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  La crisi del nostro tempo è crisi spirituale

Data di pubblicazione: Giovedì, 26 Aprile 2012

TRAGUARDI SOCIALI / n.52 Marzo / Aprile 2012 :: La crisi del nostro tempo è crisi spirituale

Intervista a Salvatore Martinez, Presidente nazionale del Movimento “Rinnovamento nello Spirito Santo”

Salvatore Martinez è dal 1997 il primo laico chiamato a ricoprire il ruolo di Presidente del “Rinnovamento nello Spirito Santo”, associazione privata di fedeli laici, riconosciuta dalla Conferenza Episcopale Italiana e dalla Santa Sede. Attualmente conta in Italia circa 200.000 aderenti, 1900 gruppi e comunità, otto missioni all’estero, quattro scuole nazionali residenziali di formazione, una casa editrice, una fondazione per la promozione di progetti di utilità sociale, una società di servizi per l’organizzazione di eventi.
Laureato in Paleografia e Filologia Musicale, è un esperto di musica sacra e compositore di vari brani.
Fortemente impegnato nell’attività di conferenziere, svolge un’intensa attività editoriale ed è Consultore del Pontificio Consiglio per i Laici e del Pontificio Consiglio per la Famiglia.
Dal 2000 è anche Presidente della Fondazione Istituto di promozione umana “Mons. Francesco Di Vincenzo”.
E’ quindi molto attento alle dinamiche ecclesiali e sociali del nostro tempo: a lui abbiamo posto alcune domande per avere un suo contributo nella lettura del tempo presente e per individuare piste concrete di impegno per i cristiani.

Presidente, rispetto a tutto quello che sta avvenendo in Italia e nel mondo, come leggi la situazione ecclesiale?
“Mala tempora currunt”, dicevano i latini. Certo, la contemporanea esplosione di mali a cui stiamo assistendo (sociali, morali, spirituali) non sembra incoraggiare in molti uomini la speranza cristiana. Sant’Agostino spronava i suoi, in un’epoca certo non meno travagliata della nostra, dicendo: «Se i tempi sono cattivi vivete bene e li cambierete». Ora, io credo che per “vivere bene”, bisogna anelare al bene, promuoverlo, incarnarlo con una passione umana e con una convinzione di fede nuove. O “credenti” o “cedenti”, sono solito ripetere.
La nostra fede non può essere meticciata, né la morale cristiana ridotta ad una convenienza esteriore che non profuma dell’originalità evangelica. La crisi del nostro tempo è prima di tutto spirituale; è crisi di fede, così che gli uomini non sanno più vivere, né si preoccupano di insegnare ai giovani, in modo vitale e testimoniale, l’arte di vivere il bene comune. Al contempo, ritengo che sia una stagione meravigliosa per la nuova evangelizzazione, per una riumanizzazione del nostro tempo fondata sull’idealismo e sul realismo cristiano.
Il Pontificato di Benedetto XVI è tutto compreso intorno a questa evidenza, anche se molti sembrano essere irretiti da altre e certamente non vitali istanze.
L’anno della fede, indetto dal Papa, vuole esserne la prova ultima ed eloquente. La Chiesa ha bisogno di rinnovamento: prima che “strutturale”, urge un rinnovamento del cuore, dell’anima della Chiesa. A Subiaco, nella sua ultima uscita pubblica da cardinale, qualche giorno prima della morte di Giovanni Paolo II, Joseph Ratzinger dichiarò: «Solo attraverso uomini interiormente toccati da Dio, Dio potrà fare ritorno nella storia». Ci è chiesto, allora, di poter riaffermare la bellezza dell’istituzione ecclesiale, oggi tanto osteggiata, istituzione che è sempre pura vita di grazia nonostante le imperfezioni e i peccati degli uomini, a partire da una conversione profonda degli uomini a Dio. Per parlare di Dio agli uomini, gli uomini dovranno tornare a parlare a Dio degli uomini; dunque un nuovo amore per la trascendenza divina, per la vita soprannaturale, una nuova familiarità con Dio nella preghiera per ritrovare una nuova fraternità con gli uomini.

E come leggi, invece, la situazione politica?
La politica, come ogni ambito dello scibile umano, non si sottrae a questi principi. Anche la politica ha bisogno di riscoprire il “potere dell’amore” in luogo dell’“amore per il potere”. Quando questo avviene, ecco che si decentra da se stessa e si ricentra sull’uomo da servire; il bene comune, come per miracolo, rifiorisce e l’uomo viene promosso non solo nella sua integralità, ma anche nella sua trascendenza. Assistiamo, poi, ad una strana conseguenza dell’equivoca assunzione del termine “laicità dello Stato”: nel tentativo di “non dare a Dio quel che è di Cesare”, stiamo finendo con il “dare a Cesare quel che è di Dio!”. Il rischio è che il nostro Occidente prosegua nella triste corsa alla “desacralizzazione” delle nostre società moderne. “Historia magistra vitae”: l’eclissi di Dio è sempre stata eclissi dell’uomo, del suo futuro di giustizia e di pace. Se non si pone una misura alla libertà umana, allora l’uomo diviene prigioniero della sua smodata voglia di autodeterminarsi, diventa il primo e il peggiore nemico di se stesso. Sopra la nostra testa c’è un cielo: siamo impastati di terra, ma fatti per un mondo nuovo che qui, ora germoglia. Quando la politica recupera questo sguardo “alto e profondo”, allora torna a profumare di vita, buona e felice per gli uomini. Altrimenti è sempre un susseguirsi di proteste, lamenti, accuse e tradimenti. Sturzo proponeva una “crociata d’amore” in politica, aggiungendo che l’amore “non ha mai fatto crollare i partiti”.
Sì, urge un nuovo afflato d’amore, perché l’economia sia sociale e non socialista, perché la giustizia sia giusta e non giustizialista, perché il novero di ultimi e di “nuovi poveri” non aumenti senza freno.

Salvatore, pensi che sia adeguata la risposta del nostro mondo cattolico all’attuale situazione?
Certamente si può, si deve fare di più. Lo chiedono il Papa e i Vescovi; lo chiede la coscienza sociale del nostro Paese; ce lo chiedono i membri dei nostri gruppi, comunità, associazioni e reti cattoliche. Dalla Pentecoste del 1998, anno in cui il Beato Giovanni Paolo II volle proporre, in un gesto unitario, il volto pluriforme dell’associazionismo carismatico cattolico, si è fatto un grande e significativo cammino di comunione e di fraternità, sempre più esteso, come per cerchi concentrici, anche a realtà associative che in passato mai avevano dialogato fra loro. Si è superato il dualismo tra “cattolicesimo pneumatologico” e “cattolicesimo sociologico”, così come in ambito politico è avvenuto tra “democratico” e “popolare”. Non è più tempo di vacche grasse, così che la nostra comunione, senza “se” e senza “ma”, dovrà essere ancora di più un grande dono per il rinnovamento e il rilancio della democrazia partecipata nel nostro Paese. Ma, è sempre Sturzo ad insegnarcelo, “non bisogna avere fiducia passiva nella Provvidenza”. Occorre fare di questa nostra provvidenziale convergenza ideale e progettuale il migliore “capitale sociale” da spendere a vantaggio delle istituzioni civili e politiche bisognose di nuova rappresentanza. Ritengo, ad esempio, che Retinopera debba essere ancora più incisiva nell’interposizione prepolitica, nella costruzione di un’agenda sociale estesa a tutti gli uomini di buona volontà, nella formazione condivisa di una nuova generazione di cattolici impegnati in politica, nel presidio virtuoso delle nostre comunità locali.

Quale ruolo vedi per i Movimenti ecclesiali oggi?
Certamente un ruolo profetico e non marginale. I Movimenti, per loro natura e missione, sul piano sociale offrono interessanti “pedagogie educative e rieducative”, che alimentano il benessere spirituale di milioni di persone, salvano le famiglie da una penosa solitudine, sostengono fattivamente lo stato sociale dei Paesi in tutto il mondo. Sul piano ecclesiale, poi, i Movimenti sono protesi ad abbreviare il divario tra “fede e vita”, perché Gesù Cristo non viva nell’astrattismo di forme rituali o di dogmi imparaticci, ma sia un’esperienza da fare e una testimonianza da rendere. La fede non è una cultura, ma una vita nuova. La fede genera un corpo, la Chiesa, in cui è possibile sentirsi amati e amare, vivendo con gioia l’appartenenza ad una comunità che prega, che studia la Parola di Dio, che celebra con gioia i sacramenti, che si pone nel mondo come segno visibile di misericordia e di compassione. Siamo la prima generazione cristiana del primo secolo del terzo millennio: un privilegio unico, straordinario, che certamente lo Spirito di Dio non mancherà di accompagnare con segni e miracoli, come è accaduto negli altri due inizi di millenni.
A noi non recedere e collaborare, come uomini che fanno ancora credito a Dio!
Testimoniare, dunque, è il messaggio di Salvatore Martinez; testimoniare per collaborare con Dio per lavorare concretamente, insieme, alla costruzione di un mondo più libero e più giusto in cui l’uomo torni al centro di ogni processo sociale, economico, politico, culturale.

Vincenzo Conso
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