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  LA PROSPETTIVA DEL NUOVO FEDERALISMO FISCALE

Data di pubblicazione: Martedì, 23 Marzo 2010

TRAGUARDI SOCIALI / n.40 Marzo / Aprile 2010 :: LA PROSPETTIVA DEL NUOVO FEDERALISMO FISCALE

PROF. LUCA ANTONINI

Premessa: l’urgenza del federalismo fiscale
In Italia il cantiere della riforma federalista è stato avviato solo a metà, sul lato delle funzioni legislative (riforma costituzionale 2001) e amministrative (Bassanini 1997), rimanendo invece fermo sul fronte del finanziamento, con un modello di sostanziale “finanza derivata”. La spesa pubblica (escluse pensioni e interessi) per effetto di quelle riforme si riparte ormai a metà tra Stato e regioni/enti locali, ma questi ultimi hanno responsabilità impositiva per meno del 18%. Si è realizzata quindi una forte dissociazione tra responsabilità impositiva da quella di spesa. Si è interrotto il centralismo, ma non si è creato il federalismo. Lo Stato non si ridimensiona e Regioni/enti locali non si responsabilizzano. I dati della deresponsabilizzazione sono evidenti. Sul fronte statale: il numero dei dipendenti statali dal 1997 al 2007, invece di diminuire, è progressivamente aumentato di 100 mila unità. Sul fronte regionale e locale: con il decreto salva deficit del giugno 2007 e con la finanziaria per il 2008 sono stati stanziati complessivamente ben 12,1 miliardi di euro a favore delle Regioni in rosso (Abruzzo, Campania, Lazio, Molise, Sicilia). Si è trattato di un ripiano a piè di lista tipico della finanza derivata. Per effetto di queste politiche in Italia oggi esistono differenze di costi ingiustificate (lo ha evidenziato la Corte dei Conti): una sacca per le trasfusioni costa in Calabria quattro volte di più di quanto costa in Emilia Romagna o una tac costa in un alcune parti del Paese 800 euro e in altre 500, la spesa pro capite per bambino negli asili nido a Roma è di 16000 euro e 7000 a Modena, modello premiato a livello internazionale per la sua alta qualità. In Campania arrivano pro capite per la sanità più risorse che in Lombardia, ma la qualità della sanità lombarda ha un indice di qualità di + 0,9 e quella della Campania di -1,4. In un momento così grave di crisi finanziaria a livello internazionale, non ci si può permettere questo disordine interno a livello nazionale.
Gli importanti traguardi politico/istituzionalidella nuova legge sul federalismo fiscale
La nuova legge delega sul federalismo fiscale, nella sua prima base di partenza ha recuperato e portato a sintesi molti dei lavori svolti nell’ultimo periodo e nello stesso tempo ha introdotto soluzioni in tema di valorizzazione dei principi di responsabilità, di solidarietà e di sussidiarietà. Nei passi successivi è stato importante il confronto con Regioni ed Enti locali, che ha portato al risultato dell’approvazione unanime del testo da parte della Conferenza Unificata (ottobre 2008). Si è trattato di un risultato inedito rispetto a tutti i precedenti tentativi sul federalismo fiscale e che ha anche condotto a un accordo, ai fini del finanziamento, sulla definizione delle funzioni fondamentali, superando l’atavica diatriba tra Regioni ed Enti locali che ha sempre portato al fallimento chi, in passato, ha tentato di misurarsi nell’impresa. Nel complesso si è realizzata una convergenza decisiva per il successo della riforma, perché i soggetti regionali e locali che sono stati coinvolti, avendo assentito, sono ora corresponsabili del processo di attuazione. Quando le riforme sul federalismo fiscale non raggiungono questi alti livelli di consenso, il rischio (rectius: la certezza) d’incidenti o blocchi in fase di attuazione è inevitabile. Nella fase parlamentare si è poi sviluppato un dialogo costruttivo con l’opposizione, perché le commissioni riunite del Senato (Bilancio, Finanze e Affari costituzionali) hanno dato il via libera al disegno di legge, deliberando il mandato al relatore della maggioranza; il PD, che si è astenuto, avrebbe potuto tenere ben altro atteggiamento, votando contro o nominando un relatore di minoranza, creando numerosi ostacoli per l’esame in aula che invece ha viaggiato spedito confermando il risultato. E’ stata una prova di grande maturità del sistema politico italiano, che dimostra, su questa riforma, di essere in grado di superare quella prassi del bipolarismo “rusticano”, basato sempre sulla delegittimazione dell’avversario, che ha inquinato gli ultimi decenni della nostra vita repubblicana. Nello specifico, i principali punti sui cui la maggioranza ha accolto le proposte dell’opposizione, elaborandole in un costruttivo dialogo, sono i seguenti: una commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale; un patto di convergenza per il coordinamento dinamico della finanza pubblica; un principio di armonizzazione dei bilanci pubblici; un chiarimento sul principio di territorialità; una specificazione delle basi imponibili dei tributi locali; la programmazione pluriennale per gli interventi relativi al Mezzogiorno; la specificazione che la perequazione regionale è fatta attraverso un fondo perequativo di tipo verticale, un ampliamento della perequazione sui trasporti.
Le principali coordinate della legge sul federalismo fiscale
Riguardo alla perequazione si dispone il superamento della spesa storica a favore della perequazione al costo standard dei livelli essenziali relativi a sanità, assistenza e istruzione. E’ quanto mai opportuno perché la spesa storica riflette sia i fabbisogni reali (quelli standard) sia vere e proprie inefficienze. Lo standard finanzia il servizio ma non l’inefficienza. Per le funzioni non essenziali - che sono una parte molto minore dei bilanci regionali - si opta invece per la perequazione (non integrale) delle capacità fiscali.La spesa per il trasporto pubblico locale è perequata al costo standard per la parte in conto capitale; alle capacità fiscali per la spesa corrente.Per la prima volta nel nostro sistema istituzionale viene poi introdotta una serie di innovativi principi di responsabilizzazione; tra questi: a) la perequazione non potrà rovesciare la graduatoria delle capacità fiscali; b) il principio della territorialità dei gettiti; c) premi per gli enti virtuosi e sanzioni per gli inefficienti (riducendone l’autonomia); d) il cd. “fallimento politico” per quegli amministratori che portano un ente al dissesto finanziario. La nuova autonomia finanziaria regionale è strutturata individuando nei tributi regionali derivati e nelle compartecipazioni ai tributi erariali la fonte primaria di finanziamento delle funzioni attribuite. Lo spazio dei tributi regionali autonomi (quelli istituiti da leggi regionali) è minore. L’autonomia impositiva regionale è però fortemente valorizzata, permettendo alle Regioni di sviluppare, attraverso esenzioni, agevolazioni e deduzioni sui tributi propri derivati e sulla aliquota riservata, consentendo loro politiche mirate a valorizzare le specificità produttive e sociali presenti sui territori. I trasferimenti statali vengono soppressi e sostituiti da finanza autonoma. Si potrà così superare la logica dei trasferimenti vincolati ad alto tasso di burocrazia e a basso tasso di incidenza sullo sviluppo reale, aprendo la stagione di una forma nuova ed efficace di sostegno alle specifiche realtà produttive e sociali della Regione. L’autonomia impositiva regionale è quindi fortemente valorizzata, permettendo alle Regioni di sviluppare, attraverso esenzioni, agevolazioni e deduzioni sui tributi propri derivati, politiche mirate a valorizzare le specificità produttive e sociali presenti sui territori. Incentivare fiscalmente certe categorie di imprese, il rispetto di standard ambientali, o i soggetti Non Profit che svolgono una funzione sociale, può diventare finalmente contenuto pieno di una politica fiscale regionale. In questo modo l’autonomia impositiva regionale può svilupparsi “verso il basso”, in chiave incentivante. Le Regioni potranno sviluppare proprie politiche fiscali, fino a poter introdurre “leggi Tremonti” regionali di detassazione degli investimenti o a poter riconoscere i carichi familiari o valorizzare con la leva fiscale la sussidiarietà orizzontale. Nella nuova autonomia finanziaria provinciale e comunale si configura un certo ruolo anche alle Regioni nel processo di perequazione, nel rispetto dei criteri generali e delle importanti garanzie comunque fissate dallo Stato. Come per le Regioni le spese degli Enti locali sono distinte tra spese riconducibili alle funzioni fondamentali e spese per le altre funzioni; le prime finanziate in base al fabbisogno standard, le seconde perequate in base alla capacità fiscale. In questo quadro, il sistema della finanza locale si struttura in un insieme di tributi propri, rispettivamente dei Comuni e delle Province, che consegue all’attribuzione di tributi o parti di tributi già erariali, di addizionali, e di compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali. Spetterà ai decreti legislativi individuare nel dettaglio i tributi propri dei Comuni e delle Province, definirne i presupposti, soggetti passivi   e basi imponibili, le aliquote di riferimento valide per tutto il territorio nazionale. Si prevede inoltre un tributo comunale di scopo e uno provinciale, sul quale i Comuni e le Province avranno la facoltà dell’istituzione; accanto ad esso vengono contemplate forme premiali in termini di autonomia fiscale dirette a favorire le unioni e le fusioni tra Comuni, replicando così una soluzione che ha avuto un notevole successo in altri ordinamenti, come quello francese, nel favorire quegli accorpamenti tra Comuni di minori dimensioni idonei a consentire economie di scala e quindi la razionalizzazione della spesa pubblica. La fiscalità degli Enti locali viene così collocata su un doppio binario: da un parte i tributi di derivazione statale, che costituiranno la fonte prevalente della finanza locale, dall’altra – in misura marginale – quelli di derivazione regionale.Infine, è opportuno sottolineare che la nuova legge delega sul federalismo fiscale, che entra ora nel vivo della sua fase attuativa, presenta contenuti molto rilevanti per il settore Non Profit. Basti solo pensare che in questa legge il principio di sussidiarietà orizzontale è fortemente valorizzato: all’art.2 si prevede espressamente tra i principi generali di coordinamento, la “definizione di una disciplina dei tributi regionali e locali in modo da consentire anche una più piena valorizzazione della sussidiarietà orizzontale”.

Prof. Luca Antonini
Ordinario di Diritto costituzionale Università di Padova
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