindi della situazione sottostante. Tutti questi dati e analisi sottolineano come il senso profondo del lavoro vada riconquistato, nelle sue dimensioni di gratuità e necessità che danno scopo e dignità alla vita, attraverso un’educazione che intervenga non solo sul lavoro, ma sul valore di tutta l’esistenza.

Proseguendo sulla linea della domanda precedente e allargando lo sguardo: sembra emergere il rischio di un nuovo statalismo e burocratismo in molti settori del welfare. Penso sia stato uno dei motivi di rigetto al referendum sulla proposta di modifica costituzionale dello scorso dicembre. Qual è il suo punto di vista in proposito?
Il sistema di welfare, ovvero di protezione sociale contro la malattia, la disoccupazione, l’ignoranza e la vecchiaia, è una conquista di cui la Ue va orgogliosa, paragonandosi alla società americana. E’ tuttavia molto costoso. Impegna le nazioni più progredite, tra cui la nostra, a una spesa annua dalla nascita di circa 8.000 euro pro-capite, a prescindere dagli interventi specifici sopra menzionati. Ovviamente a un impegno così gravoso degli Stati, che si fanno garanti del benessere della popolazione, corrisponde una burocratizzazione importante e una deresponsabilizzazione degli individui, che tendono a ricorrere alla pubblica amministrazione come ammortizzatore sociale. Basti pensare che da noi la spesa pensionistica è al 17% del PIL, quattro punti sopra la media europea. Questo fatto, insieme all’aumento dei bisogni sanitari della popolazione sempre più senescente, se le cose non cambiano, renderà il sistema di welfare insostenibile.
Mi sembrano veramente irresponsabili le richieste sindacali di riduzione dell’età pensionistica e le cedevolezze relative dei politici di tutti gli schieramenti, per ragioni elettorali. Non credo che il rigetto del referendum costituzionale abbia avuto come motivo il lavoro, ma l’atteggiamento irresponsabile dei promotori che sempre per ragioni elettorali hanno posto una serie di quesiti, a volte contradditori e spesso incomprensibili per la gente.

Si registrano negli ultimi tempi frequenti richiami di Papa Francesco a un impegno fattivo dei cattolici in politica. Come valuta l’attuale scenario italiano e quale il ruolo dei cattolici (anche in vista delle prossime elezioni nazionali e regionali).
Sempre i Papi hanno richiamato l’impegno politico, che Paolo VI mi pare avesse addirittura definito come forma più evoluta di carità. Ma per favorire l’impegno politico è necessaria la stima delle istituzioni e un senso della vita che si rivolga al bene di tutti. Siamo in un punto molto basso: la secolarizzazione, il crollo delle ideologie e, da noi, l’attacco corrosivo del giustizialismo alla rappresentanza politica scoraggiano e molto. I cattolici possono dare anima alla vita pubblica, certamente! La realtà del family day per esempio lo sta facendo, insieme a molti altri meno in evidenza. Tutti debbono essere sostenuti dai loro pastori, che non possono sottrarsi alla storia. I preti, se vogliono essere uomini, debbono assumersi le responsabilità degli uomini.

Recentemente è uscito un suo libro da titolo “Ed io che sono? Tra psicologia ed educazione e psicologia” (Lindau, 2016) che ha suscitato numerose presentazioni pubbliche ed un certo dibattito. Quale preoccupazione ha voluto evidenziare?
Molto sinteticamente. L’educazione oggi assume frequentemente la forma di una psicologia minore. Ovvero si ispira a un modello medico scientifico. Mentre il proprio dell’educazione è una proposta alla libertà, ovvero a quella dimensione misteriosa che rende la persona unica. E la libertà è evocata dalla verità, ovvero dal patrimonio vivo di scoperte, evidenze ed esperienze consegnatoci dalla tradizione, ovvero da coloro che per cercare la verità hanno dato o speso la vita. Per educare bisogna sapere da dove si viene e dove si va, in una parola a chi si appartiene. Senza vita in comune, continuamente verificata e confrontata, educare è praticamente impossibile. La comunità cristiana, da questo punto di vista, è un esempio formidabile.
Basti pensare alla eccellenza di molte scuole di ispirazione cattolica. Un po’ di psicologia è certamente utile e nei casi patologici è essenziale anche molto più di un po’, ma non è il centro dell’educazione.

Alla luce di tutto ciò qual è il compito specifico della cultura? So che Lei è impegnato in una nuova ‘avventura’ culturale che ha dato origine ad un’Associazione culturale dal nome significativo: “Esserci”.
Secondo una bellissima ed efficace definizione di Don Giussani, la cultura è la coscienza sistematica e critica della propria esperienza.
Gli adulti, che si differenziano dai giovani per la loro responsabilità generativa, hanno il dovere di farla crescere e comunicarla. Se, come diceva il titolo di un Meeting di Rimini di qualche anno fa, la conoscenza è un avvenimento che dipende dall’incontro di due libertà, l’educazione è un lavoro, ovvero il terreno in cui l’avvenimento della conoscenza può manifestarsi.
Torniamo al problema posto dalla prima domanda, senza lavoro non si attira il dono insito nella realtà, per me la Grazia di Dio. Lavorare è necessario, anche se non è sufficiente perché la vita non dipende da noi, o solo da noi. L’associazione culturale Esserci è una modalità per fare e sostenere tale lavoro. Ci auguriamo che trovi molte adesioni ed entusiasmo, che è il motore di qualsiasi iniziativa.

T.S.
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