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  Torniamo a praticare i valori

Data di pubblicazione: Lunedì, 22 Maggio 2017

TRAGUARDI SOCIALI / n.84 Maggio / Giugno :: Torniamo a praticare i valori

Parla Lorenzo Ornaghi, già Rettore dell’Università Cattolica

La vita politica e sociale mai come oggi è stata in subbuglio, in profonda trasformazione, alle prese con una crisi valoriale senza precedenti: ne abbiamo parlato con il Prof. Lorenzo Ornaghi, già Rettore dell’Università Cattolica, poi Ministro, e oggi direttore dell’Aseri (Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali).
Ma per noi del MCL, che da anni ci onoriamo della sua amicizia, Ornaghi è, soprattutto, uomo di grande cultura e solido punto di riferimento per il mondo cattolico.


Stiamo attraversando un’epoca tristemente condizionata da un forte relativismo etico che ha determinato, a nostro avviso, una pericolosa deriva sul piano dei valori. Con conseguenze infauste su molti aspetti del vivere civile, delle scelte della politica e dell’organizzazione sociale. Secondo la sua esperienza cosa dovremmo fare concretamente, come cattolici, per indirizzare positivamente la società?

Domanda davvero difficile. Nel proporre fra poco la mia risposta mi soccorre soltanto il fatto che devo formularla secondo la mia personale «esperienza».
Prima di rispondere, però, vorrei richiamare l’attenzione di chi sta leggendo questa intervista su un dato della realtà cui mi succede di pensare spesso. è uno di quei dati che, all’apparenza banali, quando li si consideri non distrattamente possono offrire utili elementi di riflessione. In pochissimi decenni, i cambiamenti dei valori della società sono stati così estesi, profondi e repentini, come mai è successo prima nella storia. Valori che sembravano perenni perché naturali, sono in agonia o già morti. Valori che mai si sarebbe pensato che tali fossero o potessero diventare, sono oggi ai primi posti nella pur instabile scala gerarchica di ciò in cui una società crede e a cui si conformano in prevalenza comportamenti individuali o collettivi.
Ma in quale modo i valori vengono oggi conosciuti e riconosciuti, come si impara ad apprezzarli, a condividerli o anche a criticarli? Come si viene educati a saper distinguere un valore propriamente tale da un’aspettativa di pochi individui, o da una pretesa pur magari generalizzata sino ad apparire socialmente diffusa?
Il dato su cui riflettere è proprio questo: rispetto al riconoscimento dei valori e alla stessa educazione ai valori, il giovane di oggi è in una condizione incomparabilmente diversa e assai più disorientata di quella in cui si trovava il giovane di quaranta o cinquant’anni fa. Fra i cambiamenti della società più rilevanti e più pericolosi per l’incombente domani vi è infatti – per dire così – lo svuotamento, o forse la più o meno inconsapevole occlusione, dei canali di conoscenza, educazione e trasmissione dei valori. Anche, e in particolare, dei canali cattolici. Posso così rispondere ora, brevemente, alla non facile domanda. Sulla base della mia esperienza, se non si vuole essere indifferenti riguardo alla crescente probabilità che la società di domani sia assai poco interessata all’esistenza di valori cattolici e alla loro funzione nei riguardi dei comportamenti sociali (ossia estesamente a-cristiana, ancora più che anti-cristiana), è soprattutto indispensabile una cosa: ricominciare una pratica dei valori che sappia essere contagiosa perché convincente (oltre che, va da sé, coerente). Sul piano dei rapporti inter-individuali, ovviamente; ma anche e in particolare in ogni ambito di quella vita sociale che, sempre più spezzettata e diffidente, guarda a tutto ciò che è o sembra politico con crescente sospetto e che è sempre meno attrezzata a far nascere da sé una rinnovata azione politica.

Cosa significa, oggi, in un mondo così complesso e contraddittorio, essere un cattolico impegnato in politica? Come si può tradurre, concretamente, questo impegno nella ‘cosa pubblica’?

Anche qui siamo in una situazione incomparabilmente diversa rispetto a pochissimi decenni fa. Quando incontro qualche giovane che vorrebbe dedicarsi da cattolico alla politica (succede ancora, anche se con frequenza paurosamente in discesa), non riesco mai a sottrarmi all’interrogativo se il suo domani non rischi di essere contrassegnato dalla solitudine. O da un’amara delusione. Il cattolico si trova ad attraversare, come tutti gli altri, una stagione in cui le vecchie parole della politica sono diventate non solo logore, ma anche sempre più irritanti. Con maggiore consapevolezza (storica, quantomeno) di altri, il cattolico che desidera dedicarsi alla politica sa però che il perseguimento di ciò in cui crede non potrà mai usare lo strumentario – slogan tipici della cosiddetta anti-politica, personalismi, sovraesposizione mediatica degli atteggiamenti polemici e dei comportamenti conflittuali, anziché argomentazione delle idee e ricerca della ragionevolezza – politicamente oggi più diffuso e considerato più utile per catturare una quota del mutante consenso elettorale. Oltretutto, il giovane cattolico che desidera mettersi al servizio della ‘cosa pubblica’ parte con un handicap in più: la probabilità di sentirsi sperso o disperso, quando non isolato. Personalmente non sono convinto del fatto che la fonte principale o esclusiva del faticoso impegno nella ‘cosa pubblica’ sia da riporre soltanto nello spirito di sacrificio, sostenuto dalla retta coscienza personale. E temo anche che l’accontentarsi di una presenza fattiva ed efficace dei cattolici in alcune delle aree più dolenti e disastrate della società attuale non aiuti affatto a considerare correttamente e realisticamente i rapporti oggi esistenti fra società e politica. Che sono ben differenti da quelli del secolo scorso. E che, dietro le prime e più depistanti apparenze, possono anche offrire positive opportunità. Per coglierle, più che la ripetuta registrazione dell’obsolescenza e inutilità dei vecchi partiti ‘cattolici’, conta a mio parere la volontà di costruire nuovi strumenti di presenza collettiva e organizzata (vorrei sottolineare entrambi gli aggettivi).
Sulla base della consapevolezza che, al pari dei valori, le cose buone che si fanno in campo sociale non travasano automaticamente in quello politico. E che la politica, nel bene e nel male, resta essenziale per l’esistenza e la qualità di vita di qualsiasi collettività.

Da mesi assistiamo a un balletto poco edificante da parte della politica che non riesce a trovare il bandolo per una nuova legge elettorale che dovrebbe poter garantire, oltre a sistemi elettorali omogenei fra Camera e Senato, anche una buona dose di governabilità e un alto grado di partecipazione e rappresentanza. Che opinione si è fatto in merito?

Un’opinione che ho già avuto modo di manifestare pubblicamente in diverse circostanze. E che può sembrare viziata dal pessimismo, mentre è soltanto ricavata dall’osservazione della storia moderna dei sistemi elettorali. Al punto in cui si trova il sistema politico-partitico italiano, gli stessi due poli di attrazione entro cui oscillano pressoché tutte le leggi elettorali più recenti (ossia ‘governabilità’ e ‘rappresentatività’) rischiano di diventare evocazioni semplicemente retoriche, piegate come sono al ferreo interesse – più precisamente, ai contrapposti interessi – di chi ha il compito di modificare il sistema elettorale.
Per qualche partito è in gioco la possibilità di crescere; per altri, l’elevata probabilità di scomparire.
Per molti parlamentari si potrebbe dischiudere l’opportunità di un supplemento di permanenza; per qualcuno, quella di un commiato più o meno definitivo.
Se (auspicabilmente) la maggior parte di coloro che compongono l’attuale classe politica è ancora persuasa che il sistema elettorale può essere il cuore pulsante, o all’opposto il ventre molle, di ogni democrazia, resta il fatto che una riforma elettorale è diventata questione pressoché del tutta interna alla classe politica attualmente in sella (e, quindi, questione del tutto condizionata dal gioco contingente di rivalse, vendette, ma anche convergenze e connivenze presenti negli attuali aggregati partitici). Mai come in questo caso, purtroppo, una classe politica dimostra di non possedere una visione dell’interesse più lontano, ossia dell’interesse del Paese nel futuro prossimo, persino di quello dell’indomani. Le ipotesi, il più delle volte infondate e illusorie, di una regolazione dei rapporti di forza a proprio vantaggio mettono in penultimo piano tanto la governabilità quanto la rappresentatività.
E allora non solo lo sguardo di questa politica, ma anche il suo fiato, si fa inesorabilmente più corto.

Siamo alla vigilia di un’importante consultazione amministrativa che coinvolgerà oltre mille Comuni, tra cui 25 Comuni capoluogo di provincia e 4 capoluoghi di Regione. Una consultazione importante, nella quale anche i cattolici sono chiamati a dire la loro in un momento così difficile…
Cosa aspettarci?


Sul terreno locale, anche senza farsi contare elettoralmente, i cattolici in questi ultimi decenni hanno contato ancora qualcosa. O qualcosa di più, rispetto allo scarso rendimento complessivo a livello nazionale.
Localmente – o, se si preferisce, territorialmente – la conoscenza diretta di un candidato e il rapporto fiduciario sono ancora fattori in grado di orientare il voto, perlomeno in Comuni non troppo grandi o in porzioni delle maggiori città. Soprattutto possono risultare importanti le realtà associative. Bisogna però togliere i veli all’equivoco per cui l’associazionismo cattolico non può che essere ‘pre-politico’ (come si sarebbe detto un tempo), o che comunque – oggigiorno in particolare – non debba inquinare la propria specificità, contaminandosi apertamente, cioè non sottobanco, con la politica.
Semmai, anche per evitare che l’individualismo umorale finisca con l’attecchire anche dentro l’associazionismo, bisognerebbe incominciare a sperimentare se non sia proprio grazie all’associazionismo cattolico che si possono trovare quei nuovi strumenti e quelle formule organizzative, alla cui mancanza ormai usualmente si addebita il dissolvimento di una presenza rilevabile e rilevante dei cattolici sul fronte dell’azione politica. In questo senso, ci potremmo aspettare che dall’imminente consultazione amministrativa venga qualche utile lezione e qualche conseguente, fecondo suggerimento. O, se ci fosse ancora il tempo e la volontà, la si potrebbe impiegare come un primo banco di prova. Giacché, se è realisticamente fondato quello che si è detto nella precedente risposta, altre prove sono purtroppo alle viste nei prossimi anni.

T.S.
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