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  I primi 100 giorni di Jean Claude Juncker

Data di pubblicazione: Martedì, 3 Marzo 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.70 Febbraio / Marzo 2015 :: I primi 100 giorni di Jean Claude Juncker

Le nuove sfide europee: piano per la crescita, sostegno alle Pmi, mercato unico dei capitali, lotta all’evasione

Prosegue anche in questo numero la corrispondenza da Bruxelles, curata dal giornalista Pierpaolo Arzilla.
‘Una finestra sull’Europa’ questa volta si occupa dei primi 100 giorni della Commissione guidata da Juncker, e delle nuove sfide che attendono l’Europa: piano per la crescita, sostegno alle Pmi, mercato unico dei capitali, lotta all’evasione

Pierpaolo Arzilla


Alla fine ha dovuto ricredersi anche il suo più grande oppositore. I primi 100 giorni di Jean Claude Juncker al timone della Commissione europea pare siano bastati per convincere pure il primo ministro inglese David Cameron, che ha fatto di tutto per fermare la corsa dell’ex premier lussemburghese al 13esimo piano di Palazzo Berlaymont.
In tre mesi è già successo molto, a cominciare dall’effetto domino che sta creando il piano d’investimento da 315 miliardi (EFSI) presentato alla fine del 2014. Proprio nei giorni scorsi, infatti, la Commissione ha avviato un’accelerazione su tre fronti considerati strategici. A cominciare dai prestiti alle Pmi, che potranno essere erogati già dal mese di maggio, o al più tardi prima dell’estate. In quel periodo, l’EFSI non sarà ancora operativo (si cerca un’intesa per avviare i finanziamenti da settembre), ma la Bei (Banca europea per gli investimenti) ha deciso di iniziare a sostenere le imprese con il Fondo europeo per gli investimenti, dopo aver prestato 77 miliardi nel 2014, raggiungendo addirittura con 6 mesi di anticipo gli obiettivi per il triennio 2013-2015.
Il via libera ai fondi per le imprese rappresenta il percorso più naturale, osserva l’esecutivo Ue, per la creazione di un vero e proprio mercato unico dei capitali, altra priorità importante del pacchetto Juncker, che come tale rimuova le barriere agli investimenti transfrontalieri nell’Unione Europea che impediscono alle aziende di accedere ai finanziamenti, sbloccando quindi quella liquidità da mettere al servizio soprattutto delle piccole e medie imprese.
Un mercato unico di capitali, rileva la Commissione, potrebbe offrire diverse opportunità: se, per esempio, i mercati dei capitali di rischio nell’Ue avessero lo spessore di quelli degli Stati Uniti, tra il 2008 e il 2013 le imprese europee avrebbero potuto beneficiare di finanziamenti supplementari pari a 90 miliardi di euro. Bruxelles ha avviato una consultazione, che durerà tre mesi, per gettare le basi per definire un piano d’azione che contribuisca a sbloccare fondi non bancari che facciano prosperare le start-up.
L’Unione dei mercati dei capitali è certamente un progetto a lungo termine che richiederà un impegno costante per diversi anni, ma in alcuni settori i primi progressi saranno visibili fin dai prossimi mesi, sostiene il vicepresidente della Commissione Jyrki Katainen, responsabile per l’occupazione, la crescita, gli investimenti e la competitività: “Si tratta della prima iniziativa strutturale a garanzia del fatto che il piano di investimenti per la crescita non sarà una misura una tantum”.
E nella nuova struttura di un’Europa che il progetto Juncker vuole rendere meno vulnerabile ai venti di crisi e più attrattiva per gli investimenti extra UE, c’è un terzo ma non meno importante tassello, non fosse altro perché rappresenta uno dei dieci punti chiave del programma del successore di Barroso: la lotta all’evasione fiscale, anche alla luce del caso LuxLeaks, gli accordi segreti tra il governo lussemburghese e 300 aziende di tutto il mondo per spostare ingenti flussi di denaro pagando poche tasse. Sempre nei giorni scorsi, l’UE ha annunciato che a marzo presenterà un pacchetto per la trasparenza fiscale, primo atto di una strategia più complessiva, fondata sul principio che le società devono pagare le imposte nel Paese in cui sono generati i profitti e non devono poter evitare l‘imposizione grazie ad aggressivi piani di ingegneria fiscale. La prima proposta sarà su una direttiva che favorirà l’ampliamento dello scambio automatico di informazioni sui cosiddetti rulings, gli accordi fiscali preventivi, sui quali l’Antitrust europeo ha già aperto quattro indagini (su Fiat e Amazon in Lussemburgo, Apple in Irlanda e Starbucks in Olanda).
Quegli stessi accordi, si fa notare da più parti, che ufficialmente tutti i governi criticano, per poi però essere puntualmente difesi e tutelati dalle stesse cancellerie in sede di Consiglio, altrimenti non si capisce perché tutte le proposte di scambio automatico di informazioni finanziarie fin qui formulate siano state bocciate con la scusa delle “eccezioni” sollevate dai singoli Stati membri.
Permettere alle imprese d’investire e ai consumatori di riacquistare fiducia, rileva la Commissione, significa dotare l’Europa di sistemi fiscali equi, trasparenti e prevedibili. E’ inaccettabile, secondo l’esecutivo Ue, che le autorità fiscali debbano aspettare le fughe di notizie per far rispettare le norme in materia di tassazione.
Entro l’estate, poi, Bruxelles rilancerà la proposta (fatta nel 2011 e rimasta bloccata in Consiglio) sulla base imponibile comune per le società, considerato il primo grimaldello contro il dumping fiscale tra i 28.
Piano per la crescita, sostegno alle Pmi, mercato unico dei capitali, lotta all’evasione: il paradigma, secondo non pochi osservatori, che qualcosa è cambiato anche e soprattutto sul piano organizzativo. L’imperativo è “legiferare meno, legiferare meglio”, tanto per marcare in maniera decisiva la discontinuità con il decennio barrosiano. La sfida, infatti, è snellire i prossimi 5 anni di lavoro con appena 23 proposte, contro le 650 presentate dalla precedente Commissione (130 ogni anno).
Juncker vuole cambiare l’immagine della Commissione, secondo la ricercatrice del Cer (Centro per le riforme europee) Agata Gostynska, con almeno tre “mosse”: scrivere e imporre l’agenda Ue piuttosto che “lasciare che altri lo facciano per lui”, fare poche cose ma farle bene e riavvicinare la Commissione ai cittadini europei.
La nuova struttura organizzativa raggruppa i commissari in gruppi tematici sotto la supervisione di pochi vicepresidenti, una svolta che secondo gli analisti potrebbe scuotere e non poco “la letargica macchina burocratica” di Bruxelles, facilitando il coordinamento tra le politiche e permettendo all’Europa di essere più efficiente nelle risposte.
Dedicarsi a pochi, ma fondamentali dossier (crescita, occupazione, unione dei capitali, unione energetica, mercato digitale), fa notare il capogruppo Ppe a Strasburgo, Manfred Weber, “permetterà finalmente all’Ue di accreditarsi come il valore aggiunto per i cittadini, perché mai come in questo momento la collaborazione tra Commissione e Parlamento europeo è stata così stretta”. L’Europa, aggiunge Weber, “dovrebbe essere grande sui grandi temi e piccola su quelli piccoli”. Ed essere più flessibile laddove ce n’è davvero bisogno. Tra i punti fondamentali del programma Juncker, infatti, c’è il superamento della troika con l’obiettivo di dare una legittimazione più democratica alle decisioni sui Paesi della zona euro in difficoltà, dunque con un maggior controllo parlamentare a livello comunitario e nazionale, nella valutazione dell’impatto sociale dei programmi di riforme, e anche nella revisione del Six pack e del Two pack.
Entro giugno, il presidente della Commissione scriverà con Draghi, Dijsselbloem e Tusk un rapporto sul futuro della governance nell’Eurozona, sull’opportunità di creare nuove istituzioni comuni per l’Ue a 19. Juncker vuole esaminare “fino a che punto sia sufficiente l’attuale condivisione di sovranità e se sia desiderabile una maggiore condivisione dei rischi di bilancio”, e quali siano, dunque, le condizioni necessarie per arrivare a un rilancio dell’Eurozona.
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