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  L’immigrazione è un problema umano prima che politico

Data di pubblicazione: Mercoledì, 23 Febbraio 2005

TRAGUARDI SOCIALI / n.14 Gennaio / Febbraio 2005 :: L’immigrazione è un problema umano prima che politico

Mons. Cosmo Francesco Ruppi al convegno di Lecce


Mons. Cosmo Francesco Ruppi al convegno di Lecce


L’IMMIGRAZIONE E' UN PROBLEMA UMANO PRIMA CHE POLITICO


       Un anno fa avevo deciso di non parlare più dell’argomento immigrazione perché avevo visto nascere attorno alle mie dichiarazioni troppi equivoci politici, sia a livello nazionale che internazionale.

         Ma da un lato l’invito da parte del MCL, ossia in un ambiente ‘amico’, e dall’altro la recente nuova ondata migratoria – che dopo essersi concentrata dapprima in Puglia, nel Salento, e poi sulle coste della Calabria e della Sicilia, ha riproposto il problema dei flussi migratori che trovano nel Mediterraneo il loro sbocco più significativo -, mi hanno indotto ad accettare l’invito e tornare a parlare di immigrazione.

       Dopo il canale d’Otranto, siamo ora di fronte a nuovi flussi che, nonostante gli accordi tra Stati, si fanno presenti in modo particolare sulle coste calabresi e siciliane. Il Mediterraneo è diventato il corridoio umano da dove sono arrivati in Europa considerevoli masse di poveri, provenienti dal centro Africa e da molti Stati che si affacciano sullo stesso mare.

       Non solo, da notizie di prima mano che mi sono arrivate, ci sono almeno 4 milioni di persone in Africa pronte a partire (e non a ‘invadere’, come dicono alcuni) verso le nostre coste: la ragione che li spinge a lasciare le proprie terre è la povertà (di cultura, di denaro o di libertà). Ma è importante ricordare che non sono delinquenti: delinquente semmai è chi non li accoglie. In realtà l’immigrazione è una risorsa che fa crescere non solo i popoli che ne beneficiano ma anche quelli che accolgono.

       Certo, di fronte ad arrivi così massicci di popolazioni disperate, che hanno diversa cultura, diversa religione, diverse radici, è fondamentale difendere da un lato le nostre radici e dall’altro la libertà religiosa. Sull’immigrazione si gioca appunto la partita della libertà di religione: i cristiani hanno saputo accogliere rispettando le diversità, e a volte anche senza reciprocità. Questo significa riconoscere le radici cristiane della nostra cultura europea.

       Noi in fondo riteniamo ancora la religione una specie di ‘sovrastruttura’, ma non è altrettanto per gli altri popoli, e il legislatore dovrà tenerne conto. Per una convivenza armoniosa è necessario individuare dei limiti minimi, alcuni imprescindibili perché derivanti da esigenze di ordine pubblico, ma basandosi sempre sul rispetto. Così, una eventuale legge sulla festività domenicale, non potrebbe non prevedere una deroga per le popolazioni dell’Islam; mentre ragioni del tutto diverse dovrebbero essere prese in considerazione in caso di poligamia.

      E’ un problema grande, questo, che non è possibile risolvere semplicemente chiudendo le saracinesche, o rivolgendosi alla polizia: si tratta di un problema politico, che comporta varie implicazioni, un problema che va affrontato attraverso interventi mirati alla formazione e al sostegno allo sviluppo.

         Dal 7 marzo 1997 ad oggi sono più di 60.000 gli immigrati che sono stati accolti al centro “Regina Pacis”. Abbiamo dato loro un primo soccorso, li abbiamo accolti.

       Ora però è il momento di passare dalla fase dell’accoglienza a quella dell’integrazione. E in questo senso sarà importante l’apporto dei ‘corpi intermedi’, che molto possono soprattutto nel campo della formazione, per esempio, o insegnando loro la lingua italiana perché possano comunicare con noi, e via dicendo.

       Poi c’è la questione della legalità: lo Stato ha il dovere di proteggere i poveri, che sono i più esposti, dall’inquinamento mafioso. Perché accoglienza e legalità sono le due facce della stessa medaglia.

       Certo, sono questioni complesse, e spero che gli Stati si uniranno fra loro per dare risposte concrete, come il determinare i flussi migratori in base alle capacità di accoglienza, o alle consonanze culturali, come avviene in Francia. Tanto per fare un esempio, è un dato basato sull’esperienza storica il fatto che un somalo abbia molte più affinità culturali con un italiano rispetto a un magrebino.

       Né può ritenersi sufficiente lo strumento delle intese, che nel caso particolare dell’Islam incontra seri problemi per la difficoltà di individuare ‘chi’ rappresenta e ‘chi’. Insomma, servono leggi per omogeneizzare i diritti e far nascere così una politica migratoria non più settoriale ma comunitaria: una maggiore armonizzazione delle politiche migratorie avvantaggerebbe non solo le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo, ma l’intero continente. E anche il dialogo tra le grandi religioni sarà posto sul binario della pace e della concordia.

         Il Mediterraneo deve tornare ad essere un mare di pace.

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