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Traguardi Sociali

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  Rilanciare la vita e la missione di Roma nel mondo

Data di pubblicazione: Domenica, 8 Novembre 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.74 Ottobre / Novembre 2015 :: Rilanciare la vita e la missione di Roma nel mondo

Lettera ad una città in crisi

La data del recente 5 novembre è destinata a rimanere per un tempo non breve nella storia della Città di Roma.
Per una di quelle coincidenze nelle quali, a volte, si può distinguere un disegno provvidenziale, in questa giornata, iniziata con la prima udienza di un processo che marchia con il termine di Mafia tratti importanti della politica e dell’amministrazione della Città, si è levata, a sera, la voce del Cardinale vicario per ribadire l’impegno della Chiesa per “una nuova stagione di rinnovamento spirituale, di evangelizzazione culturale e di impegno sociale”.
Una platea rappresentativa della complessiva comunità romana, nella imponente Basilica di San Giovanni in Laterano, che più di quarant’anni fa fu teatro di un attento esame dei “mali” della Città, ha ascoltato la vicinanza di un “appello” e la speranza di una “riscossa spirituale, sociale, morale, civile” di fronte alla “profonda crisi antropologica ed etica”.
Le parole del Cardinale sono risuonate con inusuale forza espressiva. Ha parlato di “anemia spirituale”; di “mancanza del senso di appartenenza e di coesione sociale ad una comunità cittadina, divenuta sempre più anonima, che produce modi di vivere individualisti, alla diffusa mentalità di intolleranza reciproca, alle crisi familiari, ai ricorrenti atti di violenza (…), all’allargamento e all’emarginazione delle fasce dei vecchi e nuovi poveri, alla corruzione, non solo a quella conosciuta dalle indagini giudiziarie, ma a quella indotta dalla diffusa mentalità prodotta da tossine che hanno infettato il corpo sociale così da tollerare, se non proprio da legittimare, l’illegalità, in una parola all’affievolimento dell’umanizzazione della vita sociale”. “Roma” – ha precisato la diagnosi del Cardinale – ha urgente bisogno di una forte ripresa della qualità della vita quotidiana. Qualità della vita naturalmente significa legalità, tutela dei diritti, giustizia sociale, lavoro, efficienza dei servizi, ma significa anche senso civico, rispetto reciproco, buona educazione, solidarietà, magnanimità, mentre tante volte sembra che prevalga un istinto di difesa, di chiusura, di insicurezza, di sfiducia, di paura, che genera diffidenza, ostilità, tensione sociale. Sembra smarrito l’orizzonte comune dell’esperienza umana, il senso condiviso della inviolabile dignità di ogni persona, il tessuto delle genuine relazioni interpersonali, che si esprimono nella responsabilità di tutti verso tutti e che danno senso alla convivenza civile”.
Analisi e parole importanti, richieste da una condizione di degrado che rischia di minare per sempre una comunità che ha nel suo destino quel carattere universale che la storia, e soprattutto la fede, le hanno consegnato. Una universalità che è rimasta iscritta nella sua identità, non cosmopolita, e proprio per questa caratteristica Roma si è trovata ad essere da sempre una Città per tutti.
In questi mesi – ma è un declino iniziato da più tempo – con una accelerazione che lascia smarrimento, la Città ha assistito all’inasprimento dei rapporti sociali nelle periferie, dilaniate dai problemi di una insufficiente urbanizzazione come contesto dei drammi della disoccupazione e di inadeguate soluzioni per immigrati e nomadi; all’emergere di illegalità nel cuore stesso della politica e della amministrazione cittadina; alla sfrontata esibizione nei riti funebri di un potere sociale acquisito da frange di malavita; al disarmante comportamento di un primo cittadino e di una giunta attenti solo a provvedimenti di apparenza ma incapaci di mostrare risolutezza nell’affrontare non solo i problemi strutturali, ma anche le inefficienze della stessa manutenzione cittadina o dei servizi, compresi quelli della mobilità e del trasporto pubblico.
Anche su un evento come il Giubileo straordinario era emersa un’incapacità decisionale a svolgere le necessarie operazioni di scelta e di avvio degli interventi per adeguamento stradale, risanamento ambientale, sicurezza e decoro urbano.
Proprio negli stessi giorni era risultata, invece, evidente l’intenzione squisitamente presenzialista del Sindaco, anche in consessi internazionali ai quali era intervenuto il Pontefice, per tentare di ostentare inviti inesistenti che avevano costretto, come risposta a precisa domanda in conferenza stampa, a ferme e inusuali smentite da parte del pur mite, ma fermo, Papa Francesco.
Tuttavia, a fronte di una situazione così complessa, anche le dimissioni di Marino erano risultate elemento marginale, una “faccenda” tutta interna al Partito Democratico, senza che in qualche modo tra le forze politiche e nell’insieme delle rappresentanze cittadine si svolgesse un adeguato approfondimento della condizione nella quale era piombata la Città.
La “lettera” di Vallini, proposta per il Giubileo della Città, interviene, quindi, suo malgrado, per offrire una via di uscita all’incardinarsi del basso profilo nel quale potrebbe permanere anche con il rinnovo degli organismi istituzionali.
Essa è destinata a modificare i termini di un confronto che, dopo le dimissioni di Marino, sembrava monopolizzarsi intorno alla questione delle sole candidature per la successione.
Lo stesso confronto politico, esasperato da una campagna giornalistica attenta alle possibili alleanze elettorali, non riuscendo ad uscire dalla camicia di Nesso della sua impotenza diagnostica e propositiva, non può non essere “scosso” da questa importante “provocazione” che invoca e comporta nuove energie, oltre che nuove attenzioni rispetto alle “sfide” alle quali i cittadini romani sono di fronte.
La politica è necessaria ad una Città complessa come la Capitale alla quale, in particolare, non si può dare risposta solo attraverso un leaderismo personale, ma deve tornare ad avere radici in valori e rappresentanze reali. Come ebbe a diagnosticare, per quanto riguarda gli enti locali nel loro insieme, Giuseppe De Rita già nei primi anni duemila “è in corso uno svuotamento delle sedi classiche della partecipazione istituzionale ai vari livelli: in pratica non esiste più la vita dei consigli comunali, provinciali e regionali, ridotti a mere comparse dell’attività e dell’attivismo personale del Sindaco, del Presidente della Provincia, del Presidente Governatore della Regione” (Il mondo inerme, Torino 2002, pag.7).
Questa personalizzazione del potere ha provocato un allontanamento dalla complessità sociale, un impoverimento della vita collettiva ed una marginalizzazione dei corpi intermedi sostituiti dal solo riferimento all’“opinione”, finendo poi, come nel caso romano, per vanificare anche se stessa.
A Roma lo spostamento della “proposta” dal tessuto sociale e dalle sedi istituzionali rappresentative agli interessi prevalenti si è accentuato negli ultimi decenni, quando lo stesso disegno della Città è stato affidato all’interessata convenienza progettuale di un certo mondo imprenditoriale con il quale si è deciso di “contrattare”, più spesso recependo, le principali opzioni urbanistiche, finendo, poi, per essere permeabili anche all’affarismo di una cooperazione falsa e infamante per tutto il terzo settore, perché portata a speculare su emarginazioni e indigenze.
A questo punto, per ripetere l’auspicio del Cardinale Vallini: “Roma ha bisogno di una forte riscossa spirituale, morale, sociale, civile, con la cooperazione di tutti. Non aspettiamo che comincino gli altri: ciascuno nel suo ambiente si faccia protagonista di buone idee, di proposte, di dialogo e di azione”. Si può far leva su “un reticolo di iniziative spontanee, associazioni, istituzioni che, ispirate da umanità e carità, possono creare coesione sociale”.
Il Giubileo straordinario è l’occasione “provvidenziale”.
La Città può far conto sulla capacità della sua comunità religiosa di comprendere il cambiamento e l’esigenza dei tempi, di offrire un vasto e articolato “contenitore” di istanze e responsabilità diverse, di un patrimonio associativo e di volontariato ampio e disinteressato.
La politica ha il dovere di porsi in ascolto per rifondare il proprio impegno e offrire alla Città programmi che possano dare quella “riscossa” che, come udito a San Giovanni, “rilanci la vita e la missione di Roma nel mondo”.

Pietro Giubilo
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