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  PIU' PARTECIPAZIONE PER AIUTARE LA RIPRESA PRODUTTIVA

Data di pubblicazione: Martedì, 23 Marzo 2010

TRAGUARDI SOCIALI / n.40 Marzo / Aprile 2010 :: PIU' PARTECIPAZIONE PER AIUTARE LA RIPRESA PRODUTTIVA

INTERVISTA A NATALE FORLANI

Natale Forlani (bergamasco di origine e romano
d’adozione), una vita passata nella Cisl, prima
tra gli edili poi come segretario confederale, è da
molti anni amministratore delegato e presidente di
Italia Lavoro, l’Agenzia governativa per le politiche
attive del lavoro e lo sviluppo dell’occupazione,
ma di Forlani è utile ricordare almeno altri due
importanti tratti biografici: è stato estensore, con
Marco Biagi, del ‘Libro Bianco’, il testo che ha poi
portato alla stesura della Legge n. 30/2003 di riforma del mercato del lavoro, ed è, da più di un
anno, portavoce del Forum delle persone e delle
associazioni d’ispirazione cattolica nel mondo del
lavoro. Incarico nevralgico e vitale, dentro il mondo
cattolico. Forlani ha accettato di buon grado di
rispondere alle domande sull’attualità politica e
sociale che gli ha posto Traguardi Sociali, oltre
che del messaggio contenuto nell’enciclica del Papa Caritas in Veritate.
La disoccupazione ormai è arrivata a livelli
record (8,5%) ma ha ancora margine per
crescere preventivando che almeno una parte
dei lavoratori al momento in cassa integrazione
dovranno cercarsi un nuovo lavoro. La Cgil ha stimato che con i lavoratori in Cig la percentuale dei disoccupati è già sopra al 10%. Inoltre, gran parte delle 392 mila persone che nel corso del 2009 hanno ingrossato le file dei disoccupati (ora a quota 2 milioni e 138 mila), vengono dalle regioni più industrializzate. Quali risposte si possono dare a quella che è vera e propria piaga, la disoccupazione?

La crisi ha messo in moto un processo di riposizionamento del sistema produttivo che sarà
estremamente selettivo per le imprese come lo può
essere per interi sistemi produttivi nazionali. Le
politiche del lavoro, come quelle di sostegno allo
sviluppo, devono accompagnare questo processo.
Significa sostenere i lavoratori a rischio di disoccupazione rendendo sostenibile a livello di
reddito e di competenza il reinserimento in altre
occupazioni. Non sarà semplice e riguarderà centinaia di migliaia di persone. Però la mobilità sostenibile è possibile perché la domanda di lavoro non manca e negli ultimi mesi del 2009 è ritornata attiva. Le politiche attive del lavoro nei servizi per l’incontro domanda-offerta, l’adeguamento delle competenze dei lavoratori
ed incentivi per le imprese che assumono, sono
assai più convenienti che prorogare i sostegni
al reddito.
Anche il Papa chiede di “fare il possibile”
per i lavoratori di Fiat e Alcoa. Quali interventi
concreti dovrebbe mettere in campo il
governo per aiutare le imprese italiane a uscire
dalla crisi industriale e occupazionale in
cui versano? E nel caso di Fiat, che intende
chiudere lo stabilimento di Termini Imerese, si
deve aiutare una riconversione di tutta la sua
strategia o basta la politica degli incentivi?

L’appello del Papa richiama la necessità di
mantenere centrale in ogni attività economica il
primato della persona. Non ha senso discutere di
competitività e di compatibilità se le persone rimangono senza lavoro. Lo dico non solo per la
FIAT, ALCOA e le medio-grandi imprese che fanno
notizia sui giornali, ma soprattutto per i lavoratori
delle piccole e piccolissime imprese che vivono
il loro dramma in solitudine. Il caso FIAT Termini Imerese è la conseguenza di una mancata riprogettazione del ruolo di questo stabilimento. Non credo che il problema possa essere risolto con gli incentivi all’auto ovvero, nella condizione attuale, con costosi investimenti nel settore. Forse può essere l’occasione per ripensare la funzione produttiva di quel territorio mobilitando più risorse imprenditoriali. E’ una scommessa che il Sud d’Italia può vincere ma frequentemente vedo le classi dirigenti politiche teorizzare esse stesse la dipendenza dalle grandi imprese.
La riforma della contrattazione stabilita
nel patto del 22 gennaio tra Governo, Cisl, Uil
e Confindustria, sta andando avanti in modo
positivo, nel rinnovo dei tanti contratti aperti?
Oppure l’opposizione della Cgil la sta vanificando?
E come e perché la riforma degli assetti contrattuali difende e migliora le retribuzioni
dei lavoratori?

Il mondo del lavoro è cambiato profondamente
negli ultimi 10-15 anni. E quello italiano in particolare: non esistono quasi più grandi gruppi, o le grandi imprese a partecipazione pubblica, le Poste, la Telecom, ma soprattutto il tessuto produttivo è ormai caratterizzato al 90% da pmi. La contrattazione di secondo livello, introdotta dall’accordo dello scorso anno, consente di demandare al livello aziendale o territoriale pezzi di contratto (per esempio il salario variabile) rendendoli più aderenti alle caratteristiche specifiche del territorio, o dell’impresa o del settore. Quello dell’anno scorso è un accordo che nasce dal basso e dal lavoro e dall’intesa con il mondo delle piccole imprese, dell’artigianato, dei servizi. La produttività diventa l’obiettivo da perseguire e il decentramento delle relazioni sindacali consente di ragionare sulla crescita del prodotto distribuibile, così come il valore dei salari. Inoltre, il fatto che tra gli strumenti individuati per la crescita eventuale dei salari ci sia l’indice di inflazione europeo, e non l’inflazione programmata a tavolino e spesso fuori dalle condizioni reali dell’economia, significa che le parti sociali tornano a riappropriarsi di spazi negoziali autonomi. Il che vuol dire, ancora, favorire la partecipazione dei lavoratori ai risultati ottenuti dalle imprese. Certo, è un modello che dovrà andare a regime, ma la scelta, nonostante le resistenze, verso un diverso sistema e più innovativo, di relazioni sindacali e di partecipazione, è netta. L’attuale fase di stasi è certamente dovuta alla crisi economica, ma sono convinto che il nuovo sistema contrattuale aiuterà la ripresa produttiva.
A che punto è la riforma del mercato del lavoro?
E, rispetto al persistente problema della precarietà, specie tra i giovani, la legge Biagi si sta rivelando come un aiuto a cercare lavoro o un intralcio?

La Riforma Biagi è stata uno straordinario volano
di innovazione del nostro mercato del lavoro,
introducendo forme contrattuali che possono favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro,
e strappare al sommerso professioni svolte molto
spesso in nero. Mi riferisco a tutto il settore dei
servizi alla persona e al lavoro a chiamata. Rispetto
all’occupazione giovanile, come dicevo, è
necessario fare un ragionamento più ampio, che
va oltre la singola legge. Da questo punto di vista,
il nostro è un Paese in ritardo: ritardo d’ingresso
nel lavoro, distanza tra percorsi scolastici e professioni svolte, scarso uso di stages, tirocini, apprendistato, bassa intensità degli investimenti per aggiornare le competenze degli occupati. Le vittime di questi ritardi sono i giovani, quelli che hanno beneficiato dell’aumento della scolarizzazione ma, soprattutto, quelli con difficoltà a completare i percorsi scolastici e ad inserirsi nel mercato del lavoro. Ogni anno nel nostro Paese 126mila ragazzi sono fuori da ogni tipo di percorso formativo e sono destinati a svolgere lavori a bassa qualifica e scarsamente retribuiti. O peggio, non studiano né lavorano. Ma possono essere un problema anche studi superiori e universitari sganciati dalla realtà del mondo produttivo, mentre sappiamo che il nostro Paese avrà nei prossimi dieci anni una richiesta fortissima di profili professionali alti e ad elevata qualificazione. Per questo motivo, è necessario sfruttare al massimo gli strumenti che la legge ci mette a disposizione: tirocini, stage, e soprattutto l’apprendistato, in particolare quello per l’alta formazione. Ma è urgente che cambi anche l’approccio culturale: una caratteristica del nostro sistema formativo, è la troppo netta e riduttiva distinzione tra l’insegnamento scolastico rivolto al “saper fare”, relegando all’ambito lavorativo il “fare”. I luoghi della produzione possono essere anche luoghi di apprendimento, di acquisizione di competenze, relazioni, conoscenze. Trascurare questo aspetto significa non tener conto della rivoluzione permanente che il mercato del lavoro vive, attivata dalle scelte delle imprese, che innovano tecnologie ed organizzazione per rimanere competitive.
Il Forum delle Associazioni di ispirazione
cattolica nel mondo del Lavoro ormai è un
‘luogo’ di analisi e proposte sperimentato e in
via di allargamento. Quali le prossime tappe? E che bilancio trae di questa esperienza, sino
ad ora?

Il Forum si sta rivelando una straordinaria
esperienza di confronto e di rappresentanza di
istanze reali di un pezzo di società che è attivo,
impegnato sul fronte della solidarietà e della giustizia sociale, ma che spesso non ha voce, non fa ‘massa critica’. Il nostro intento era, ed è, quello di rendere i cattolici impegnati nelle istituzioni e nel
sociale, ‘classe dirigente’ di un processo che – alla
luce della grave crisi economica di questi ultimi
due anni – rimetta al centro la dignità della
persona e del lavoro, a partire dagli insegnamenti
della Dottrina sociale della Chiesa. Il bilancio di
questo primo anno di attività è certamente positivo:
abbiamo affrontato temi delicati come l’accoglienza
e l’integrazione degli immigrati, il rapporto
tra dignità della persona, lavoro e sviluppo sostenibile alla luce della Caritas in Veritate, ma soprattutto abbiamo discusso della famiglia, il vero
motore della società, in Italia l’unico vero ammortizzatore sociale che non ha scadenza e non ha deroghe, e tuttavia non ha rappresentanza adeguata, non fa lobby, non ha tutele. Di questo vorremmo continuare a discutere nel 2010, portando avanti le proposte che hanno caratterizzato la nascita del Forum: sviluppo dei servizi alla persona, quoziente familiare e fisco ‘vantaggioso’ per i nuclei familiari,
consulta delle associazioni degli immigrati,
promozione del principio di sussidiarietà. Con almeno due aggiunte: innanzi tutto una maggiore,
ulteriore, direi, valorizzazione dei territori e delle
iniziative locali, e l’attenzione al tema della formazione delle classi dirigenti nel Mezzogiorno come questione centrale per ri-orientare la politica al Sud e per lo sviluppo complessivo della classe dirigente italiana.
Si apre una stagione politicamente e socialmente
molto interessante. Il mondo del cattolicesimo
sociale è in movimento, soprattutto grazie all’azione e al lavoro del Forum, il MCL ha tenuto il suo congresso, altre realtà ecclesiali e sociali si “guardano intorno”, anche dal punto di vista dell’agire politico. Come dovrebbe muoversi, anche in vista di nuovi scenari politici, specialmente guardando anche alla rinascita di un nuovo ‘centro’, nello scenario politico, il Forum delle associazioni cattoliche?

Il Forum deve guardare con rispetto e attenzione
a ciò che succede nel panorama italiano, non
ponendosi come ennesimo esperimento politico
ma come aggregatore di energie che abbiano in comune gli stessi valori e gli stessi obiettivi, ad
esempio la tutela della famiglia e del lavoro, o la
sussidiarietà. Proponendo un modello di politica
come contemperazione di interessi diversi ma condivisibili e che è possibile riportare al bene comune e all’interesse generale. Troppo spesso la politica ha come solo obiettivo il catturare l’attenzione dell’opinione pubblica su singole questioni la cui visibilità dura il tempo di uno slogan, e troppo spesso l’opinione pubblica da un lato è portata a generalizzare (sono tutti uguali), dall’altro carica la politica stessa di aspettative eccessive. Dobbiamo uscire da questo circolo vizioso, e riportare al centro la persona e i suoi bisogni.
Il Forum parla con insistenza di democrazia
economica e riforma del welfare.
L’enciclica di papa Benedetto XVI Caritas
in Veritate pone al mondo civilizzato e industrializzato domande pressanti e ineludibili, a
partire dalla considerazione sui guasti prodotti
dallo sviluppo capitalistico fino a un’idea ‘altra’ di mercato. Utopie?

Non credo si tratti di utopia, sebbene anche le
utopie abbiano spesso una funzione innovatrice e
spingano in avanti il progresso umano. Un’economia in crisi che vede le banche tornare a fare profitti e i lavoratori che rischiano di perdere il lavoro, non ha prospettive, ed è per questo che è ormai diventata ineludibile l’esigenza di invertire il rapporto tra i mezzi e i fini, privilegiando le iniziative
imprenditoriali e le azioni di politica economica in
grado di produrre nuovi posti di lavoro e garantire
redditi dignitosi per le persone e le famiglie.
Ettore Colombo
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