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  Relazione C. Costalli a Consiglio Generale Mcl, febbraio 2005

Data di pubblicazione: Sabato, 26 Febbraio 2005

STAMPA E PUBBLICAZIONI / Opuscoli :: Relazione C. Costalli a Consiglio Generale Mcl, febbraio 2005

Relazione del Presidente Generale Mcl
Carlo Costalli
al Consiglio Generale Mcl
Assisi, 26 - 27 febbraio 2005

ALL’ULTIMO CONGRESSO
ABBIAMO AFFRONTATO IL TEMA
DELLA GLOBALIZZAZIONE:
PREPARANDO IL NUOVO CONGRESSO
RIPARTIAMO DA LA’


La necessità di un governo della globalizzazione

La globalizzazione sta segnando tutta la nostra epoca. Essa è, irreversibilmente, parte integrante e motrice dei cambiamenti. Ma all’interno coesistono logiche e spinte diverse. E fra queste ‘dobbiamo’ scegliere. Vanno sicuramente colti i benefici di questo fenomeno: il possibile vantaggio di una migliore integrazione dell’umanità, di una effettiva crescita economica e di solidarietà, ma non possiamo ignorare che di fronte al crescere del divario di mezzi, di conoscenze e di potere tra ricchi e poveri, tra nord e sud, la globalizzazione ha finito per mettere in evidenza tutte le sue contraddizioni e lasciare spazio all’egemonia mercantile che ha indebolito le possibili reti di solidarietà e di interdipendenza umana che stavano crescendo. Si sono così
create delle profonde fratture.

Lo sfondo problematico qui in gioco ci rimanda pure ad una serie di problematiche politiche, economiche e sociali con forti implicazioni di natura anche etica.

Non possiamo non interrogarci sul significato dei valori e degli stili di vita ricevuti dalla tradizione, o meglio dalle nostre radici giudaico-cristiane, sulla loro possibilità e capacità di integrarsi nello sviluppo mondiale, sul comportamento da tenere verso forme di vita e di civiltà che hanno il sapore della ‘intrusione’.

Non possiamo non interrogarci su una globalizzazione che tende ad affermare una cultura relativistica che compromette i vari processi di integrazione dei popoli, che rende difficile l’esportazione della democrazia, che favorisce un esasperato individualismo.

All’ultimo Congresso dicevamo, e qui ribadiamo, che “per contrastare gli effetti perversi di una globalizzazione senza regole, nelle mani esclusive dei grandi poteri economici e finanziari, e per liberarne tutte le potenzialità, straordinariamente inedite, di sviluppo e crescita della giustizia e della libertà per tutta l’umanità, occorre affermare un’etica ed una politica in grado di globalizzare, con l’economia, diritti, democrazia, solidarietà, partecipazione civile”.

Questa è la direzione in cui resta impegnato il Movimento Cristiano
Lavoratori.



Tenere aperto lo sguardo sulla povertà, i meccanismi che la alimentano, i nuovi attori.



E’ motivo di profonda inquietudine la continua crescita della ‘povertà globale’. Sotto questo riguardo, è l’Africa a restare il continente senza voce che si impoverisce ogni giorno di più. Qui, più che ovunque, è necessario un apporto costruttivo di tutti.

Adesso il recente maremoto nell’Oceano Indiano ha aggravato, anche in quella parte del pianeta, una situazione già estremamente difficile. Di fronte a questi problemi non possiamo ‘girarci dall’altra parte’.

Inoltre nel corso degli ultimi anni è emersa la forza crescente delle economie asiatiche e in particolare (ma non solo) di quella cinese, un soggetto ormai di primo rilievo per tassi di crescita del Pil, forza di penetrazione delle esportazioni, rilievo dato alla ricerca, importanza dei suoi movimenti finanziari. Anche l’epidemia di Sars, che in tanti giuravano l’avrebbe bloccata, è stata rapidamente lasciata alle spalle. La Cina, già oggi, per dimensione assoluta del Pil è la seconda potenza del mondo. Tutto questo però poggia sulla durissima situazione dei lavoratori nel Paese, sull’assenza di democrazia e libertà sindacali. Più che la riproposizione dei dazi doganali, tra l’altro inattuabili, chiediamo il riconoscimento e l’applicazione delle Convenzioni dell’Oil, delle norme internazionali del lavoro e di quelle fondamentali: la libertà sindacale e la libertà di negoziazione.

La molteplicità dei problemi e la complessità degli assetti economici e politici mondiali necessitano di un approccio non semplificato che non può essere più centrato soltanto su quello tradizionale Nord/Sud del mondo.

Questa situazione ci chiede di non restare indifferenti e di avanzare alcune proposte di intervento:
1) far crescere una cultura di pace (che è cosa diversa dal ‘pacifismo a senso unico’). Nessuno marcia per esempio per il ritiro dei soldati siriani che occupano il Libano come richiesto dall’ONU: e tanto hanno sofferto i cristiani in quel Paese come più volte richiamato dal Papa e come sottolineato anche dal Prof. Mallat, al Convegno di Palermo. Non basta comunque partecipare alle manifestazioni, occorre lavorare perché la pace non sia una bella parola, ma orienti i nostri pensieri, i desideri, e incida sul nostro modo di essere;
2) rafforzare una cultura della globalizzazione ispirata alla solidarietà e all’uguaglianza dei popoli lavorando affinchè vengano rimossi gli aspetti negativi, concentrando gli sforzi per valorizzare quelli positivi;
3) rafforzare i progetti di cooperazione (e per il MCL l’attività del CEFA), soprattutto per quei Paesi esclusi dagli aiuti del Fmi e della Ue.


La sfida europea


E’ necessario rafforzare ancora di più i nostri rapporti internazionali, soprattutto a livello europeo (anche se tanto è stato fatto negli ultimi anni), per essere capaci di svolgere un ruolo più incisivo rispetto alle istituzioni dell’UE, le cui decisioni hanno un influsso diretto sul terreno sociale, del lavoro e dell’impresa. Tanto più importanti, perché correlate all’ingresso di nuovi dieci Paesi (con i problemi che si portano dietro dopo 50 anni di regimi comunisti), evento che costituisce una grande occasione per dare nuovo slancio all’integrazione europea, da realizzare lungo le direttrici di crescita indicate a Lisbona. In particolare:
1) dotare delle risorse necessarie la politica di coesione economica e sociale nell’Europa dei 25;
2) vigilare affinchè l’allargamento non generi ulteriori difficoltà nel “partenariato euromediterraneo”, con dannose ricadute sui nostri vicini del Sud e sul nostro stesso Mezzogiorno. Sul “partenariato euromediterraneo”, (come più volte abbiamo affermato), si gioca una delle ‘sfide’ più importanti dei prossimi
anni: pace, immigrazione, ecc… Il MCL è stato (ed è) una delle organizzazioni più attive e concretamente propositive in questa direzione (con tante iniziative come Napoli, Palermo, Madrid, Lecce, ecc..): è la strada giusta, dobbiamo continuare con la consapevolezza che, senza il coinvolgimento della società civile, sarà difficile creare quell’ ethos comune necessario per una duratura unione politica europea.
3) promuovere e sostenere assetti politici-istituzionali che tutelino e garantiscano i diritti inalienabili dell’uomo (il riferimento è, in primis, alla Turchia, attualmente sotto osservazione, poi ai Paesi balcanici).


L’immigrazione


L’immigrazione è un fenomeno accentuato dalla globalizzazione. In Italia ha carattere strutturale per una molteplicità di fattori demografici, economici, geopolitici: è una necessità per lo sviluppo economico, ma con essa si misurano anche e soprattutto valori di solidarietà e di civiltà, che predispongono le condizioni di cambiamenti più profondi dell’intera società. Di qui l’esigenza di una seria politica di accoglienza e di necessari strumenti per un processo di integrazione verso una comunità multietnica. E’ necessario correggere le norme di legge negli aspetti che aggravano la precarietà dell’immigrato, per sviluppare nel territorio ogni iniziativa di tutela e soprattutto la promozione delle politiche di integrazione sociale. Gli accordi con i Paesi mediterranei (ultima la Libia) sono una strada giusta.

Però dobbiamo essere estremamente chiari. L’ingresso nel nostro Paese deve sempre più realizzarsi in presenza di tre condizioni fondamentali: il possesso di alcune conoscenze fondamentali, a partire dalla lingua, un rapporto di lavoro regolare, una abitazione dignitosa. Mi rendo conto che sono problematiche difficili e delicate ma non c’è alternativa: o viene messo ordine o l’alternativa è il lavoro sommerso, quindi lo sfruttamento, qualche volta la delinquenza. (Il Movimento Cristiano Lavoratori lancerà nei prossimi mesi, prima del Congresso nazionale, una forte iniziativa “per l’emersione del lavoro irregolare”).


Alla Unione Europea chiediamo che:


- siano tempestivamente prese tutte le decisioni necessarie a rilanciare in Europa una crescita sostenuta e sostenibile, creatrice di posti di lavoro di qualità e di coesione sociale;
- le scelte in materia di reti transeuropee integrino come prima priorità la coesione
economica, sociale e territoriale;
- il reperimento delle risorse necessarie avvenga, tra l’altro, attraverso un’interpretazione del patto di stabilità che ne faccia infine anche uno strumento per la promozione della crescita e non solo per assicurare il rigore di bilancio degli Stati membri;
- siano varate a breve tutte le proposte della Commissione volte a realizzare una politica migratoria controllata equa e trasparente, fondata sull’integrazione dei cittadini dei Paesi terzi e sulla cooperazione con i Paesi di origine per la gestione dei flussi. Condividiamo le linee generali contenute nel Libro Verde, presentato ai primi di gennaio dal commissario UE Frattini, a Strasburgo. E’ indispensabile pensare ad una strategia europea per la gestione dei flussi.


Ci dobbiamo impegnare di più per:


- monitorare attentamente tutti i processi in atto;
- cooperare sempre più strettamente con le organizzazioni dei lavoratori dei nuovi Paesi membri, dei Balcani e del Mediterraneo in particolare, per far crescere in tutta Europa la partecipazione e la dimensione sociale dei processi di integrazione economica. Anche il Seminario che terremo a Verona ai primi di aprile va in questa direzione: MCL è l’unica organizzazione che si è occupata dei Balcani.
- sollecitare, in sede europea, uno sviluppo del bilancio comunitario che ne faccia uno strumento valido di sviluppo economico e sociale dell’Ue.


La ripresa difficile


Ci sono i primi segnali di una inversione di tendenza sull’andamento dell’economia a livello internazionale, a partire dagli Usa, sotto la spinta propulsiva di politica monetaria e politica fiscale: segnali molto più deboli in Europa, dove continua a prevalere un’interpretazione troppo restrittiva del Patto di stabilità, con la politica monetaria preoccupata soltanto di un ruolo di compensazione rispetto alla lamentata incapacità dei governi di controllare i bilanci pubblici schiacciando al 3% il rapporto deficit/Pil.

Non si fanno in questo modo passi decisivi per una organica strategia di sviluppo, per la ricerca e l’innovazione.

Il Patto di stabilità, cui sono vincolati tutti i Paesi UE, è non solo di stabilità, ma anche di crescita, per cui riteniamo ragionevole la proposta di una revisione degli accordi di Maastrich, soprattutto per le spese sostenute per ricerca ed innovazione: insomma, avviato il risanamento, occorre innescare meccanismi di sostanziale ripresa.

A Bruxelles e nelle capitali d’Europa non si compiono atti decisivi in favore delle strategie concertative, che coinvolgano le parti sociali, e le politiche dell’Unione appaiono piuttosto orientate a sollecitare i Paesi membri a ulteriori tagli dello stato sociale e ad interventi che ridurrebbero il benessere della maggioranza della popolazione. Il neo-Presidente UE Barroso ha affermato, opportunamente, di voler rilanciare l’Agenda di Lisbona. Lo valuteremo alla prova dei fatti.

Un po’ di ripresa viene intravista anche in Italia. Il Pil sale anche se ancora a livelli insufficienti; si intravedono segnali incoraggianti, anche sui livelli occupazionali. Seguiremo con grande attenzione il dibattito ed il confronto sul piano per le competitività, presentato dal Governo alle parti sociali.


Le sfide: il lavoro, la concertazione e la contrattazione


La concertazione, indebolita dall’azione del Governo e dalle divisioni sindacali, resta uno strumento importante per una politica di “crescita governata” che, secondo il Movimento Cristiano Lavoratori, va rilanciata nell’interesse del Paese e dello sviluppo, insieme con una condivisa politica dei redditi. Non ci interessa se si cambia il nome: concertazione o dialogo sociale.

Il mondo del lavoro è cambiato, è sottoposto a profonde trasformazioni. Nel mercato del lavoro flessibile è più facile dover cambiare il lavoro, trovare un lavoro temporaneo piuttosto che stabile, trovare, mantenere e ritrovare il lavoro, se si hanno maggiori capacità di riqualificazione e maggiori competenze professionali. I più deboli sono i più esposti agli effetti più pesanti delle flessibilità, sottratte alla contrattazione, e cioè alla disoccupazione e precarietà senza tutele.

Occorre pertanto passare, con un salto di qualità legislativo e contrattuale, dalla tutela esclusiva sul posto di lavoro ad una tutela anche nel mercato del lavoro, assicurando ai lavoratori tutti gli strumenti che migliorano occupabilità e adattabilità come ci indica la strategia Europea per l’occupazione, costruendo una moderna rete di servizi per l’impiego.

Da qui l’esigenza di una più forte attenzione al ‘mercato del lavoro’ e ai nuovi lavori per poter determinare nuove forme di tutela e di promozione capaci di forme differenziate, ma comunque attente alle esigenze delle persone. Nuove tutele, nuovi diritti, nuove forme di promozione devono essere basate sul pieno e corretto esercizio della rappresentanza, assicurando piena cittadinanza, nell’impresa e nella società, ad ogni lavoratore.

Queste nuove tutele devono intervenire nel passaggio da un lavoro ad un altro, facilitandolo con efficienti politiche attive dei servizi dell’impiego e congrui ammortizzatori sociali vincolati alla formazione, nella transizione scuola/lavoro e nella formazione continua in tutto l’arco della vita, nelle modalità di protezione e tutela dei nuovi lavori.

Su questa base era stata espressa dal Movimento Cristiano Lavoratori l’attenzione “articolata” alla filosofia contenuta nel Libro Bianco presentato dal Governo nell’autunno 2001.

Il decreto legislativo n. 276, attuativo della legge delega n. 30 del febbraio 2003, porta a definizione una parte importante delle riforme delineate nel “Libro Bianco”.

L’iter dei due provvedimenti è emblematico della fase d’indebolimento della concertazione. Ma l’atteggiamento determinato della CISL, e anche del MCL che ha chiesto sempre il confronto senza pregiudiziali, ha pagato.

La discussione sul Libro Bianco e sulla Legge 30 da esso derivata, è stata fortemente influenzata, come si ricorderà, dallo scontro relativo alla normativa sui licenziamenti. Si situa, peraltro, in questo periodo, l’uccisione, in un agguato terroristico, del prof. Marco Biagi.

I temi del lavoro continuano, purtroppo, a scontare un alto tasso d’ideologia, e a creare veri e propri scontri tra chi, in nome del liberismo, propugna la flessibilità tout court del lavoro come unica strada per il rinnovamento dell’esistente, e chi, in nome di un garantismo assoluto, chiude gli occhi di fronte ad ogni esigenza d’innovazione, dimostrando di essere, nei fatti, il vero propugnatore di un “conservatorismo senza radici”.

Il Patto per l’Italia del 5 luglio 2002, purtroppo senza la firma della CGIL, ha rappresentato uno sforzo coraggioso e responsabile condotto soprattutto dalla CISL per vincere alcune istanze antisindacali presenti nel Governo, difendendo l’art. 18 (che non è stato più smantellato, anzi, in effetti, non è stato toccato) e riportando al centro le questioni dello sviluppo e delle riforme necessarie (fisco, Mezzogiorno, ammortizzatori sociali). In ogni caso il clima conflittuale non ha consentito di concordare tutti i contenuti della legge 30.

Il Patto impegnava tuttavia il Governo al confronto con le parti sociali sui contenuti del decreto attuativo della legge stessa. Ciò ha consentito di migliorare notevolmente l’equilibrio del testo del decreto rispetto alle iniziali proposte governative. Grazie a quest’azione ora legge 30 e decreto delegato d’attuazione, pur con alcuni punti controversi, s’iscrivono tuttavia nel percorso di riforma indicato dall’Unione Europea, bilanciando adattabilità e occupabilità, benchè offrano un quadro ancora incompleto; infatti, come è noto, i due provvedimenti ridisegnano parti importanti delle politiche e del mercato del lavoro.

In particolare nei testi definitivi c’è un’attenzione, non di facciata, all’emersione del lavoro sommerso precario, che è uno dei grandi problemi dell’Italia, grazie all’introduzione del lavoro accessorio e del lavoro a progetto, che ha sostituito, con più tutele, le famose co.co.co.. Inoltre è assegnato un ruolo importante alla bilateralità, in particolare nella gestione dei servizi per l’impiego.

La percentuale di disoccupazione, anche grazie a questa riforma, è sensibilmente diminuita in Italia, arrivando a percentuali che non si ‘pensavano’ più ormai da oltre dieci anni. Il numero degli occupati è salito negli ultimi tre anni del 3,2%. Una tendenza alla crescita che non si riscontra in tutta l’U.E. (tanto meno in Francia, Germania, Spagna).

Il quadro delle riforme è però ancora incompleto.

Rimangono, infatti, fino ad oggi senza seguito gli interventi, promessi dall’accordo di luglio 2002, sugli ammortizzatori sociali e sullo Statuto dei lavori, il progetto finale per le nuove sicurezze. Si tratta di interventi indispensabili per assicurare tutele a tutto campo in un mercato del lavoro che oramai da anni è più flessibile.

Sullo Statuto dei lavori è all’opera da mesi, concretamente, una Commissione Ministeriale presieduta dall’amico prof. Tiraboschi. Ne seguiamo con grande attenzione ed interesse il lavoro, soprattutto dopo che è iniziata la nostra collaborazione con l’Associazione per gli Studi Internazionali e comparati sul Diritto del Lavoro e le Relazioni Industriali, fondata da Marco Biagi e attualmente presieduta dal prof. Tiraboschi.

Uno Statuto dei lavori, di tutti i lavori, che sappia davvero garantire ad un Paese giusto e competitivo un sistema di regole semplici e adattabili, sostanziali più che formali, rivolte a dare tutele in proporzione alla effettiva condizione di dipendenza socio-economica (e non meramente tecnico-funzionale) del lavoratore. Una scelta così difficile per coloro che hanno la testa rivolta all’indietro, così affascinante ed importante per chi vuole governare in futuro.

Ciò che ancora non è avvenuto nel nostro Paese è il superamento di veti e pregiudiziali ideologiche che rallentano inutilmente le riforme necessarie per evitare fenomeni di destrutturazione e di deregolamentazione strisciante del mercato del lavoro: fenomeni che rappresentano al tempo stesso causa ed effetto di una fiorente economia sommersa (di gran lunga superiore a tutti gli altri Paesi industrializzati). Questi fenomeni sono, oggettivamente, favoriti dal conservatorismo delle O.O.SS., in particolare la CGIL.


La riforma del modello contrattuale


Per far fronte ai profondi mutamenti del lavoro occorre superare le vecchie logiche della contrattazione. In verità, la CISL ha avviato da tempo al suo interno e nel Paese una approfondita riflessione proponendo formalmente l’apertura di un negoziato fra le parti sociali per definire un nuovo modello di contrattazione, ricalibrando i due modelli contrattuali, nazionale e decentrato, alle nuove esigenze. Siamo d’accordo, è un passo nella giusta direzione.

La proposta che la CISL ha avanzato punta allo sviluppo del secondo livello di contrattazione decentrata aziendale o territoriale come diritto realmente esigibile in tutti i luoghi di lavoro, anche con efficaci strumenti applicativi dei contratti nazionali. Siamo d’accordo con questa impostazione: è una scelta coraggiosa, una scelta riformista.

La contrattazione decentrata dovrà consentire di negoziare gli incrementi salariali legati alla produttività, di promuovere l’occupabilità e la qualità del lavoro e la professionalità, di regolare la flessibilità, di sviluppare la partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali, di intercettare la contrattazione con l’evoluzione della bilateralità.

Il mantenimento del livello nazionale di contrattazione rimarrà, confermando la tutela dei redditi da lavoro con minimi nazionali di garanzia, le normative di carattere generale, la regolazione delle sedi di partecipazione e di bilateralità.

Seguiremo con attenzione queste iniziative, se questa proposta andrà avanti, stante l’opposizione ideologica della CGIL.

Riteniamo inoltre importante rilanciare la proposta (già fatta al precedente Congresso) di un terzo livello di contrattazione: il livello europeo, ritenendo necessario fissare un quadro normativo dei diritti dei lavoratori uguale per tutti in Europa, cui dovranno far riferimento le contrattazioni nazionali.


Politica industriale e Mezzogiorno


Il sistema produttivo industriale italiano sta perdendo competitività. Per troppo tempo si è discusso di competitività puntando il dito sulle possibili rigidità del nostro mercato del lavoro; ora diventa chiaro che non basta ragionare sulle forme del lavoro, ma occorre necessariamente puntare gli occhi anche sul sistema produttivo.

Cambia il modello organizzativo della produzione: occorre cioè agire simultaneamente sulla crescita della occupazione e, al tempo stesso, sullo sviluppo della qualità, produttività e capacità inclusiva del lavoro.

L’industria, nonostante il maggior peso occupazionale del terziario, è ancora l’asse portante della nostra economia. Oltre la metà del valore aggiunto del settore privato è prodotto dall’industria.

Chiediamo pertanto anche agli industriali di investire di più nella formazione per l’innovazione, di essere più creativi, di superare quella mentalità statalista ancora presente in molti settori della vecchia industria. Al Governo chiediamo regole chiare per un libero mercato sano, una politica economica che favorisca lo sviluppo complessivo, una politica di sostegno per le fasce deboli attraverso un uso intelligente dello strumento fiscale. In questo quadro, in attesa di conoscere bene le proposte del Governo, ci limitiamo ad individuare alcune priorità:
a) sviluppo del Sud: è la priorità nazionale cui va data risposta attuando pienamente le misure previste nel Patto del 5 luglio, per ottimizzare l’utilizzo dei fondi europei e rilanciare la programmazione negoziata rendendo operativa la regionalizzazione dei Patti territoriali e lo sviluppo del turismo; dobbiamo impegnarci tutti affinchè il Mezzogiorno diventi una ‘priorità europea’;
b) forti e continuativi investimenti in ricerca e sviluppo;
c) definitivo ammodernamento delle infrastrutture;
d) più forte politica industriale a livello regionale: un’esigenza sempre più pressante, anche sulla base delle nuove competenze legislative delle Regioni, decisiva per attuare una politica per i distretti industriali con la valorizzazione dei patti territoriali;
e) maggiore impegno sulle politiche agro-industriali e la valorizzazione delle produzioni tipiche;
f) sistema bancario adeguato: deve aderire di più alle esigenze di crescita, innovazione e capitalizzazione delle imprese per rendere più efficiente e trasparente l’intero settore finanziario;
g) democrazia economica: il successo del modello sociale di mercato europeo è basato soprattutto sulla concezione partecipativa a livello d’azienda e di territorio (mi soffermerò più avanti).

La crescita del Mezzogiorno e il superamento del divario Nord- Sud rappresentano il fulcro di una politica di sviluppo. Anche perché siamo di fronte a due importanti scadenze: da un lato, l’avvenuto allargamento dell’Unione Europea e, dall’altro, la creazione di un’area a libero scambio euro-mediterraneo.

Altro tema da approfondire è quello dello sviluppo sostenibile. Tutela e miglioramento ambientale costituiscono un valore dall’alto profilo sociale, morale ed economico: si tratta del bene collettivo per eccellenza di cui tutti usufruiscono. La domanda crescente tra i lavoratori di una migliore qualità dell’ambiente, impegna il MCL a rafforzare la sua capacità di intervento a partire dai temi della sicurezza ambientale rispetto ai rischi dell’assetto idrogeologico, dovuti in particolare alla mancata e corretta manutenzione del territorio. Tutto questo pone in maniera urgente la necessità di riqualificare sulla valenza ambientale prodotti e sistemi di produzione e consumi e quindi più conoscenza, partecipazione e condivisione dei cambiamenti delle scelte da realizzare. E’ il momento di aprire con decisione il capitolo della Democrazia Ambientale, della sicurezza e del miglioramento ambientale.

Abbiamo iniziato a parlarne ad Assisi al Convegno Feder.Agri.: andremo avanti su questa strada.


Democrazia economica e partecipazione


La domanda diffusa di partecipazione espressa dalla società civile evidenzia la necessità delle moderne democrazie di andare oltre i vecchi schemi.

E’ questa una necessità dettata in primo luogo dai profondi mutamenti del contesto economico e produttivo.

Sono all’ordine del giorno processi di concentrazione delle imprese, fusioni domestiche e trasnazionali che mutano la natura stessa del capitale da produttivo a finanziario, e accrescono la capacità di ‘evasione’ delle aziende dalle regole della trasparenza, dal controllo degli azionisti, dall’informazione ai lavoratori: in una parola dalle regole della governance.

Tutte questioni decisive non solo per le regole della libera concorrenza ma soprattutto per la democrazia. Pure in un contesto così difficile ed ostile, le urgenze della competizione determinano un fenomeno culturale nuovo, portatore di considerevoli opportunità. Sempre di più, infatti, si assiste alla crescita del ruolo delle persone, alla ‘valorizzazione del capitale umano’.

Dopo una fase in cui molti pensavano che la tecnologia avrebbe soppiantato il contributo del lavoro umano alla produzione, esso torna, sia pure modificato, ad essere centrale.

Il Movimento Cristiano Lavoratori considera la democrazia economica, in tutte le sue accezioni, una questione decisiva e di straordinaria attualità, indispensabile allo sviluppo compatibile. E’ anche uno degli elementi che qualificano la strategia messa a punto a livello europeo per ridare slancio e competitività al sistema produttivo dell’Unione, identificando, a pieno titolo, un modello europeo che tende ad unire mercato e solidarietà, libera concorrenza e responsabilità.

Ne scaturisce un modello in cui proprio la partecipazione è garanzia di successo nei processi di ristrutturazione e riconversione e, quindi, garanzia di successo nella competitività globale.

La democrazia economica e la partecipazione dei lavoratori appaiono sempre più elementi indispensabili per consentire all’apparato produttivo un utilizzo aperto, ma condiviso e verificabile, della flessibilità e dell’innovazione necessarie alla trasformazione e alla riqualificazione della produzione e dei servizi.

Le forme della democrazia economica sono molteplici e presentano una gamma d’opportunità d’intervento molto ampie che vanno dalle regole della governance (legislazione, diritto societario, partecipazione dei lavoratori alle sedi decisionali, responsabilità sociale delle imprese), ai rapporti sociali ed economici (azionariato dei dipendenti, previdenza complementare), ai rapporti di lavoro (diritti di informazione e consultazione, presenza negli organismi societari previsti dalle Direttive europee sullo Statuto delle Società e sui diritti d’Informazione e Consultazione).

A queste forme di democrazia economica il MCL ha contribuito con una incessante campagna di sensibilizzazione per affermare una nuova cultura dell’essere e ‘fare impresa’.

La responsabilità sociale delle imprese rappresenta, in tale quadro, un’ulteriore sfida per un sistema di relazioni industriali moderne.

Va posto il tema con maggiore forza, chiarendo subito che ‘responsabilità sociale dell’impresa’ significa responsabilità sociale verso il mercato, il territorio e la società civile, ma significa anche responsabilità sociale negli ambienti di lavoro verso i lavoratori ed i sindacati. Essa non può essere mai confusa con l’autoreferenzialità degli imprenditori, ma deve adottare percorsi, regole, strumenti di valutazione e certificazione dei processi condivisi e condivisibili, per cui deve essere inserita in percorsi contrattuali ad ogni livello. Infatti, solo un’incisiva azione negoziale legittimerà la prospettiva di una sua evoluzione. Una fase quindi ricca di sfide ma anche di opportunità che la nostra iniziativa politica deve saper cogliere e valorizzare appieno, anche per l’affermazione di quell’idea di ‘sindacato partecipativo e riformista’ che da sempre è parte centrale del patrimonio culturale del nostro movimento.


Ricerca, tecnologia, innovazione


La globalizzazione dei mercati (finanziari) marcia di pari passo con un’esplosione delle tecnologie di informazione e comunicazione ed applicazioni scientifiche (biotech, genetica).

Le conseguenze sul lavoro (necessità di competenze moderne, rischi di emarginazione, competitività, flessibilità, ambiente e sicurezza) e l’organizzazione di impresa (decentramento, necessità di competenze qualificate, possibilità di innovazione) sono enormi e ormai visibili. L’era dell’accesso porta con sé il prezzo dell’apprendimento continuo, in quanto la velocità del cambiamento delle conoscenze connesse alle nuove tecnologie è molto rapida.

La mancanza di conoscenze, dal punto di vista del lavoro e della vita economica, segna ormai il confine tra vecchie e nuove povertà. Dal nostro punto di vista, oltre l’attenzione, occorrerebbe pensare a politiche ad hoc (vedremo cosa c’è nel ‘pacchetto’ adesso in discussione).


Scuola e formazione


La sfida della competitività del nostro sistema produttivo, in Europa e nella globalizzazione, si gioca anzitutto sul terreno del livello di qualità di istruzione e formazione dei lavoratori, dei cittadini; nonché sulla capacità dei sistemi dell’alta formazione e della ricerca, di promuovere un circuito virtuoso di innovazione scientifica e tecnologica, e di sviluppo.

Abbiamo sempre sostenuto che la scuola doveva essere riformata: dove ‘riformare’ significa restituire serietà agli studi e dignità al corpo insegnante. (Un po’ di meritocrazia non farebbe male… in tutti i campi…).

La riforma Moratti è, a mio parere, un primo passo nella direzione giusta: la seguiremo con attenzione alla prova dei fatti e, se necessario, la criticheremo, ma non sarà mai, la nostra, una scelta ideologica come fanno molte organizzazioni di sinistra.

Comunque, amici, staremo a vedere, rimanendo sempre ferma in noi la convinzione che gli studenti vengono prima degli insegnanti, come i malati prima dei medici.


Welfare da riformare: la sfida per il futuro


Il welfare costituisce la risposta all’insicurezza e alla fragilità complessiva della persona, del nucleo familiare e della comunità e, poiché la dinamica della spesa presenta un ritmo più accelerato rispetto all’andamento del Pil, si sta evolvendo, con linee ed ostacoli anche diversi, in tutti i Paesi sviluppati.

Lo stato sociale, nei vari livelli della governance del sistema, nel suo meccanismo di finanziamento, nel suo modello di progettazione, programmazione e gestione, nella partecipazione singola ed associata, è percepito ancora come un elemento selettivo e qualitativo del modello di democrazia esistente nei rispettivi Paesi; è una conquista storica da non abbandonare. Ma va preservato adeguandolo al nuovo scenario globale.

La rimodulazione del welfare deve tendere a tutelare la salute ed il benessere dei cittadini, a costruire un rapporto equilibrato di diritti ed opportunità fra le generazioni in un contesto di solidarietà, di equità, di coesione sociale, e a gestire strumenti redistributivi garanti dell’omogeneità dei servizi e delle prestazioni.

Il nostro welfare rimane finanziato da pochi attivi. Esso dà troppo a troppo pochi, viziato com’è da privilegi corporativi e da diseconomie dovute a imponenti normative che ne hanno eroso l’impianto originario e la funzionalità. Allarmano il declino demografico e la bassa dotazione di capitale umano che impoverisce il tessuto produttivo. L’economia sommersa continua ad avere una dimensione abnorme. Infine la spesa sociale rimane concentrata sul sistema previdenziale a danno del sostegno alla famiglia, ai disoccupati, ai disabili, ai poveri.

La carenza di risorse economiche tende a ridurne gli effetti e a trasferirne la gestione al mercato, a beneficio del capitale privato e del sistema assicurativo, privilegiando la deregulation normativa, economica ed organizzativa.

I cambiamenti dei modelli produttivi, del mercato del lavoro, delle tendenze demografiche, della struttura e della composizione sociale, della domanda di qualità in rapporto alla percezione della salute, combinati con le risorse limitate, richiedono una rimodulazione del welfare a partire da una incisiva politica di sostegno della famiglia.

E’ nostro dovere impegnarci affinché il sistema di protezione sociale, al contempo universale ed articolato, debba soprattutto tutelare le fasce più deboli, la condizione degli anziani, le povertà vecchie e nuove, la disabilità, le emarginazioni, l’esclusione sociale e la non autosufficienza.

Una politica di sicurezza sociale deve valorizzare il ruolo essenziale della pubblica funzione, basata però su criteri d’efficacia, efficienza, economicità, appropriatezza e sviluppare un rapporto pubblico-privato attribuendo un ruolo sempre più penetrante all’esperienza italiana del volontariato, alla natura del privato-sociale e, in generale, al sempre più consistente Terzo Settore, nelle sue forme associative fortemente partecipate e democratiche.

Ma lo sviluppo del welfare moderno deve avvenire in un contesto che escluda la frammentazione antagonista dei modelli, riferibili, pur con un certo grado di differenziazione regionale e territoriale, ad un sistema coeso e partecipato di protezione della salute, come bene individuale collettivo, percepito e tradotto in qualità della vita.

Rivedere lo Stato sociale è ineludibile, come ho detto prima non è un cedimento a una strategia di abbandono di conquiste storiche: è il solo modo di preservare, per le future generazioni, per i giovani, la sostanza delle acquisizioni. Giovani che dovranno fronteggiare simultaneamente la sfida della concorrenza internazionale e quella dell’invecchiamento demografico. E’ indispensabile quindi lavorare ad un nuovo Patto generazionale: preparando il Congresso Nazionale predisporremo proposte concrete su cui aprire un confronto nel Paese (siamo ormai maggiorenni per farlo).


Il Sindacato


Per affrontare i nuovi scenari è indispensabile una riflessione su regole e conflitto. Gli scioperi selvaggi nell’ambito del trasporto pubblico dei mesi scorsi sono una spia di una questione assai più complessa e preoccupante, connessa alla progressiva lacerazione del nostro sistema di relazioni industriali. Per alcuni la colpa è di chi ha messo in crisi il metodo della concertazione, per altri il problema è dato dalla crisi di rappresentatività del sindacato che ingenera fenomeni di esasperata concorrenzialità tra le stesse organizzazioni
sindacali.

Sul terreno della democrazia sindacale riteniamo che oggi l’unica strada percorribile sia quella negoziale. All’interno di una revisione del modello contrattuale è necessario affrontare questa questione. Questa problematica non è più eludibile, è giunto il momento di affrontarla e di formulare una soluzione con una regolamentazione capace di definire i criteri che garantiscono una soglia ragionevole di rappresentatività negli accordi collettivi, pur in una situazione di pluralismo sindacale. Occorre affrontare il problema avendo chiaro che non possono esistere regolazioni che introducano direttamente o surrettiziamente il diritto di veto che possa bloccare le dinamiche negoziali o boicottare accordi già presi. Servono delle regole che inibiscano le volontà a non giocare la trattativa, a sottrarsi dal negoziato o che pongano obiettivi poco convincenti o non condivisi da altri sindacati rappresentativi, o obiettivi prettamente e sfacciatamente politici.

La CISL è ancora una volta chiamata a farsi carico dell’evoluzione del movimento sindacale italiano in un grande soggetto sociale, capace di manifestare una dimensione politica, in un quadro responsabile e capace di partecipare ai processi di formazione delle decisioni: un vero sindacato riformista e partecipativo deve incalzare la CGIL sul modello di sindacato e nello stesso tempo operare un grande sforzo organizzativo, cioè associativo e culturale. Noi, per quanto ci compete, faremo la nostra parte.

L’altra vera sfida è quella dell’autonomia: vera, coerente, trasparente, visibile, da tutti; dai partiti politici, da tutti i governi, da tutti i ‘centri di potere’.

In una società in cui tende a predominare l’individualismo, è il ‘fare da sé’ che sempre finisce per rafforzare i forti. Occorre essere protagonisti di un progetto e di un percorso che recuperi la dimensione del ‘fare insieme’, dell’associarsi, dell’agire solidale, evitando peraltro, da parte delle organizzazioni sindacali, l’affermarsi di una mentalità ‘monopolistica’ della rappresentanza.

Il Sindacato deve operare, inoltre, con decisione, per dare rappresentanza a tutti i lavoratori che non l’hanno: nuovi lavori, atipici, nuove professionalità, nuove figure sociali.

Il rischio è la disaffezione al sindacato, la sua caduta di credibilità, forse, alla lunga, la sua sopravvivenza.

Anche quando sostengono cose giuste devono essere meno ‘autoreferenziali’, meno corporativi, meno isolati.


La famiglia: la ‘prima’ priorità (per il M.C.L.)


Il problema è quello di appropriarci, o di riappropriarci, culturalmente del concetto della famiglia in quanto Valore, laicamente inteso (anche se per noi cristiani è qualcosa di più).

La nostra fede nella democrazia ci obbliga alla tolleranza e la nostra appartenenza alla Chiesa ci spinge all’accoglienza, per cui è inimmaginabile qualsiasi politica discriminatoria fondata su un presupposto moralistico.

Le diverse inclinazioni della ‘famiglia’ hanno certamente diritto di cittadinanza in accordi pattizi che già esistono, ma che forse andrebbero rivisti, nell’ambito di un diritto positivo che avrebbe bisogno di essere rivisitato. Ma sia chiaro: per noi, la famiglia resta quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, perché è un valore che scaturisce dal diritto naturale e in quanto tale va costituzionalmente protetto e rafforzato. Pertanto, qualsiasi tentativo di equiparazione va ostacolato perché è del tutto evidente che si vuole scardinare un valore. Ed in questa direzione sembra soffiare il vento della cultura imperante dell’individualismo, del pragmatismo e del secolarismo. Ma l’appropriazione culturale del concetto della famiglia, ci deve indurre ad agire politicamente non solo per tutelarla, ma anche per sostenerla concretamente.

Non è più il tempo di politiche assistenziali, di interventi ‘tampone’ con cui si soccorrono le famiglie solo in quanto povere e bisognose e non in quanto famiglie.

Non si può andare avanti navigando a vista, senza strategie e piani concreti, con provvedimenti che sono solo di immagine e non incidono sulla realtà delle famiglie italiane.

Il primo riferimento specifico è proprio al concreto riconoscimento dei carichi familiari. Il Governo, in sede di approvazione della delega fiscale 2003, si era impegnato a “dare attuazione al principio di equità fiscale orizzontale,nel senso di consentire a tutte le famiglie la facoltà di dedurre dall’imponibile i costi necessari al mantenimento della prole”.

Ci avviamo alla fase finale della legislatura, al momento in cui devono trarsi le conclusioni (e vedersi i frutti delle scelte effettuate): è indispensabile dare seguito all’impegno di attuare il principio di equità fiscale orizzontale (impegno ancora chiaramente disatteso).

Si chiede pertanto che il Governo si impegni a dare piena attuazione al principio di “equità fiscale orizzontale”, nel senso di consentire a tutte le famiglie la facoltà di dedurre dall’imponibile i costi necessari al mantenimento della prole.

Con l’ultima Finanziaria è stato fatto un passo in avanti: è senz’altro positivo il passaggio dalle detrazioni alle deduzioni; è apprezzabile l’aumento delle detrazioni per il coniuge a carico, per i minori di tre anni, per gli anziani, per le badanti per persone non autosufficienti. Lascia però molto perplessi che per ogni figlio a carico la cifra che viene riconosciuta sia sostanzialmente invariata. E’ politicamente significativa la scelta di ridurre le tasse, anche se in misura modesta. Certo non aiuta un Paese politicamente spaccato in due, e con una opposizione più portata alla critica pregiudiziale che alla proposta.

La battaglia continua anche attraverso la partecipazione al Forum delle Famiglie, fortemente impegnato su questi temi.


Questione politica e ruolo dei corpi intermedi


Su questo punto vogliamo essere ancora una volta estremamente chiari. Noi da anni portiamo avanti una battaglia per il riconoscimento politico di tutto quel variegato mondo dell’associazionismo che costituisce l’anello di congiunzione più importante tra i cittadini e le istituzioni.

Il mondo dell’associazionismo è il vero nerbo della democrazia, perché ostacola il naturale tentativo di qualsiasi potere democratico statuale di divenire statalista. E qui voglio essere ancora una volta preciso: tutto il mondo dell’associazionismo indica non solo le organizzazioni sindacali, spesso attraversate da ‘mentalità monopolistiche’, tendenti alla conservazione dello status quo.

Ebbene, io ritengo che sia giunta l’ora di liberarci da quel complesso di inferiorità che ci rende da una parte ‘accattoni di considerazione’, rivendicando spazi di rappresentanza sociale, spesso in concorrenza tra di noi, e dall’altra parte subalterni rispetto ai cosiddetti rappresentanti istituzionali.

Se siamo veramente convinti (come diciamo) di essere il nerbo della democrazia, dobbiamo anche avere il coraggio di rivendicare una nostra soggettività politica, non ‘contro’, ma ‘assieme’ ai rappresentanti istituzionali, nel reciproco rispetto dei ruoli e delle competenze.

Una riflessione particolare va fatta con riferimento alle associazioni di ispirazione cristiana ed ai movimenti ecclesiali. A qualsiasi osservatore attento non è certamente sfuggito il fatto che, almeno da un decennio, la cultura dominante ha innescato un meccanismo strisciante e subdolo, tendente a relegare nella sfera del privato la dimensione religiosa della vita. E’ un fatto che riguarda la coscienza di ognuno di noi, si dice e si ripete continuamente; i problemi di coscienza non possono trovare asilo nella politica. E così via dicendo...

La concezione della vita (leggasi: aborto, procreazione assistita) il senso della morte (leggasi: eutanasia), il ruolo delle famiglie (leggasi: coppie di fatto e/o omosessuali), sono valori riconducibili alla sfera personale dell’individuo: ognuno agisce e giudica secondo coscienza. In questo senso, i cattolici possono essere portatori di valori che si esprimono in uno stile di vita, ma non possono avere cittadinanza politica in uno stato laico.

Pertanto, se è fuori discussione la legittimità politica dei cattolici (e non potrebbe essere diversamente) non è altrettanto fuori discussione il diritto dei cattolici di esprimere politicamente i valori di cui sono portatori.

Non a caso si grida allo scandalo e si accusano i Vescovi di indebita ingerenza nella politica, quando di esprimono su questioni fondamentali.

E’ successo a metà gennaio quando il cardinale Ruini è intervenuto al Consiglio Permanente della CEI sul referendum sulla procreazione assistita. Intervento peraltro quanto mai opportuno.

La Chiesa fa il suo mestiere e noi abbiamo il dovere di intervenire politicamente per affermare i valori in cui crediamo, anche con atti concreti, come le leggi.

Sul referendum, in particolare, che non abbiamo voluto ma che non temiamo, ci impegneremo facendo la nostra parte in una campagna referendaria che ci auguriamo civile, ed usufruendo di tutti i mezzi previsti dalla legge, compresa l’astensione. E’ una legge che per i cattolici è il ‘male minore’: ci opporremo quindi ad atti che tendono a peggiorarla.

Su questo tema è opportuno un pronunciamento ufficiale del CN.
L’amico Noè Ghidoni è stato delegato dalla Presidenza Nazionale alla predisposizione di un o.d.g. ad hoc.

Non si tratta di imporre una visione della vita in modo integralistico e fondamentalistico, ma semplicemente di affermare valori condivisi o condivisibili da tutti. Si tratta di valori laici, sui quali si può e si deve sviluppare un sereno dibattito e confronto che investe il tipo di società che si vuole costruire attraverso lo strumento della politica.

Per questo, anche noi, associazioni di ispirazione cristiana e movimenti ecclesiali, dobbiamo con forza rivendicare, nel contesto del più ampio e variegato associazionismo (come accennavo prima) un preciso ruolo politico, fortemente motivati dalla convinzione che la politica (con la P maiuscola) è una nobile espressione della carità. Noi del M.C.L. lo faremo sicuramente.

Allora, ripeto, usciamo allo scoperto senza complessi di inferiorità rispetto alla politica, ponendoci come soggetto autonomo di proposte politiche, avendo ben presenti i nostri mezzi e le necessarie sinergie ed alleanze tra i diversi movimenti ed associazioni che comunque rappresentano una ricchezza per la società civile e per la Chiesa.

Questo è il ‘problema’ che hanno di fronte le organizzazioni cattoliche, dopo le tante speranze dei mesi scorsi. Un primo tentativo di unità sarà la Festa del 1° maggio che, su richiesta della CEI e con la presenza del Papa, le organizzazioni cattoliche celebreranno (insieme alla CISL) in Piazza S. Pietro ricordando S. Giuseppe Lavoratore a 50 anni dall’istituzione della festa. Il MCL ha già aderito e dovrà mobilitarsi.

Ci aiuta, anche in questa occasione, il Santo Padre che, nel messaggio inviato alle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani a Bologna, il 7 ottobre scorso (Settimane Sociali dai più ormai dimenticate), affermava: “I cattolici sono perciò invitati non soltanto ad impegnarsi per rendere viva e dinamica la società civile, con la promozione della famiglia, dell’associazionismo, del volontariato e così via, opponendosi a indebiti limiti e condizionamenti frapposti dal potere politico o economico; essi devono anche considerare l’importanza dell’impegno nei ruoli pubblici e istituzionali, in quegli ambienti in cui si formano decisioni collettive significative e in quello della politica, intesa nel senso alto del termine, come oggi è auspicato da molti. Non si può infatti dimenticare che sono proprie della vocazione del fedele laico la conoscenza e la messa in pratica della dottrina sociale della Chiesa e, quindi, anche la partecipazione alla vita politica del Paese, secondo i metodi e gli strumenti del sistema democratico. Alcuni poi sono chiamati ad uno speciale servizio alla comunità civile, assumendo direttamente ruoli istituzionali in campo politico”. Queste le indicazioni del S. Padre, che però ci pongono di fronte a grandi interrogativi. Quale ruolo dovrebbero rivendicare e praticare le forze sociali, qual è il posto da riconoscere alla solidarietà, alla sussidiarietà, al legame comunitario, all’autonomia della società civile? Noi pensiamo, abbiamo detto più volte, che per rispondere a questi interrogativi è necessario fare una profonda riflessione sulle ragioni della nostra appartenenza a un sistema di valori che scaturisce direttamente degli insegnamenti del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa.

Tanti sono i Pastori (Vescovi e Cardinali) che abbiamo incontrato in questi ultimi mesi, che ci hanno ascoltato, aiutato, incitato; fra i tanti cito solo Mons. Giuseppe Betori - Segretario generale della CEI che sarà con noi al Congresso Nazionale, domenica 4 dicembre - e l’Arcivescovo di Bologna Mons. Carlo Caffarra, il quale ha recentemente detto al MCL di quella città: “Io domando al Movimento la formazione di persone forti e di donne e uomini liberi. E quali strumenti il Movimento possiede e, quindi deve usare, per raggiungere questa finalità formativa? A me sembra che siano tre:
a) Il primo strumento è la dottrina sociale della Chiesa: da conoscere bene e sapendone dare ragione. In fondo, la dottrina sociale della Chiesa non è altro che una grande visione che il Cristianesimo ha della persona umana e della sua vita associativa. A questo proposito ora disponiamo anche di un Compendio di tale dottrina: è un grande strumento che la Chiesa ci ha messo nelle mani.
b) Il secondo strumento è quello dell’azione sociale, questo bellissimo impegno che voi mettete nei vari servizi di risposta ai bisogni umani oggi più urgenti.
c) Il terzo strumento da usare è quello del Circolo: conservate e promuovete la costituzione dei Circoli! Sono luoghi che, pur nella loro semplicità, hanno una grande importanza. I Circoli sono luoghi in cui si ha la possibilità di condividere e riflettere anche su grandi temi della dottrina sociale della Chiesa”. Questo lo dice l’Arcivescovo di Bologna. E’ già un programma congressuale.


CONCLUSIONI


Cari amici, siamo alla conclusione del mandato congressuale: un periodo particolarmente impegnativo per i cambiamenti in corso, per la crescita del MCL, per i nostri iscritti che vogliamo rappresentare. Ho detto più volte negli anni precedenti che “questa organizzazione non ha mai perso una sua precisa identità culturale e politica: questo sì è un vero miracolo”. La caratteristica di questa organizzazione è la sua grande capacità di leggere ed interpretare tempestivamente i segnali di un contesto sociale e politico in continua trasformazione: con umiltà, senza mai rinunciare alle nostre premesse di valore. Spero anche, in questi ultimi anni, di essere stato all’altezza di queste caratteristiche: questo noi vogliamo continuare ad essere.

Non spetta a me elencare le cose fatte in questi anni anche se la crescita del nostro Movimento (in Italia e all’estero) è sotto gli occhi di tutti; soprattutto la crescita di ‘considerazione’ e la crescita del consenso sulle cose che diciamo e che facciamo: in Italia ed in Europa (nel Movimento e nei Servizi); ultimo risultato importante, in ordine di tempo, l’ingresso nel CNEL.

Ricordo solo (e un po’ rivendico) la ‘normalizzazione’ dei nostri rapporti con i vertici della C.E.I. e la conseguente nomina di Mons. Francesco Rosso (il tutto con grande beneficio al Movimento, e di ciascuno di noi), ed inoltre i contenuti emersi al trentennale MCL (Firenze – dicembre 2002), alla Conferenza Programmatica (Roma – novembre 2003) ed alla Conferenza dei Servizi (Napoli – novembre 2004): contenuti che fanno parte del patrimonio del nostro Movimento di questi anni e parte importante del dibattito pre-congressuale e del futuro Movimento.

Mi interessa molto, invece, l’autonomia e l’unità del Movimento per le quali mi sono ‘speso’ in questi anni. Sul tema dell’autonomia possiamo dare lezioni a tanti: associazioni, movimenti, sindacati; a destra e a sinistra.

L’autonomia e l’unità del Movimento sono un bene insuperabile e condizione indispensabile per andare avanti con questa presidenza.

Abbiamo innescato tante speranze, attese, disponibilità: dobbiamo decidere se fermarci o continuare. Ci vuole un’analisi attenta da parte di tutti, onestà intellettuale e dopo, eventualmente, una forte condivisione. Di fronte al ‘nuovo’ qualche volta emerge una giustificabile stanchezza: andiamo al rinnovo del gruppo dirigente, è giusto che ognuno faccia un’analisi prima di decidere se ricandidarsi (vale anche per me), perché il futuro chiede impegno, disponibilità a lavorare insieme, sacrificio personale, necessità di allargare il gruppo dirigente, di rimettersi costantemente in discussione.

E’ indispensabile rafforzare l’integrazione tra le opere e i Servizi MCL e fra questi e il Movimento. Dobbiamo fare anche in questa direzione un salto di qualità, evitando la nascita di ‘incrostazioni’, di piccoli gruppi di potere (l’ho detto tante volte, l’abbiamo sottolineato a Napoli alla Conferenza dei Servizi: dobbiamo essere conseguenti). E’ indispensabile rafforzare l’impegno per i giovani MCL. E’ indispensabile rafforzare e motivare di più sui contenuti (oltre che sui Servizi), le strutture provinciali e regionali, partendo dai prossimi congressi, e lavorare in più stretto rapporto con le chiese locali: Diocesi, Pastorali sociali, Parrocchie…

Un’ultima considerazione: il Cristianesimo ci spinge a guardare le persone umane come l’ALTRO: l’Altro come me, l’Altro con me; questo vuol dire anche riflettere sulle povertà, le miserie, le malattie e la disperazione che attanagliano molti popoli, non solo quando succedono grandi avvenimenti come il maremoto nell’Oceano Indiano.

Non basta però reclamare o proclamare a parole i diritti uguali per tutti. Occorre anche impegnarsi per raggiungerli. Farlo vuol dire rafforzare il nostro impegno per la cooperazione internazionale. Farlo vuol dire impegnarci per sostenere le campagne e le iniziative che abbiamo in cantiere, a partire da quelle del CEFA (ma non solo); facciamo tutti un esame di coscienza: spesso, tutti, non siamo stati all’altezza delle enunciazioni. Torno ancora una volta su questo argomento perché nella campagna “MCL per l’Africa” non
tutto ha funzionato.

Valori e radicamento sociale ci permettono di non sottrarci alle sfide del cambiamento, di riprogettare e costruire un ruolo del Movimento dei lavoratori in grado di vincere queste sfide, tenendo insieme sviluppo, giustizia e libertà.

Con questo spirito e con queste motivazioni ci avviamo al percorso congressuale e all’importante dibattito pre-congressuale che abbiamo il dovere di alimentare con trasparenza, per arrivare, al Congresso, a delineare un progetto condiviso per i prossimi anni.
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