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  Un nuovo umanesimo per vincere le grandi sfide della globalizzazione

Data di pubblicazione: Mercoledì, 22 Giugno 2011

TRAGUARDI SOCIALI / n.48 Luglio / Agosto 2011 :: Un nuovo umanesimo per vincere le grandi sfide della globalizzazione

Intervista a Paolo Bartolozzi, europarlamentare del Ppe.

Paolo Bartolozzi è storicamente un grande amico del MCL. Deputato dal 2008 al Parlamento Europeo nelle fila del Ppe, l’On. Bartolozzi è componente della Commissione per l’Ambiente, la Sanità Pubblica e la Sicurezza Alimentare. Toscano, cattolico, politico con una larga esperienza maturata sul territorio già nella DC, anche a livello nazionale, le sue azioni e i suoi interventi in sede Ue sono in larga parte mirati a difendere le radici cristiane dell’Europa. A lui abbiamo rivolto alcune domande sulle principali questioni di politica estera: dall’immigrazione alla crisi libica, alle strategie europee in materia.
On. Bartolozzi, il tema dell’immigrazione è la vera questione all’ordine del giorno per l’occidente: un esodo dalle proporzioni apocalittiche che continua a suscitare timori e preoccupazioni.
Qual è la sua opinione in proposito? Come difenderci da questa pacifica invasione senza rinunciare agli ovvii doveri di solidarietà e di accoglienza?
Sono centinaia, tra profughi e immigrati, le persone che ogni giorno attraversano il Mediterraneo per sbarcare sulle coste europee; un vero e proprio dramma umanitario; uomini, donne e bambini che intraprendono un viaggio apocalittico che talvolta termina con la perdita della vita in mare. Dinnanzi a tali tragedie l’Occidente non può restare indifferente e non può trasformare i legittimi timori, che l’immigrazione comporta, in politiche di respingimento. L’Italia da sempre si è contraddistinta per essere un Paese ospitale e amico delle popolazioni in cerca di asilo e aiuto.
L’Europa, però, non è legittimata a lasciare solitario il nostro Paese nella gestione dei migranti. Spendiamo ogni anno oltre 120 milioni di euro per fronteggiare i flussi migratori, circa pari a quanto destina annualmente l’intera UE. Le istituzioni comunitarie devono adottare serie politiche di accoglienza e integrazione attuando appositi piani che prevedano investimenti di risorse economiche destinate all’istruzione, alla formazione e al sostegno degli immigrati da impiegare soprattutto nei Paesi di provenienza dei flussi e ad una loro giusta ripartizione. Non si può continuare come fanno alcuni Stati a dichiararsi a favore di una generica accoglienza e poi, come nella Spagna di Zapatero, attuare una politica di respingimenti forzosi e talvolta violenti.
Bruxelles sembra ostentare indifferenza e atteggiamenti da Ponzio Pilato che suscitano non poche perplessità. Lei che respira quotidianamente l’aria ‘europea’, quale clima avverte nei palazzi Ue?
L’Unione Europea nel suo processo di formazione ha fortemente investito giungendo oggi ad un assetto sovrannazionale consolidato sotto il profilo monetario, economico e finanziario. Purtroppo però non è riuscita ad esprimere analoghe capacità nello sviluppare una politica completa indispensabile ad uno Stato Sovrannazionale; la mancanza di una forte identità culturale e valoriale rende l’UE priva di una “governance” in grado di dettare strategie in campo internazionale, sociale e culturale. Ciò rende gli Stati Membri ancora condizionati dalle logiche politiche interne le quali, spesso, non coincidono con gli interessi comunitari.
Fino ad oggi le istituzioni europee si sono limitate ad intraprendere rapporti di sola cooperazione con i Paesi della riva sud del Mediterraneo; il non aver dato vita ad una strategia internazionale rivolta al nord Africa ha reso la nostra parte di Occidente miope nella capacità di prevedere, accompagnare e gestire i sentimenti di ribellione che le nuove generazioni arabe, da tempo, nutrono nei confronti dei propri regimi. Questo atteggiamento ci ha colti impreparati e sgomenti dinanzi alle vicende africane degli ultimi mesi. Ancora una volta l’Europa si è manifestata lenta ed incerta nel decidere e nell’intervenire. Se presto l’UE non adotterà una chiara e forte strategia politica resterà difficile mantenere l’integrità della coesione sociale ed economica, vincere le sfide del mondo globalizzato e fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione.
La crisi libica sembra aver messo a dura prova i precari equilibri dell’area mediterranea.
Quale futuro vede all’orizzonte?
Il Mediterraneo è, per l’Italia e per l’Europa, elemento strategico sia per le questioni relative all’approvvigionamento energetico sia per la sicurezza del nostro continente. L’intervento armato in Libia è stato, ed è, un passaggio obbligato per sostenere le popolazioni oppresse che si sono ribellate al regime e che da questo sono state letteralmente bombardate.
Per impedire che queste ribellioni sfocino in altre dittature o in regimi di carattere fondamentalista occorre che l’UE si faccia portatrice in tutta l’area nord africana di un’evoluzione democratica, pluralista nonché di sviluppo sociale, culturale ed economico.
Fino ad oggi l’Europa ha guardato ad est verso le zone della ex Unione Sovietica; in queste aree geografiche abbiamo espresso una grande capacità di mediazione diplomatica generando processi di democratizzazione e investendo ingenti risorse economiche agevolando lo sviluppo. Ciò ha consentito di allargare ad Oriente i confini europei. L’Unione – in primis Italia, Francia, Spagna e Germania - ha il dovere di innescare analoghi processi e dinamiche in tutta l’area mediterranea. In questo scenario si devono ricostituire quelle relazioni euro-mediterranee indispensabili per la nostra economia e per la nostra sicurezza; si possono gettare le basi per solidi accordi di vicinato sottoscritti con nuovi interlocutori legittimati dal popolo, nonché si deve aiutare concretamente la domanda delle nuove generazioni che si esprime nel bisogno di libertà, sviluppo e modernità.
Come lei sa bene il MCL ha molto investito, anche attraverso convegni e studi internazionali, sul tema del dialogo euro-mediterraneo, che vediamo quale unica possibile via d’uscita perché l’incontro tra culture tanto diverse non si trasformi in uno scontro. Qual è la sua opinione in proposito?
Sono fortemente convinto che il dialogo tra culture e religioni diverse sia possibile, auspicabile e fruttuoso.
Questo però non significa rinunciare alla nostra identità; da quanta forza diamo ai nostri valori, alla nostra cultura e alle nostre tradizioni dipende la fruttuosità di un confronto franco e sincero con le altre culture. L’Europa per riuscire a dare vita ad una politica di dialogo e cooperazione con i Paesi culturalmente diversi da noi dovrà incarnare la difesa dei valori cristiani nei suoi principi, nei fondamenti di una futura costituzione e nelle azioni. Solo così il dialogo, supportato da iniziative di carattere sociale e culturale, sarà strumento per instaurare rapporti dialoganti civili e rispettosi fra l’Europa di tradizione cristiana e il mondo musulmano del nord Africa.
In questo contesto le due sponde a nord e sud del Mediterraneo potranno essere protagoniste di una collaborazione economica e sociale che porti stabilità e sviluppo in tutta l’area.
La questione dell’integrazione degli immigrati nella nostra cultura è tema di primaria importanza.
Le sue idee in proposito?
Non condivido una certa sinistra che ritiene che l’integrazione corrisponda ad una rinuncia dei nostri diritti e dei nostri valori per andare incontro alla diversità delle altre culture portate dall’immigrazione.
Questa non è integrazione ma annullamento dei valori, delle tradizioni e dei fondamenti su cui poggia la società occidentale. Il concetto di integrazione sul quale deve essere incentrata la politica europea è quello dettato dalla cultura cattolica–liberale, che non prevede l’annientamento della propria identità ma anzi in virtù di questa identità si afferma il principio di solidarietà e fratellanza verso il prossimo. Essere determinati nel richiedere agli immigrati il rispetto dei nostri simboli, dei nostri credi e delle nostre conquiste e riconoscere la loro libertà è il primo passo per dare vita a una reale integrazione e convivenza fra culture diverse.
La deriva laicista che spesso si percepisce anche all’interno delle istituzioni europee è deleteria a tutto questo; le iniziative di alcune forze politiche europee, e della Corte europea, che volevano negare l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche perché ritenuta una violazione delle libertà religiose degli immigrati ha rappresentato una minaccia alla nostra identità e l’impoverimento del concetto di integrazione rispettoso delle diversità.
Se la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti Umani non avesse definito legittima l’esposizione del crocefisso nelle scuole perché simbolo laico della cultura e delle tradizioni di ogni singolo Stato, l’Europa si sarebbe presentata al mondo intero come territorio di facile conquista da parte di altre culture, in particolare per quelle fondamentaliste impegnate nel voler imporre i propri usi, costumi e credenze all’Occidente. Così facendo i singoli Stati avrebbero subito le prevaricazioni culturali di altre popolazioni che avrebbero cancellato la nostra identità violando qualsiasi concetto di integrazione.
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