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  Cattolici, aspettando un leader federatore

Data di pubblicazione: Domenica, 18 Novembre 2018

TRAGUARDI SOCIALI / n.91 Settembre / Novembre :: Cattolici, aspettando un leader federatore

Parla Domenico Delle Foglie

“Forti della nostra identità, attraverso il lavoro, costruttori di speranza in Italia e in Europa”: siamo partiti dal titolo-tema del XIII Congresso Nazionale del Movimento, per tracciare con Domenico Delle Foglie, componente del Cda della Fondazione Italiana Europa Popolare e autorevole voce giornalistica del mondo cattolico, già direttore del Sir, il quadro sociopolitico in cui i laici credenti sono chiamati a dare un segno vivo della loro presenza. Non si nascondono i limiti e gli errori, in questo dialogo, positivo esercizio di parresia, senza cedere alla rassegnazione. Davvero prezioso il contributo alla comprensione di questi tempi e dei suoi segni.

Il titolo-tema del Congresso, che già vive le sue dimensioni locali e regionali, pone l’identità come un punto di forza, come fondamento.
Il pensiero e la comunicazione mainstream hanno bandito ogni definizione forte di questa parola, chi si (rap)presenta come alternativo ne fa un uso reattivo e contundente. In che senso, allora, l’identità può essere forza, senza essere violenta affermazione di sé?

La questione dell’identità ci riguarda molto da vicino, soprattutto a causa delle dinamiche sbagliate del mondo cattolico. Per essere chiari, ogni qual volta l’identità dei cattolici ha toccato il tema della vita, della famiglia e della libertà di educazione, proprio dall’interno del mondo cattolico sono partiti gli attacchi più feroci e ingenerosi. Sino al punto di incasellare quanti sostenevano quei valori in un orizzonte di destra, conservatore se non reazionario.
Al quale ovviamente contrapporre un’identità cristiana altra, legata ai temi della giustizia sociale, della pace e del mondialismo. Un perverso gioco degli specchi che ha danneggiato tutti i cattolici e ha impedito di accostare tutti i valori in un unico corpo identitario. Da qui anche una generale debolezza del mondo cattolico nel suo complesso.

Il lavoro come protagonismo della persona. Di lavoro, questione centrale, la politica sembra non sapere e volere parlare adeguatamente. Anche l’informazione non pare capace di illuminare il tema. Come giudicare questa “scomparsa del lavoro”? Come riportarlo al centro del dibattito?
Il lavoro è sempre più ridotto a statistica, a procedura, a regolamenti, a struttura produttiva, a contabilità, a finanza spesso creativa. Il lavoratore come persona viene sempre dopo. Riportare a unità il lavoro e il lavoratore è una grande impresa per tutti, anche per chi costruisce l’informazione. E’ dunque una grande questione culturale, spesso sottaciuta e sottovalutata. Basta chiedersi: a chi fa comodo un lavoratore alienato, privo della consapevolezza del proprio ruolo sia nel processo produttivo sia nelle sorti dell’azienda, privo della coscienza dei propri diritti e dei propri doveri? Avviare e produrre una nuova narrazione del lavoro è dunque una responsabilità grande che interpella i cattolici.

Rabbia e rancore, altre volte rassegnazione: le analisi sociologiche ci restituiscono l’immagine di un’Italia disperata e senza una proiezione al futuro. Il MCL va ancora controtendenza: evocando il futuro sin dal titolo, si raduna a Congresso richiamando una speranza che costruisce. è vano ottimismo o si può dare un contributo a svoltare su altre prospettive?
Innanzitutto il futuro non deve spaventarci. In fondo è il più grande tesoro che abbiamo nelle nostre mani. Anzi, dobbiamo fare un grande sforzo per spiegarlo ai nostri giovani. Nessuno può rubarcelo, al massimo siamo noi che possiamo ritirarci in un cantuccio e rinunciare a costruirlo. Da questo punto di vista la storia del MCL è una storia di futuro, di confronto e di immersione nel presente per cambiarlo. E’ una storia di valori forti e di opere cariche di futuro. Saper essere degni di questo passato e di questo futuro è la sfida che è nelle mani delle classi dirigenti del MCL, come dei suoi giovani appassionati. Rabbia, rancore e rassegnazione lasciamoli pure ai demolitori di professione.

Il tema del Congresso associa Italia ed Europa, l’una non può essere senza l’altra (e viceversa). Si può ancora essere europeisti e movimento di popolo? Sai, solo gli avversari dell’Europa s’intestano la rappresentanza assoluta del popolo...
Chi ha un’anima popolare, come MCL, non può e non deve avere paura dei populisti. Ma soprattutto deve coltivare la certezza che l’Europa è la nostra comunità di destino nella quale esercitare una rappresentanza democratica effettiva. La democrazia vera, però, esige procedure democratiche.
Il MCL che vive di processi democratici e che ha fatto della democrazia interna uno stigma indelebile - mi si perdoni il paradosso - non può che esportare la democrazia in Europa. Dunque, segno di contraddizione per i sovranisti e i populisti che talvolta sembrano imboccare scorciatoie rispetto alle fatiche della democrazia.

In una recente analisi pubblicata su Formiche.net, riflettendo sull’attuale stato di salute del cattolicesimo politico, hai scritto che “Occorre prendere atto che al momento non ci sono né uno spazio né un luogo nei quali i cattolici possano parlare e confrontarsi francamente sul futuro del Paese. Sembra che tutto il loro cammino si muova su tanti binari paralleli destinati a non incontrarsi mai”. Un quadro sicuramente realistico, ma bisogna cedere al pessimismo o ci sono possibilità di ripartenza?
Mai cedere al pessimismo. Se talvolta vesto i panni del Grillo parlante, lo faccio solo per sollecitare un’azione significativa, un’iniziativa capace di rimettere insieme quei pezzi di mondo cattolico che sembrano rassegnati al silenzio e all’irrilevanza. Ovviamente conosco bene la preziosa sensibilità   sociale, culturale e politica del MCL che, spesso in grande solitudine, non fa un passo indietro sul fronte della presenza pubblica e ne sostiene le ragioni.
Dunque mi chiedo: a chi tocca fare il primo passo? So che le mie parole potranno essere fraintese, ma corro volentieri questo rischio. Se la Democrazia Cristiana del Dopoguerra è figlia anche della lungimiranza di un giovane sacerdote, Giovanni Battista Montini, destinato a salire sul soglio di Pietro... Se l’ultima presenza pubblica di rilievo dei cattolici in Italia si deve alla progettualità di un Cardinale come Camillo Ruini, ispirato da due Papi come Woityla e Ratzinger... Se tutto questo è vero, da laico e credente non mi sentirei diminuito se un altro Montini o un altro Ruini vestissero i panni di federatori del mondo cattolico in una proiezione valoriale, sociale, culturale e infine anche politica. Non sarebbe una resa, come qualcuno sostiene, a un neo clericalismo. Di sicuro non sono stati clericali né i democristiani né quanti si sono battuti per i “valori non negoziabili”. Il clericalismo è una malattia della Chiesa, ma tocca innanzitutto ai pastori curarla. E a loro forse spetta anche di incoraggiare i laici, di educarli alle responsabilità e di non mortificarne l’identità. Se poi si manifestasse un leader cattolico federatore, un laico a tutto tondo, allora faremmo tutti festa.

Marco Margrita
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