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  Armenia, la questione infinita

Data di pubblicazione: Lunedì, 16 Aprile 2012

TRAGUARDI SOCIALI / n.52 Marzo / Aprile 2012 :: Armenia, la questione infinita

Estero e Migrazioni

La Corte costituzionale francese ha bocciato la legge sul genocidio degli armeni, all’origine di una grave crisi diplomatica tra Parigi e Ankara, perché contraria alla libertà d’espressione.
Varoujan Aharonian


Il 24 aprile 2012 ricorrerà il 97° anniversario del genocidio armeno. Un anniversario che quest’anno verrà ricordato soprattutto per la travagliata vicenda della legge che intendeva punire chi nega un genocidio riconosciuto dallo Stato francese. La legge, approvata a maggioranza dall’Assemblea e dal Senato, è stata poi dichiarata anticostituzionale dalla Consulta d’Oltralpe, in seguito al ricorso presentato da diversi parlamentari.
Il punto focale è che la legge non faceva riferimento esplicito al genocidio degli armeni, ma a qualsiasi genocidio riconosciuto dal governo francese, inclusa la Shoah.
I membri della Corte costituzionale si sono basati sull’articolo XI della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 – «La libertà di comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo» - per sostenere che la legge sul genocidio “degli armeni” è contraria alla libertà di espressione.
Naturalmente le decisioni della Corte Costituzionale meritano tutto il rispetto poiché garantiscono le libertà fondamentali.
Dal punto di vista del diritto, quando si afferma che il riconoscimento di un genocidio è privo di “portata normativa”, siamo indotti a ritenere che non si tratti di una legge vera e propria. Se così fosse, la nuova legge che il Parlamento francese ha appena votato, facendo dell’11 novembre la giornata commemorativa delle morti di tutte le guerre, è da ritenersi costituzionale? Qual è la regola che viene applicata? Considerando ciò, si potrebbe argomentare che la Corte Costituzionale sia una sorta di terza Camera.
Dal punto di vista politico, prevale la considerazione di molti analisti secondo i quali il presidente Sarkozy avrebbe utilizzato questa vicenda per trarne dei benefici elettorali; d’altra parte si potrebbe replicare che i parlamentari che hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale siano stati invogliati da potenti lobby pro-Turchia.
Certamente il tema del genocidio degli armeni, iniziato per verità storica alla fine dell’Ottocento, costituirà nuovamente motivo di dibattito sia in Francia che altrove. Ogniqualvolta si affronta questo tema ci si chiede se si tratti di un problema di competenza degli storici, dei politici o dei giuristi.
Dal nostro punto di vista credo siano importanti tutti gli aspetti della questione, tenendo in considerazione l’attuale scenario politico internazionale che determina purtroppo prese di posizione dettate esclusivamente da interessi economico-politici.
Tuttavia la realtà storica che viene a delinearsi con l’apertura nel corso degli anni degli archivi dei vari Paesi, dimostra in maniera chiara ed esaustiva le vicende di un popolo che attende da più di novant’anni giustizia.
Come potremmo mai domandare a un superstite dei campi di concentramento nazisti, di costituire una Commissione storica per verificare se effettivamente siano esistiti i lager? Tale ipotesi insulterebbe non solo la memoria degli ebrei ma di tutta l’umanità.
Anche da questo punto di vista, l’apertura degli archivi ha permesso un’analisi approfondita degli eventi trascorsi e di recente grazie all’apertura degli archivi vaticani, uno studioso polacco, Marko Jacov, ha ricostruito con particolare precisione la tragedia del popolo armeno, sottolineando l’importanza del ruolo ricoperto dal Vaticano nello spronare le nazioni europee occidentali a intervenire in Anatolia. Dalle carte emergono con evidenza non solo le aberranti disposizioni del Sultano che disponeva dei curdi come esercito non regolare, ma anche del ruolo passivo delle potenze europee interessate più a occupare una posizione strategica in Asia minore che ad esercitare un ruolo di garante o, come siamo soliti affermare oggi, di “esportatori” della democrazia. Gioverebbe al mondo intero rammentare le parole del Papa Benedetto XVI: “passato e futuro non sono due tempi sterili, di cui il primo non è più e l’altro non è ancora, ma sono il tempo della memoria e della speranza. Fare memoria e aprirci alla speranza, questo è il compito del cristiano che, vivendo il presente con coraggio e fiducia, sente che niente andrà mai perduto”.
Se il filo rosso della Memoria venisse strappato, altri Olocausti, altre pulizie etniche, altri stermini avranno libera cittadinanza e giustificazione, magari nel nome di una presunta libertà di espressione che vale nei Paesi veramente liberi ma non in Turchia, dove centinaia di giornalisti sono tuttora incarcerati per il semplice fatto di aver espresso un’opinione diversa dalla verità imposta dallo Stato.
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