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  Solo il dialogo salverà la pace

Data di pubblicazione: Sabato, 16 Giugno 2007

TRAGUARDI SOCIALI / n.26 Maggio / Giugno 2007 :: Solo il dialogo salverà la pace

A Roma tre giorni di dibattito su dialogo sociale e Mediterraneo


A ROMA TRE GIORNI DI DIBATTITO SU DIALOGO SOCIALE E MEDITERRANEO
SOLO IL DIALOGO SALVERA' LA PACE


       La partnership euromediterranea salverà la pace. Di fronte ai frutti amarissimi del terrorismo e del fondamentalismo, la via del dialogo e della cooperazione fra i popoli è l’unica che può spianare la strada a uno sviluppo positivo in un’area del mondo da sempre assai calda. Ma il dialogo va costruito con le occasioni di incontro e con la costruzione di opere, e certo non può prescindere da identità chiare, responsabili, consapevoli.

       Queste le linee guida che hanno animato il dibattito svoltosi dal 20 al 22 aprile al Jolly Hotel di Roma: una tre giorni di lavoro, intitolata “Dialogo sociale e Mediterraneo, prospettive e strategie di cooperazione”, durante la quale uomini politici, religiosi e di cultura, di più Paesi - riuniti dal Mcl, dall’Eza, dall’Efal e dalla Fondazione Europa Popolare - si sono confrontati, portando l’esperienza maturata nei rispettivi ambiti di attività.

       “Guardando agli eventi internazionali di questi anni, è indubbio che il mondo arabo ha la responsabilità principale nella lotta al terrorismo - ha detto nella sua introduzione il presidente del Mcl, Carlo Costalli - ma il terrorismo può essere sconfitto anche favorendo un’accelerazione dei processi di democrazia all’interno dei singoli Paesi ed attraverso il pluralismo e il rispetto dei diritti umani. L’Europa deve creare una partnership con i Paesi arabi moderati attraverso accordi di cooperazione euromediterranea che sostengano le popolazioni e aiutino a conoscersi meglio fra uomini’’.

       In quest’ottica Costalli ha sottolineato l’impegno del Mcl in opere buone, semi di pace, sparpagliati qua e là sulle sponde del Mediterraneo: “dalla Bosnia alla Serbia, da Beirut a Gerusalemme, al Marocco, il nostro incontro con gli uomini della Chiesa, della cultura, del mondo del lavoro ha prodotto interventi concreti di cooperazione che sempre hanno visto al centro l’uomo e la formazione, che è lo strumento con cui noi vogliamo favorire la crescita sociale e culturale”.

       “Da cristiano - ha aggiunto - dico che se il dialogo è condizione necessaria per la soluzione di molti problemi, deve però essere svolto con la consapevolezza della propria identità, della propria storia e dell’esistenza di valori su cui il dialogo non può trasformarsi in negoziato’’.

       Il tema dell’identità è stato uno dei leit motiv degli interventi: “Alcuni sostengono che un mondo senza fede sarebbe più pacifico: questo relativismo identitario costituisce invece un altro degli ostacoli che si frappongono a un dialogo vero – ha detto Mons. Fouad Twal, Coadiutore del Patriarcato Latino di Gerusalemme –: si confonde cioè la necessaria coscienza della propria identità (intesa come appartenenza a una terra, a una cultura, a una religione) con l’affermazione ‘esclusiva’ della propria identità religiosa. Tutto questo non fa che generare
reazioni di segno opposto”.

         Insomma, secondo il vescovo di Gerusalemme “il conflitto non si risolve azzerando le differenze, ma puntando a ciò che ci accomuna. Il mondo d’oggi è invece fautore di un’uniformità culturale, indotta anche dall’appiattimento dovuto ad una globalizzazione che passa come un tritacarne culturale sulle differenze, relativizzando e omogeneizzando tutto”.

       Per Franjo Topic, docente dell’università di Sarajevo e presidente dell’Associazione Culturale Napredak di Sarajevo, da anni impegnato in prima linea per l’affermazione di una vera pace in Bosnia fra le diverse etnie, “uno dei nostri compiti sulla terra e’ impegnarci nella riconciliazione, specialmente nei casi in cui, come in Bosnia ed Erzegovina, si è combattuta una guerra crudele”.

       Il punto, ha sottolineato Topic, è che “la guerra ha distrutto anche virtù e valori. Molti uomini, che prima erano buoni e tolleranti, adesso non lo sono più”. Per questo, ha continuato, “bisogna impegnarsi nell’educazione di uomini nuovi” e, in particolare, “nella ‘rieducazione’ dei giovani”, perché “è molto difficile immaginare che le stesse persone che hanno causato e condotto la guerra prima, ora possano realizzare la riconciliazione e rinnovare il Paese”.

       Per la politica è intervenuto il leader dell’Udc Pierferdinando Casini: “Nel Mediterraneo – ha detto – si gioca il nostro futuro: qui c’è lo scontro fra nord e sud del mondo. Ogni tanto qualche demagogo della politica dice che dobbiamo chiudere le porte agli immigrati: è una sciocchezza. I conti della previdenza italiana salterebbero immediatamente se non ci fossero lavoratori immigrati, che comunque non potremmo certo fermare alle frontiere erigendo un muro. Il problema quindi è predisporsi all’accoglienza: siamo noi che dobbiamo avere una nostra identità per sostenere un dialogo con masse molto più motivate di noi sul piano religioso. Senza la consapevolezza delle nostre radici, della cultura di cui siamo figli, non ci sarà dialogo ma solo cedimento culturale’’.

       Casini ha affrontato anche uno dei nodi più difficili degli ultimi tempi: il dibattuto ingresso della Turchia in Ue. “Dobbiamo aiutare questo grande Paese che cerca di resistere all’estremismo islamico, ha detto. Ma oggi non ci sono le condizioni politiche per accettare la Turchia nell’Ue: i fatti di questi giorni, e non solo questi, dimostrano che il percorso è ancora molto lungo, in termini di libertà e di acquisizione dei diritti civili’’.

       E il nodo Turchia, teatro di continue violenze contro i cristiani, è stato al centro anche dell’intervento del prof. Vittorio E. Parsi, docente di relazioni internazionali alla Cattolica di Milano. “Il punto è domandarci cosa possiamo fare noi, come Europa, per aiutare la Turchia a vincere la sua sfida, o almeno di quelle minoranze politiche che credono nei valori europei, e che sono antifondamentaliste: la Turchia è il banco di prova per vedere cosa siamo in grado di fare. Se non siamo in grado di vincere la battaglia in Turchia, come potremo vincere negli altri Paesi arabi, dove la situazione è di gran lunga peggiore?”.

       Non è mancata infine l’opinione di uno dei massimi esponenti della Chiesa cattolica: il Card. Renato Raffaele Martino, Presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha ricordato che “la Chiesa riconosce che tutte le culture possiedono semi di verità e valori autenticamente umani e umanizzanti; e ammette che talvolta alcuni di questi valori sono stati praticati con più coerenza dai non cristiani. La Chiesa, pertanto, non ignora quanto essa ha ricevuto e può ricevere dalla storia e dallo sviluppo delle culture, perciò non disdegna, anzi apprezza grandemente, un dialogo fruttuoso con esse per meglio servire il bene integrale di tutti gli uomini”.

       Il cardinale si è poi soffermato sul tema della cooperazione internazionale che “può ottenere effetti molto benefici per l’umanità, non da ultimo per i Paesi già sviluppati: un aumento della partecipazione di tutti, persone e Paesi, anche dei meno abbienti, a una crescita planetaria; una distribuzione delle risorse che ne permetta a tutte le comunità un uso adeguato, e perciò la limitazione di un uso distorto dei beni umani e ambientali; un’equa concertazione mondiale per lo sviluppo, capace di superare ogni posizione di prepotenza e di asservimento”.

       Ai lavori è intervenuto anche Chibli Mallat, dell’Université Saint-Joseph, Beirut & Princeton University, con un’interessante relazione intitolata “Riparare un’ingiustizia secolare: i cristiani nel Medioriente”.


Fiammetta Sagliocca

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