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  “Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo, solidale”

Data di pubblicazione: Sabato, 27 Maggio 2017

TRAGUARDI SOCIALI / n.84 Maggio / Giugno :: “Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo, solidale”

Intervista a Mons. Fabiano Longoni

La Chiesa italiana è in pieno fermento in preparazione della Settimana sociale dei Cattolici italiani che quest’anno si terrà a Cagliari, nel mese di ottobre, e che affronterà un tema essenziale per la vita del Paese: “Il lavoro che vogliamo.
Libero, creativo, partecipativo, solidale”.
Un tema centrale che fa parte del Dna del nostro Movimento, e che abbiamo approfondito insieme a Mons. Fabiano Longoni, Direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i Problemi sociali e il lavoro, che sarà con noi al Seminario di Senigallia.


E’ in pieno corso la fase preparatoria verso la prossima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, che quest’anno si svolgerà a Cagliari, dal 27 al 29 ottobre, e che affronterà un tema fondamentale dal punto di vista dei diritti e strategico per lo sviluppo del Paese: “Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo, solidale”. Un tema che, fra l’altro, sarà al centro del consueto seminario annuale del MCL a Senigallia.
Cosa si aspetta da questo percorso?


Si tratta di un percorso preparatorio articolato che, nel corso dell’anno, si è snodato attraverso diverse tappe: a partire dall’incontro con gli imprenditori al Festival DSC di Verona lo scorso novembre, per poi proseguire all’inizio del nuovo anno con il Seminario nazionale di Firenze della CEI con tutte le Pastorali sociali del lavoro, e poi ancora a Napoli, a febbraio, con il convegno sul problema del lavoro giovanile al sud e, infine, l’incontro, organizzato con Retinopera a Roma qualche giorno fa, con tutte le associazioni del mondo cattolico fra cui anche il MCL.
Ritengo che il frutto di tutto questo parlarsi, incontrarsi, dialogare stia essenzialmente in una proposta: la Chiesa italiana (intesa nel senso più ampio e più vero, ossia come insieme delle Chiese locali) deve avere un rinnovato interesse al lavoro. Se ogni Chiesa locale assumesse su di sé il compito di far sì che il lavoro fosse veramente luogo di evangelizzazione, credo che da una parte risponderemmo compitamente all’appello di Papa Francesco a vincere sulla ‘cultura dello scarto e, dall’altra, faremmo una grande operazione di promozione del modo in cui la Chiesa intende approcciare i problemi, in maniera non teorica né puramente spiritualista ma in modo concreto, a partire dalla Dsc, per far sì che l’impegno di tutti per il bene comune divenga, nel campo del lavoro, anche un impegno di attenzione , di accompagnamento, di formazione e di auto-aiuto (vedi Policoro al sud), grazie alla promozione di iniziative di autoimpresa, ossia con modalità anche nuove ma capaci di guardare al futuro.
Quindi direi: al primo punto un rinnovato impegno delle Chiese. Poi un impegno a ‘connettere’ che, va evidenziandosi sempre più nello sviluppo del progetto “Cercatori di lavOro”, contenuto all’interno delle linee di preparazione a Cagliari, a partire proprio da una capacità di connessione con tutte le realtà positive del territorio.
Ecco perché abbiamo chiesto a tutte le Pastorali sociali, e quindi alle diocesi come pure alle associazioni e ai movimenti, di farsi carico di presentare esperienze di ‘buon lavoro’.
Non possiamo pensare che una volta passato l’appuntamento di Cagliari finisca l’impegno, anzi bisogna che Cagliari risvegli e mantenga alta questa connessione. Dove per connessione intendo questa capacità che le Chiese hanno – anzi, forse ormai ‘solo’ le Chiese hanno, nel nostro Paese - di unire soggetti diversi (imprenditori, sindacati, realtà dell’artigianato, dell’agricoltura, del commercio e quant’altro si occupi di lavoro), secondo una logica positiva, ossia domandandosi cosa fare in concreto sul territorio per far sì che cresca questa sensibilità, per il bene – essere, la vita buona … che poi è il sostanziale tema di Cagliari: come rispondere, cioè, alle necessità di un lavoro che sia non puramente fine a se stesso, ossia inteso come sostegno economico, ma un ‘buon lavoro’ che, come recita il titolo di Cagliari, sia libero, creativo, partecipativo, solidale.
Terza cosa che a mio avviso va sottolineata è la prospettiva di futuro. Ossia, Cagliari ci impegna a riflettere - sia prima che dopo - sui mutamenti del lavoro: quindi il lavoro 4.0, l’industria 4.0, l’apporto della robotica e, in generale, di tutto ciò che in qualche modo segna il cambiamento, come il telelavoro, i tempi familiari, la green economy, l’economia circolare, etc.. Tutte situazioni rispetto alle quali siamo un po’ impreparati, venendo dal mondo del ‘900 in cui si considerava, limitandolo, il lavoro puramente come lavoro dipendente, e che vanno invece interpretate secondo la logica cristiana che vede il lavoro anche in chiave antropologica: una logica per l’uomo, che è fondamentale per contrastare questa ‘economia che uccide’.

Cosa manca, a suo avviso, perché anche in Italia si possa parlare davvero di lavoro “libero, creativo, partecipativo, solidale”?

Innanzi tutto bisogna stabilire cosa significhi oggi lavoro ‘partecipativo e creativo’ ripartendo dal testo della nostra Costituzione, che resta il vero punto di riferimento, anche perché in essa ri-conosciamo i valori cristiani della DSC.
Partiamo dal concetto di ‘lavoro partecipativo’: è chiaro che se leggiamo l’art. 46 della Costituzione (…la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende) leggiamo un articolo che ci impegna sul piano della modalità con cui il lavoro va esercitato ed è però, al tempo stesso, un articolo ancora inevaso.
Una mancanza grave, tanto più se si considera che la Costituzione è stata scritta ormai circa 70 anni fa, una mancanza che crea un vulnus nel sistema e che dimostra come non si sia voluto corrispondere all’idea dei Padri costituenti con la necessaria fase attuativa.
Non solo, quando si parla del diritto dei lavoratori a collaborare “nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi”, vuol dire che a Cagliari dovremo ragionare su come questo principio possa diventare una proposta concreta sul tavolo dei legislatori. E’ grave che si parli di partecipazione dei lavoratori solo quando, una volta finita l’operatività di un’azienda, si chiede ai lavoratori di darsi da fare per trovare una soluzione (contratti di solidarietà, auto-gestioni, etc.): una cosa davvero triste, che dimostra come in Italia il peso dei lavoratori all’interno della direzione dell’azienda sia ancora inesistente, mentre altri Stati, come la Germania, già lo prevedono da tempo.
O ancora, il richiamo all’aspetto ‘solidale’ ci fa riscoprire l’art. 41 della Costituzione, in cui si dice che “l’iniziativa economica è libera”, e si connette questa libertà di impresa al fatto che non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale.
E’ evidente, dunque, come il nesso “libero” e “solidale” già vi sia nella nostra Costituzione. Inoltre il lavoro è sempre un fatto territoriale, ossia ogni azienda ha una ricaduta sociale importante sul territorio, che non può essere quantificata solo come ricchezza (il profitto come unico indicatore positivo) fine a se stessa guadagnata dall’imprenditore (che pure è cosa giusta), ma deve essere una ricchezza condivisa, nella sua ricaduta, dal welfare alla pratica vera della ecologia integrale.
Stesso ragionamento potremmo farlo per il lavoro ‘creativo’: è evidente infatti che in questo momento nel nostro Paese manca il rispetto dovuto ai tanti giovani che hanno una carica creativa, quando invece la nostra Costituzione è piena di articoli che parlano del futuro e della prospettiva in cui la nazione guarda alle future generazioni. Il lavoro creativo è anche generativo: e la capacità creativa dei giovani deve essere messa assolutamente al centro.

Come MCL ci stiamo preparando all’appuntamento di Cagliari attraverso un ampio dibattito che coinvolge tutti i livelli di responsabilità del Movimento, e in primis i nostri giovani, cardine del futuro che stiamo costruendo. Ha dei suggerimenti da darci in proposito?

Intanto va detto che plaudo al fatto che un’associazione come il MCL, in un momento così particolare, abbia compreso che l’invito della Chiesa italiana non è solo di tipo convegnistico o accademico, ma che vogliamo dare a queste giornate di Cagliari, e soprattutto alla preparazione e al seguito, una visione sinodale: vogliamo valorizzare le esperienze che le associazioni, e in particolare, per il contesto di questa intervista, il MCL, conoscono e valutano come positive. Siamo sicuri che la vostra associazione è in contatto con una serie di realtà lavorative propositive, e ritengo che questo risultato sia il frutto del cooptare, dell’interessare, del coinvolgere i giovani. E’ questo il senso di un’azione che deve essere un buon inizio per un cambiamento, per una trasformazione.
Quindi il MCL lo vedo e lo sfido in un certo senso - come sfido pure le altre associazioni cattoliche che si occupano di lavoro – ad essere propositivo: se i vostri giovani riuscissero a elaborare e formulare una proposta concreta legislativa per Cagliari, sarebbe un’ottima cosa… E’ una sfida che vi lancio, nel senso che non sempre possiamo e dobbiamo, forzatamente, rivolgerci al giuslavorista o all’esperto, ma sarebbe auspicabile anche interrogarci, nelle diverse sedi di partecipazione, facendo emergere cosa manca alla legislazione di questo Paese: tutto questo ci sfida a procedere non solo con logiche deduttive (per cui noi abbiamo la risposta a tutto e voi la applicate), ma ci impegna a procedere dal basso, facendo un’analisi, una ricerca seria per arrivare a vedere cosa in concreto si può fare. E’ importante che il Movimento si muova all’unisono perché questo è esemplificativo di un patto generazionale. Voi avete molti giovani – e questo va sottolineato – ma d’altra parte avete anche al vostro interno le generazioni che li precedono, e vi muovete, me lo auguro, in un’ottica di ascolto e di stimolo reciproco: il dialogo intergenerazionale applicato all’interno di un Movimento come il vostro può essere di esempio a tutto il Paese. Si tratta di acquisire uno stile di ascolto che, certo, poi va elaborato, ma che conduca – insisto – al rispetto dei reciproci diritti e doveri: non si tratta di favorire una generazione, fosse anche quella giovanile, ma dialogo e patto generazionale implicano anche il voler vedere cosa pensano i nostri anziani, come la longevità possa essere una risorsa. I pensionati, quanti esautorati dal mondo del lavoro non hanno spesso più prospettive attive e propositive. E questo vale anche alla luce di quanto dicevamo prima sul lavoro 4.0, per cui le generazioni future rischiano di diventare veramente generazioni di scarto.

Il modo in cui viene declinato e disciplinato nella nostra società il tema del lavoro ha implicazioni forti anche per le famiglie, spesso costrette a fare da ammortizzatori sociali per supplire ai vulnus di un mondo del lavoro che stenta a ripensare se stesso in un mondo globale. Cosa ne pensa?

Sì, effettivamente le famiglie sono quell’ammortizzatore sociale che per tanti aspetti ha salvato più volte il Paese da tante tragedie singolari e sociali. Nel documento preparatorio verso le Settimane Sociali si affronta anche il tema del lavoro precario: 1,5 milioni di giovani fra i 15 i 29 anni sono ‘neet’ (ossia non studiano, né lavorano, né si formano, ma restano a completo carico delle proprie famiglie) con una conseguente maggiore esposizione e vulnerabilità anche alle proposte malavitose.
Il patto intergenerazionale va coltivato anche a livello familiare dove, anzi, diventa fondamentale fra madri e figli, padri e figli. Sul punto sono state fatte ricerche significative che dimostrano come trent’anni fa in Italia avevamo 1,2 milioni di anziani mentre oggi ne abbiamo 3,5 milioni, con un clima sociale che tende a garantire gli adulti occupati, mentre a giovani precari e anziani mancano spazi e spesso opportunità. Allora la domanda, formulata anche da alcuni membri del nostro Comitato, è: come impiegare i beni accumulati nelle famiglie dei nonni per metterli a disposizione dei nipoti che non hanno casa, né occupazione, né prospettive di lavoro? E’ evidente che alcune generazioni hanno accumulato, altre invece non hanno prospettiva. Ora se all’interno della famiglia questo dialogo avviene in modo naturale in quanto è normale che i nonni proteggano e diano una mano ai propri nipoti, a livello sociale tuttavia non può bastare solo l’aspetto volontaristico, ma è necessario combattere insieme la povertà…perché, ricordiamolo, la mancanza di lavoro porta alla povertà, spesso anche una povertà assoluta. L’incidenza della povertà assoluta tra i giovani fino ai 17 anni è in costante aumento e sfiora i livelli del 10%, mentre quella degli over 65 è rimasta stabile al 4%.
Poi c’è tutta la questione del lavoro femminile e delle sue implicazioni sulla vita familiare: le ragazze ormai da qualche anno raggiungono livelli di scolarità superiore rispetto ai coetanei maschi, e ciononostante la loro partecipazione al mercato del lavoro rimane molto limitata. La disoccupazione femminile è più alta della media, intorno al 13,2%, con salari che per le donne sono sensibilmente più bassi anche a parità di mansioni, mentre il numero di figli pro capite è tra i più bassi d’Europa. Questi indizi fanno ritenere sia opportuno pensare a una riformulazione del modello di compatibilità fra lavoro e vita familiare.

I giovani e il lavoro, la famiglia e i livelli di welfare: sono binomi esplosivi, oggi, nel nostro Paese, che rischiano di inasprire le contrapposizioni innescando lo scontro sociale.
Cosa vede all’orizzonte?


C’è un altro aspetto su cui vi invito a riflettere e che fa parte anch’esso del lavoro preparatorio verso la Settimana sociale di Cagliari: il problema della formazione al lavoro e dell’alternanza scuola-lavoro, che sarà uno degli argomenti che tratteremo. E’ evidente che ci troviamo di fronte a una nuova legislazione sulla materia scuola-lavoro e con dei decreti che, in qualche modo, invitano le scuole ad avvicinare i giovani al mondo del lavoro, visto anche il superamento del vecchio modello culturale cui eravamo abituati, in base al quale l’ingresso al lavoro era guidato dall’esperienza familiare: un modello culturale oggi del tutto superato. I nostri giovani, che finora sono stati sempre protetti dai loro familiari e dal contesto che li ha visti solo come puri consumatori, in questa società ‘liquida’ si trovano invece a dover affrontare un mondo del lavoro che li pone di fronte a situazioni conflittuali di disagio alle quali sono impreparati psicologicamente.
Quanto al futuro mi pare che dobbiamo ancora riflettere bene su queste nuove leggi del welfare, sulle cooperative di comunità, ossia aprirci a modalità esperienziali nuove, per rispondere ai disagi ma evitando di delegare tutto allo Stato e alle amministrazioni pubbliche.
Serve un protagonismo nuovo nel sociale: di un sociale partecipativo solidale e creativo.
La cosa importante è capire che Cagliari non finisce a Cagliari: il tema del lavoro non può esaurirsi in una Settimana sociale, ma rilancia l’essenziale della nostra nazione, L’Italia è una Repubblica fondata sulle persone che lavorano (art.1) e non sul PIL. E qui torniamo all’art. 4 della Costituzione, che definisce il lavoro in termini di diritti e doveri laddove tutti si diano da fare affinché il lavoro diventi veramente un ‘diritto’ e un ‘dovere’. Sarebbe un errore, dunque, delegare solo allo Stato o all’imprenditore illuminato il compito di darci lavoro: siamo noi stessi i protagonisti di questa nuova dimensione, di ricchezza vera, ripeto di vita buona che ponga il lavoro come fondamento di sviluppo “materiale e spirituale” di ognuno di noi (sempre art. 4).

Fiammetta Sagliocca
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