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  Una Costituzione riformata?

Data di pubblicazione: Martedì, 22 Febbraio 2005

TRAGUARDI SOCIALI / n.14 Gennaio / Febbraio 2005 :: Una Costituzione riformata?

Riflessione su un tema decisivo


Riflessione su un tema decisivo


UNA COSTITUZIONE RIFORMATA?


      Dopo lunghi anni di dibattiti nel Paese e in apposite Commissioni, monocamerali o bicamerali, la Camera ha approvato il testo di riforma della seconda parte della nostra carta Costituzionale (forma di Governo, forma di Stato, bicameralismo e sistema di garanzie). A parte gli ulteriori passaggi legislativi e referendari, una prima valutazione si impone per fare un po’ di chiarezza su una delicatissima materia che tocca tutti quanti noi e che è destinata ad incidere profondamente sulla nostra vita di cittadini e sul funzionamento delle nostre Istituzioni democratiche.

       MCL, come sempre, anche su questa delicata materia, ha cercato di fornire alla base associativa ed all’opinione pubblica un ulteriore contributo di riflessione, elaborando delle proposte concrete, spesso originali, rispetto ad un dibattito viziato da evidenti pregiudiziali politiche di parte.

      La nostra Carta costituzionale è stata un grande capolavoro di ingegneria giuridica, sorretto da una profonda motivazione ideale e pervaso da una cultura politica, sintesi di tre importanti correnti di pensiero: quella socialista, quella liberale e quella cattolica.

       Lo spessore culturale, la carica ideale e la generosità dei nostri padri costituenti (e non voglio citare nessuno per rispetto di tutti) nulla hanno a che vedere e spartire con la mediocrità (in genere) dell’attuale classe politica. La discrasia tra cultura e politica ha di fatto destrutturato la nostra Carta costituzionale.

       Se si pensa, poi, che il potere per il potere logora (contrariamente alla battuta di Qualcuno) e che la politica come espressione alta della carità è un processo culturale dinamico, che fonda il suo presupposto nella ricerca costante di una sintesi tra fede e ragione, non si può che pervenire ragionevolmente alla conclusione che per riformare la legge fondamentale dello Stato occorre una larga maggioranza, opportunamente immunizzata da qualsiasi contaminazione politica di parte. A mio parere, un solo aggettivo è sufficiente per qualificare la riforma del titolo quinto della Costituzione, approvata, a strettissima maggioranza, dal precedente Governo di centro sinistra a fine legislatura e poi sottoposta ad un referendum che ha registrato la partecipazione del solo 34% dei votanti. Esso è: vergognoso!

       Ma la vergogna di uno, non giustifica il comportamento dell’altro. E’ vero, la riforma del Governo di centro destra approvata alla Camera riguarda non solo il titolo quinto della seconda parte ma l’intera seconda parte, per cui essa appare più coordinata e politicamente legata da un filo conduttore, che comunque rispecchia una concezione politica, culturale e statuale di una sola parte del Parlamento e del Paese. Ciò è fortemente riduttivo.

       Noi avremmo preferito che gli appelli del Presidente della Repubblica fossero stati accolti sia dal Governo che dall’opposizione: ma la poca disponibilità dell’uno e la totale chiusura dell’altro non hanno consentito di legiferare costituzionalmente con un consenso molto più ampio, allontanando il rischio concreto che ogni maggioranza si faccia la propria riforma della Costituzione ad uso e consumo della propria bottega di partito o di coalizione.

       Ciò non fa onore alla nostra ‘classe’ politica e mortifica l’impegno, la serietà e l’onestà intellettuale dei nostri Padri fondatori. Noi del MCL, per tradizione, convinzione e dinamismo intellettuale, non siamo conservatori, anzi, ci siamo sempre sforzati di leggere la storia nel segno dei tempi, ben consapevoli di quella necessaria capacità di discernimento che scaturisce dal dono della fede, che cerchiamo di coltivare.

       Per questo non crediamo in nessun tabù: tutto ciò che viene inventato dall’uomo può essere sostituito o modificato in qualsiasi momento, se ciò torna utile. Se una Costituzione modificata serve ad allargare gli spazi di libertà, a rafforzare i diritti inviolabili della persona, a garantire uno stato sociale più giusto ed efficiente, a fare funzionare una giustizia giusta, a garantire sempre meglio il funzionamento delle Istituzioni, ad ampliare gli spazi di democrazia, riconoscendo il diritto delle istituzioni locali e dei corpi intermedi alla gestione ed al controllo del potere ecc., noi la auspichiamo. Sfatiamo quindi un luogo comune: cambiamento non significa tradimento, così come conservazione non significa immobilismo. Allora, il problema è il valore da tutelare cercando la verità o meglio cercando di avvicinarci il più possibile alla verità. Come? Attraverso il dialogo, il confronto, la critica di popperiana memoria.

       Per questo, non abbiamo mai creduto, al di là di qualsiasi giudizio di merito circa l’attuale modifica Costituzionale (che, per quanto mi riguarda, può, sotto molti aspetti, essere positivo) nella capacità di un Parlamento eletto per legiferare in modo ordinario a modificare la carta fondamentale.   

         Forti di questa convinzione, abbiamo avanzato in tempi non sospetti (v. conferenza programmatica di Napoli del 1999) la proposta di una apposita assemblea costituente, eletta con il sistema proporzionale, per rivisitare tutti i 139 articoli della nostra Carta costituzionale, per adeguarla alla mutata situazione nazionale ed internazionale, tenendo presente anche la cresciuta maturità democratica del nostro popolo, grazie proprio alla Costituzione del 1948. Ciò avrebbe consentito al Parlamento ed al Governo di lavorare in modo ordinario ed all’assemblea costituente di approvare una nuova Costituzione veramente super partes, con delle regole valevoli per tutti, in grado di resistere almeno per un secolo ancora.

         Modificare solo la seconda parte della nostra Costituzione (come si sta facendo e come tutti, o quasi, vorrebbero fare), a mio modesto parere, non basta, perché la seconda parte (ordinamento della Repubblica) è strettamente legata alla prima (principi fondamentali).

    Rafforzare il principio personalistico, lavoristico, solidaristico, internazionalistico di una Repubblica che fonda il suo presupposto sui diritti inviolabili della persona umana, significa andare oltre l’aggettivazione posta a fondamento dell’attuale 1° articolo; una Repubblica che garantisca tali diritti, significa andare oltre il loro riconoscimento, prendendo semplicemente atto di un diritto naturale, connaturato all’uomo.

         A mio modesto avviso, non ci sarebbe stato, e non c’è, nulla di scandaloso rivedere anche i ‘principi fondamentali’, certamente non per affievolirli, ma per rafforzarli, considerato il clima, completamente diverso da quello di 57 anni fa, fortemente caratterizzato da una contrapposizione ideologica e da una triste esperienza totalitaria.

       Ciò avrebbe evitato che la modifica della sola seconda parte apparisse, come in effetti appare, un corpo estraneo rispetto ai valori di fondo a cui comunque dovranno ispirarsi le norme relative al funzionamento delle istituzioni.

          E poi, occorre tenere presente che siamo in Europa, e che la realtà internazionale è fortemente caratterizzata da una globalizzazione non solo economica ma anche culturale, che, volenti o nolenti, condiziona i modi di pensare ed i comportamenti delle popolazioni degli stati nazionali.

       Infine, e nel merito, sento il bisogno di fare una semplice considerazione circa il principio di sussidiarietà orizzontale (non solo verticale) che il nostro Movimento avrebbe voluto fosse stato preso in considerazione con più attenzione, per sancirlo costituzionalmente.

       Ciò avrebbe comportato quel riconoscimento politico dei corpi intermedi, che noi rivendichiamo da sempre; e forse sarebbe stata necessaria anche la modifica dell’attuale art. 49 Cost., cassando semplicemente la parola “partiti” e lasciando invariato il resto.

       Noi comunque non molleremo perché (prendendo a prestito un pensiero di un autore, da altri scoperto recentemente: Tocqueville) abbiamo la consapevolezza che l’uguaglianza delle condizioni, propria di un potere democratico, può condurre contemporaneamente alla emarginazione delle categorie più deboli e al consolidamento di un potere sempre più statalista, quando tutto sfugge al controllo delle libere associazioni, che sono l’espressione principale per frenare l’individualismo e per ostacolare la tentazione del potere democratico statuale a trasformarsi in statalismo.


Giuseppe Martino

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