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  Voucher e articolo 18 al centro dei quesiti referendari della Cgil

Data di pubblicazione: Giovedì, 2 Febbraio 2017

TRAGUARDI SOCIALI / n.82 Gennaio / Febbraio 2017 :: Voucher e articolo 18 al centro dei quesiti referendari della Cgil

All’Italia servono politiche attive del lavoro

Se il governo non interviene con correttivi legislativi, andremo a votare su due Referendum presentati dalla Cgil.
Il primo riguarda l’abrogazione dell’utilizzo dei voucher, il secondo invece è relativo alla reintroduzione della piena responsabilità solidale in tema di appalti. La Corte Costituzionale ha rigettato il terzo Referendum, quello più temuto e più significativo - sia politicamente che tecnicamente - sui licenziamenti, che avrebbe portato a reintrodurre, persino rafforzandolo, l’ex articolo 18.
La Corte ha lasciato cadere il quesito sull’articolo 18, la madre di ogni scontro in tema di lavoro da almeno vent’anni, ma questo non ha fermato l’azione della Cgil che ha annunciato di presentare ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Il dibattito infuocato che c’è stato in questi ultimi tempi sui quesiti sollevati dalla Cgil, e che continua alimentato dai dati sconfortanti del mondo del lavoro, sta facendo emergere un errore di prospettiva che mette in luce il vero problema del lavoro in Italia. L’errore di prospettiva è presupporre un mondo del lavoro, o più semplicemente un mondo, come quello che abbiamo conosciuto fino a qualche anno fa, in cui le sfide maggiori erano passare da un’organizzazione tayloristica del lavoro ad un sistema più flessibile, tutelare i lavoratori che non avevano più un posto fisso e che rischiavano di cadere nella trappola della precarietà, porre un freno alla flessibilità indiscriminata, immaginare un percorso del welfare per chi non aveva più una continuità lavorativa. Non che queste sfide siano state felicemente superate, anzi non solo permangono ma si sono pure aggravate perché, nel tempo, a queste sfide si sono aggiunti almeno tre fattori che hanno e che avranno un impatto dirompente: dai precari del lavoro siamo passati agli esclusi; è esploso quel processo epocale che è la migrazione; è arrivata una nuova rivoluzione industriale.
Abbiamo perso tantissimo tempo tra smanie di un riformismo non riformatore, tra contrapposizioni ideologiche, tra demonizzazioni e tentativi di demolizione del mondo della rappresentanza sindacale e della società civile, e senza neppure accorgercene il futuro ci ha superati ed è diventato presente, anzi passato. Non che i segnali chiari dei dati ISTAT - per rimanere alle sole fonti ufficiali - non fotografassero un mondo del lavoro in cambiamento, non perché la nostra vita lavorativa, e delle persone che ci stanno accanto o che incontriamo, non raccontasse una storia differente dal main stream del mondo del lavoro, ma perché si è guardato da un’altra parte.
Nel nuovo presente che abbiamo di fronte appare completamente riduttivo e fuorviante tornare a doversi confrontare sui voucher o sull’articolo 18, non perché non siano questioni importanti (soprattutto per le situazioni personali di quanti sono coinvolti), ma perché il Jobs Act stesso sembra essere inadeguato ad affrontare la nuova realtà che abbiamo di fronte. Il voucher è uno strumento (non il solo) pensato per contrastare la grande e perenne piaga del lavoro nero che, oltre a ledere la dignità del lavoratore, distorce il mondo del lavoro con conseguenze gravissime su tutta la società. Il problema non è il voucher, ma il lavoro sommerso: forse sarebbe meglio chiedersi se questo strumento risponde ancora allo scopo di tracciare delle prestazioni lavorative che sono a rischio di lavoro nero, oppure se e quando il voucher è stato utilizzato in modo improprio.
Allo stesso modo la questione sull’articolo 18, sulla “libertà” di licenziare, non può limitarsi ad un richiamo legislativo, ma chiede di porre attenzione alle politiche attive del lavoro. Ancora una volta il problema non è un articolo di legge, ma un intero sistema che non è capace di riformarsi.
Parliamo di politiche attive del lavoro da almeno due decenni e ancora poco si è fatto in questa direzione; diciamo che il lavoro non si crea per decreto, ma poi si discute di tutto fuorché di un piano per rilanciare lo sviluppo della nostra economia, senza il quale anche la migliore strategia di inserimento lavorativo rimane al livello di una semplice alchimia. è stato svilito l’unico metodo che ci può guidare attraverso queste ripetute crisi per rilanciare lo sviluppo sociale ed economico del nostro Paese, un metodo che si fonda sul coinvolgimento delle parti sociali, di tutte le forze della comunità come le associazioni, le scuole, le agenzie educative e come, soprattutto, le famiglie. Solo attraverso il confronto reale e non ideologico tra le parti più vitali della nostra società potremo affrontare la sfida della nuova rivoluzione industriale, le terribili situazioni degli esclusi, la questione epocale delle migrazioni. Tutte cose che non sono lontane, ma che ci toccano nel quotidiano, come noi sappiamo bene grazie a quel radicamento territoriale e a quella capacità di incontro e aiuto del Movimento e dei servizi. è necessario adoperarsi per il bene comune, che non è uno slogan, ma la normale prospettiva di chi vive responsabilmente nella comunità.

Giovanni Gut
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