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  Cambiamo il sistema fiscale nel segno dell’equità

Data di pubblicazione: Venerdì, 13 Marzo 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.70 Febbraio / Marzo 2015 :: Cambiamo il sistema fiscale nel segno dell’equità

Parla Annamaria Furlan, Segretario Generale Cisl

Riforme, ruolo dei sindacati e dei corpi intermedi, rilancio del mercato del lavoro: il nostro Paese si trova nel bel mezzo del guado, con pochi positivi segnali all’orizzonte e ancora tante, troppe, incertezze che incombono sul presente di tutti noi.
Ne abbiamo parlato con Annamaria Furlan, Segretario Generale della Cisl.

Secondo i progetti del Governo, l’entrata in vigore del Jobs Act e dei decreti delegati dovrebbe dare una netta accelerazione alla crescita del mondo del lavoro in Italia, riportando il nostro Paese ai livelli standard europei.
Una visione che non incontra certo, però, univoci consensi. Qual è il parere della Cisl?

Noi abbiamo sempre sostenuto che il lavoro si crea con gli investimenti e non certo con nuove norme di legge sul mercato del lavoro. Ci hanno provato tutti i governi degli ultimi anni e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Abbiamo un livello di disoccupazione giovanile che sfiora il 50%, abbiamo perso più di un milione di posti di lavoro nell’ultimo anno, con tanti lavoratori in cassa integrazione e mobilità. Non sono le regole che creano i posti di lavoro, ma un fisco meno oppressivo su lavoratori e imprese, energia meno cara, infrastrutture moderne, una pubblica amministrazione efficiente.
Tuttavia, qualche segnale positivo da questo governo è arrivato. Per la prima volta il contratto a tempo indeterminato costerà meno di altre tipologie contrattuali. Ma purtroppo non c’è stata la svolta che la Cisl auspicava sull’effettiva cancellazione delle forme di precarietà selvaggia, sottopagate e senza tutele, che sono proliferate in questi anni nel mondo del lavoro. Non ci ha convinto poi la norma assolutamente sbagliata che cancella il reintegro sui licenziamenti collettivi.
La Cisl, per quanto ci riguarda, continuerà a battersi per affidare le materie del lavoro alla contrattazione, che è oggi lo strumento più efficace per favorire gli investimenti, la produttività, le riorganizzazioni aziendali e garantire l’ingresso stabile dei giovani nel mondo del lavoro.

E’ recente la polemica sul ruolo dei corpi intermedi in una società in trasformazione. Secondo lei quali spazi possono esserci per questa forma di rappresentanza?
Le società complesse si governano solo con il contributo dei corpi intermedi. E’ illusione pensare che la politica possa essere autosufficiente e fare a meno del contributo delle parti sociali. Il confronto e il dialogo sono il sale della coesione sociale e della democrazia partecipativa. Immaginare che attraverso le consultazioni online, con un numero irrisorio di cittadini che partecipano, si crei il consenso sociale è molto demagogico e immaginare di farlo per delle riforme importanti può essere anche controproducente. Ignorare i corpi intermedi andando in una direzione opposta, rispetto a quanto fanno gli altri governi europei, è semplicemente assurdo. L’Italia potrà uscire dalla crisi solo se opereremo in sinergia e collaborazione gli uni con gli altri. Ora più che mai è necessario un patto sociale se vogliamo aiutare realmente il Paese a rialzarsi e tornare a crescere e a competere. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

Da sempre riteniamo le riforme una priorità assoluta per il Paese, in particolare quella fiscale. Cosa ne pensa? E su quali linee guida ritiene si debba intervenire?
La gente è stufa di sentire parlare di riforme astratte e dei teatrini mediatici a cui spesso assistiamo.
L’unico patto che servirebbe oggi sarebbe quello per l’occupazione, gli investimenti, un fisco più equo, una pubblica amministrazione efficiente.
Per questo la Cisl non starà ferma: raccoglieremo nei prossimi mesi migliaia di firme per una legge di iniziativa popolare che cambi il sistema fiscale nel segno dell’equità. Occorre estendere il bonus di mille euro a tutti i lavoratori sotto i 40 mila euro, ai pensionati, agli incapienti, agli autonomi, ai collaboratori.
Chiederemo l’introduzione di una tassa sui grandi patrimoni oltre i 500 mila euro, ma esentando la prima casa dalle imposte. Bisogna redistribuire equamente la ricchezza che oggi è cresciuta solo per il 4% della popolazione italiana, mentre tutti gli altri hanno fatto sacrifici immensi per tirare la carretta.

Può darci un parere sul recente decreto sulle Banche Popolari?
Le Banche popolari, in Italia ed in Europa, hanno rappresentato una “zona franca”, ispirate a un modello di democrazia economica attraverso il voto capitario, indipendente dal volume di azioni possedute.
La presenza di multi-stakeholders negli organi di governo ha garantito una profonda integrazione con le economie e con le comunità di riferimento.
Non a caso il 65% del credito per le piccole e medie imprese è stato erogato in questi anni dalle banche popolari e cooperative, molto più delle Banche SPA. Non si capisce perché il Governo vuole smantellare per decreto questo patrimonio storico del nostro Paese con il rischio di invasioni straniere da parte di quei colossi bancari internazionali interessati alla finanza speculativa e predatoria.
Lo scandalo dei “derivati” nel Monte dei Paschi di Siena aveva messo bene a nudo non solo tutti i limiti dei controlli pubblici (Banca d’Italia e Consob), ma la sostanziale ininfluenza degli stakeholders e dei lavoratori sulle decisioni assunte dal management.
Il modello delle Banche Popolari, fondato sulla partecipazione, è invece la strada per ‘democratizzare’ il sistema del credito, lo strumento per migliorare la qualità dei servizi, aumentare la produttività delle aziende, in modo da renderle più competitive e concorrenziali sul mercato sempre più globale.

Dopo i recenti ‘distinguo’ da parte delle organizzazioni sindacali sui vari snodi istituzionali del cambiamento italiano, quali rapporti oggi ritiene possibile intrattenere con le altre organizzazioni sindacali confederali?
La Cisl ha sempre cercato di conciliare la proprie posizioni con quelle degli altri sindacati. L’unità non è un obiettivo astratto o aprioristico, ma si costruisce con grande responsabilità, quotidianamente, sulle scelte e sugli obiettivi concreti che si vogliono raggiungere, senza fughe in avanti o primarie. Ci sono tante cose sulle quali i sindacati hanno la stessa posizione, ma purtroppo esistono tante questioni che ci dividono ancora sul piano culturale e politico. Lo sforzo che dobbiamo fare tutti è quello di partire da quello che ci unisce e lavorare per dare a questo Paese un sindacato capace di favorire gli investimenti, conciliare gli interessi particolari con quelli generali, e di tutelare con la contrattazione il mondo che noi rappresentiamo.
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