NOME UTENTE        PASSWORD  

Hai dimenticato la tua password?

Nell'ultimo numero di Traguardi Sociali:

Edizioni Traguardi Sociali

Via L.Luzzatti, 13/a 00185 ROMA
Tel: +39 06 700 5110
FAX: +39 06 700 5153
E-Mail: info@edizionitraguardisociali.it
PI: 07083501002
Traguardi Sociali

Stai sfogliando il n.14 Gennaio / Febbraio 2005

Leggi la rivista in formato pdf Cerca numeri arretrati in archivio
.PDF Numero 14 (936 KB) Sfoglia l'archivio di Traguardi Sociali Sfoglia l'archivio di Traguardi Sociali

  Concretezza e umiltà, i segni distintivi del Cefa

Data di pubblicazione: Martedì, 22 Febbraio 2005

TRAGUARDI SOCIALI / n.14 Gennaio / Febbraio 2005 :: Concretezza e umiltà, i segni distintivi del Cefa

Prima intervista a Patrizia Farolini chiamata alla guida del Cefa


Prima intervista a Patrizia Farolini chiamata alla guida del Cefa

CONCRETEZZA E UMILTA', I SEGNI DISTINTIVI DEL CEFA


       Non è sposata, Patrizia Farolini, “perché, dice, non penso che un matrimonio potrebbe entrarci, nella mia vita”, lasciando sottintendere una quotidianità piena di impegni, divisa com’è fra il suo lavoro di ostetrica e l’impegno di volontaria – da settembre anche presidente del Cefa, la ong del Mcl – che la porta a fare la spola fra Parma, la città dove abita e lavora, e Bologna, dove il Cefa ha il suo cuore pulsante. Patrizia Farolini nasce nel mondo degli scout, dove è stata educatrice per molti anni. Ha lavorato come volontaria in Africa, specialmente in Kenya e Somalia, e ancora oggi si considera una ‘volontaria rientrata’.

Questa passione come nasce? E come si concilia con l’esperienza di donna, che per sua natura è già un ruolo impegnativo e di responsabilità?

       La scelta di partire a suo tempo, nel ’90, dopo due anni di formazione al Cefa, era in continuità con il mio quotidiano, dalla parrocchia al mio impegno per gli altri. Grazie ai valori e alle esperienze maturate in quegli anni, oggi mi faccio forte nel mettere in atto questo servizio nei confronti del Cefa: l’entusiasmo e la carica che mi sono rimaste compagne in questo periodo sono gli elementi che posso mettere in gioco per sostenere il cammino di un organismo che in questi tempi non è un cammino facile, perché il mondo della cooperazione è un po’…variegato.

       Questa continuità di scelte l’ho ritrovata al mio rientro in Italia quando - in una società che ha in sé molte contraddizioni e che, dopo 4 anni di assenza ti sembra stridere ancor di più con i principi di giustizia e di equità - ho voluto continuare a essere promotrice di uno stile di vita diverso, per dare la possibilità a più persone di conoscere una faccia del mondo che ci viene ancora un po’ nascosta, anche perché a volte ci torna più comodo non vedere. E per dare speranza, perché l’immagine dell’Africa che noi stiamo cercando di ricordare a tutti è quella di un’Africa che sta cercando di camminare, dove tante persone tutti i giorni stanno cercando di modificare la loro situazione di svantaggio.

Quali programmi ha per il futuro del Cefa?

       Come Cefa siamo impegnati in diversi Paesi e ora stiamo valutando i risultati ottenuti per decidere dove le comunità locali sono diventate abbastanza forti per poter continuare da sole: questo è già un gran risultato perché poter dire ‘lasciamo questo Paese ché non hanno più bisogno di noi’, significa che abbiamo lavorato bene. E’ così per la Bosnia: quando siamo arrivati, subito dopo il conflitto, il bisogno da parte dei contadini era molto forte; adesso la Bosnia è tornata al Pil precedente al conflitto, le comunità hanno ricominciato ad essere attive e produttive, per cui pensiamo nel giro di due o tre anni di poter lasciare a loro il compito di lavorare per il proprio sviluppo. Per contro dobbiamo valutare su quali Paesi orientarci per sviluppare una progettualità nuova, anche perché i Paesi che invece di progredire stanno regredendo – in termini economici ma anche culturali e sociali – sono tanti.

       In ogni caso l’obiettivo rimane quello di elaborare progetti di auto-sviluppo: lavoriamo con le comunità affinché acquisiscano gli strumenti per poter andare avanti da sole. E’ una dimensione del Cefa purtroppo spesso non molto nota.

Cosa significa in pratica?

       Io dico che i progetti dove noi siamo ‘non devono vedersi’, nel senso che ciò che si deve vedere è semplicemente una comunità che si è tirata su le maniche e che lavora. Questo non ha visibilità, come per esempio una scuola o altro, ma sicuramente ha un impatto notevole sul futuro sviluppo di quella popolazione.

       Stare ‘spalla a spalla’ con la gente che aiutiamo vuol dire anche accettare a volte delle metodologie diverse da quelle che magari volevi proporre, pure se le tue idee ti sembrano più furbe o vincenti…ma magari non sono adeguate a quel gruppo di persone o non vengono comprese. Allora a volte è meglio accettare una metodologia un po’ più ‘imperfetta’ ma che sia patrimonio del gruppo. E’ un’esperienza che augurerei a tutti perché da un punto di vista umano nella vita ti rimane comunque un segno. Diventa un tuo modo di essere qui e di essere attivo e vivo qui.

Come si lavora oggi in questo campo, posto che rispetto a vent’anni fa l’opinione pubblica è diventata molto più sensibile ai valori che il volontariato porta avanti per un mondo pacifico e solidale?

       Sì, oggi c’è una maggiore conoscenza grazie anche alla Chiesa, ai movimenti, alle associazioni giovanili, al confronto più diretto con le persone che vengono a lavorare nel nostro Paese, che hanno aiutato a portare un po’ di ‘mondialità’ nelle nostre case. Però, diciamo pure che il mondo della cooperazione si è involuto innanzi tutto per la riduzione dei fondi (nonostante i Paesi del nord del mondo dicano di voler raggiungere un contributo allo sviluppo pari allo 0,7% del Pil, in realtà è in corso esattamente il processo inverso). Ciò significa che vengono finanziati sempre meno progetti e noi, ovviamente, ci dobbiamo adeguare. Certo, il Cefa può contare sul Mcl e sulle persone che ci aiutano nelle contribuzioni, però pensiamo che sia un nostro compito anche fare in modo che i soldi che paghiamo con le tasse vengano utilizzati in questa direzione.

       L’altro aspetto è la maggiore concentrazione dei finanziamenti nei settori dell’emergenza, che ha più visibilità. Ma a questo tipo di aiuti deve seguire un intervento di sviluppo, altrimenti abbiamo sì dato da mangiare a queste famiglie e a questi bambini, ma se un anno dopo non sono in grado di avere un’economia che li sostenga, finiamo solo con l’aumentare il vincolo di dipendenza. Ovvio, siamo tutti più portati a contribuire davanti a eventi di emergenza che ci prendono, ci coinvolgono emotivamente, ma uno dei nostri obiettivi di educazione allo sviluppo è far crescere una mentalità che lavori per l’autosviluppo.

Qual è lo stato di salute delle Ong?

       Da un punto di vista della sostenibilità tutti risentiamo dell’incertezza legata ai finanziamenti, ma credo che le Ong ‘storiche’, come il Cefa che lavora in quest’ambito da più di trent’anni, e che basano la propria missione su scelte ‘forti’ sia di tipo religioso che di vicinanza con le comunità), abbiano ancora molto da dire, pur nella consapevolezza che non saremo eterni. Sempre più spesso viene richiesto alle Ong di presentare progetti insieme, quindi di essere Ong sempre più grosse; il Cefa invece ha sempre avuto la caratteristica di essere un po’a dimensione familiare: tutti i volontari che partono li conosciamo per nome, sono stati con noi, sono prima di tutto delle persone che si mettono al servizio di altre. Quando entri nella grande agenzia diventi un curriculum, un operatore: purtroppo questi meccanismi di finanziamento a volte hanno costretto alcune Ong a cambiare la loro fisionomia, e non sempre a vantaggio della qualità. Direi spingendosi un po’ di più verso il professionalismo, che non sempre vuol dire professionalità. E’ chiaro che chi parte deve essere competente, deve avere una base professionale forte, ma un volontario che parte con il Cefa deve soprattutto credere che la sua presenza farà scattare questa ‘scintilla’: non vengo lì al tuo posto né per dare ordini, ma si costruisce insieme, e questo implica anche un atteggiamento di tipo umano che si può apprendere e coltivare.


Fiammetta Sagliocca

 Torna ad inizio pagina 
Edizioni Traguardi Sociali | Trattamento dati personali